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Articoli, Documenti, Regola e Statuti del Tempio, Regola integrale dell' Ordine Templare

Regola integrale dell’ Ordine Templare


La Regola primitiva

Qui inizia il prologo della regola del Tempio

1. Ci rivolgiamo in primo luogo a quanti disprezzano profondamente la propria volontà e desiderano, con purezza di cuore, servire il re supremo come cavalieri e indossare, ora e per sempre, con premurosa sollecitudine, la nobilissima armatura dell’obbedienza. E perciò esortiamo voi che avete fin qui condotto la vita dei cavalieri secolari, che non ha la propria causa in Cristo e che avete abbracciato solo a vostro vantaggio, a seguire coloro che Dio, per grazia della sua compassione, ha tratto dalla massa dei dannati e, nella sua grande pietà, ha destinato alla difesa della Santa Chiesa, e vi chiediamo di unirvi a loro, subito e per sempre.

2. Chiunque voglia essere cavaliere di Cristo, scegliendo i sacri ordini, dovrà, prima di ogni altra cosa, professare la propria fede, con pura abnegazione e ferma perseveranza, virtù tanto meritevole a santa, e celebrata per nobiltà, che se si conserva per sempre incontaminata, gli consentirà di entrare nella compagnia dei martiri i quali donano le loro anime a Gesù Cristo. In questo ordine religioso è sbocciata a nuova vita la dignità cavalleresca. Infetti i cavalieri avevano preso a sdegnare l’amore per la giustizia che dovrebbe ispirare la loro azione e non adempivano al proprio dovere che consiste nel difendere i poveri, le vedove, gli orfani e le chiese; invece erano dediti al saccheggio, al furto e all’assassinio. Ma Dio opera il bene attraverso di noi e attraverso il nostro salvatore Gesù Cristo e ha voluto inviare i suoi amici dalla Città Santa di Gerusalemme alle terre di Francia e Borgogna; sia benvenuto il loro sacrificio, poiché, per la nostra salvezza e la diffusione della vera fede, essi continuano a donare a Dio le loro anime.

3. Pertanto, in letizia e fratellanza, su richiesta del maestro Ugo di Payns, dal quale fu fondata, per grazia dello Spirito Santo, la nostra congregazione, convenimmo a Troyes da diverse province al di là delle montagne, nel giorno di S. Ilario, nell’anno 1128 dall’incarnazione di Cristo, essendo trascorsi nove anni alla fondazione del suddetto Ordine. E come si conducesse e quali fossero le origini dell’Ordine dei Cavalieri ascoltammo, riuniti in capitolo, dalle labbra del suddetto maestro, il fratello Ugo di Payns; e in base a quel poco che riuscimmo a comprendere, approvammo quanto ci parve buono e vantaggioso e scartammo quel che ci parve irragionevole.

4. E non tutto ciò che ebbe luogo in quel concilio può essere detto o raccontato; e perché non se ne parli alla leggera, ma con saggezza e ponderazione, ci affidammo alla discrezione dell’onorevole pontefice Onorio e del nobile patriarca di Gerusalemme, Stefano, che ben conosceva le necessità dell’Ordine e dei Poveri Cavalieri di Cristo, su istanza del concilio l’approvammo all’unanimità. Sebbene un gran numero di religiosi che presero parte al concilio abbiano elogiato l’autorità delle nostre parole, tuttavia non andranno sottaciute le giuste sentenze e i giudizi da essi pronunciati.

5. Pertanto io, Giovanni Michele, al quale venne affidato tale divino ufficio per grazia di Dio, ottenni di essere l’umile estensore di questo documento per ordine del concilio e del venerabile padre Bernardo, abate di Chiaravalle, cui spettava l’onore e l’onere.

Nomi dei padri che parteciparono al concilio

6. In primo luogo Matteo, vescovo di Albano, legato per grazia di Dio, della Santa Chiesa di Roma: R(inaldo), arcivescovo di Reims; Enrico, arcivescovo di Sens; quindi i loro suffraganei: G(olseno), vescovo di Soissons; il vescovo di Parigi; il vescovo di Troyes; il vescovo di Orleans; il vescovo di Auxerre; il vescovo di Meaux; il vescovo di Chalons; il vescovo di Laon; il vescovo di Beauvais; l’abate di Vézelay, che in seguito divenne arcivescovo di Lione e legato della Chiesa di Roma; l’abate di Citeaux; l’abate di Pontigny; l’abate di Trois-Fontaines; l’abate di St. Denis di Reims; l’abate di St-Etienne di Digione; L’abate di Molesmes; il già menzionato B(ernardo), abate di Chiaravalle: le cui parole furono largamente approvate dai padri suddetti. Erano presenti anche il maestro Aubri di Reims; il maestro Folco e molti altri che sarebbe tedioso ricordare. Degli altri che non sono qui ricordati conviene fornire garanzie circa un punto: sono tutti amanti della verità;m si tratta del conte Teobaldo; del conte di Nevers; di Andrea di Baudemant. Costoro parteciparono al concilio e agirono con premurosa e compiuta sollecitudine, ricercando il bene e disprezzando quel che sembrava (appariva) assurdo.

7. Era presente anche fratello Ugo di Payns, maestro dei cavalieri, che aveva portato con sé alcuni fratelli. Essi erano Rolando, Goffredo, Goffredo, Bisot, Pagano di Montedidier, Arcibaldo di Saint-Armand. Lo stesso maestro Ugo, con i suoi discepoli, espose ai suddetti padri le usanze e le norme dei loro umili esordi e colui che disse: Ego principium qui et loquor vobis, ovvero: «Io che vi parlo sono l’inizio>>, secondo quanto è stato riportato.

8. Piacque al concilio che le correzioni e le deliberazioni ivi prese alla luce delle Sacre Scritture consultate con cura e saggezza da O(norio), papa della Santa Chiesa di Roma, e dal patriarca di Gerusalemme, fossero messe per iscritto e non dimenticate, e osservate scrupolosamente cosicché, conducendo una vita retta si possa meritare di giungere al creatore; la cui dolcezza di tanto supera il miele che al confronto il miele parrebbe amarissimo come l’assenzio, e ci consente di giungere degnamente a servire colui di cui desideriamo farci servitori. Per infinita seculorum secula. Amen.

Qui inizia la regola dei Poveri Cavalieri del Tempio

9. Voi che avete rinunciato alla vostra volontà, e voi che servite il re supremo con cavalli ed armi, per la salvezza delle vostre anime, per un periodo di tempo determinato, sforzatevi ovunque, con purezza di desideri, di ascoltare il mattutino e l’intero ufficio secondo la legge canonica e le usanze dei maestri regolari della Città Santa di Gerusalemme. Venerabili fratelli, Dio stesso è con voi che avete promesso di disprezzare le illusioni del mondo in nome del perpetuo amore divino, e non vi crucciate dei martiri del corpo: sostenuto dal cibo di Dio, dissetato ed istruito dai comandamenti del Signore, al termine dell’ufficio divino, nessuno tema di andare in battaglia, ma sia pronto a cingere la corona.

10. Ma se un fratello è impegnato lontano per conto della casa cristiana d’Oriente – il che crediamo avvenga spesso – e non potrà ascoltare l’ufficio divino, reciterà tredici paternoster in luogo del mattutino, sette per ogni ora canonica e nove in luogo dei vespri. Ciò affermiamo unanimemente. Tuttavia laddove sia possibile, il fratello impegnato per tali necessità le cui circostanze impediscono di tornare in tempo per ascoltare l’ufficio divino, dovrà rispettare le ore canoniche per dare a Dio ciò che gli è dovuto.

Del modo di accogliere i fratelli

11. Se un cavaliere, o qualunque altro uomo, desidera separarsi alla massa dei dannati, abbandonare la vita secolare e scegliere la vostra vita comunitaria, non accoglietelo immediatamente, poiché l’apostolo S. Paolo disse : Probate spiritus si ex Deo sunt. Ovvero «Mettete alla prova il loro spirito per vedere de esso proviene da Dio». Ma prima che gli sia concessa la compagnia dei fratelli, fate in modo che gli sia letta la regola, e se desidera obbedire sollecitamente ai precetti della regola, e se il maestro e i fratelli sono disposti ad accoglierlo, lasciate che manifesti il proprio desiderio dinanzi a tutti i fratelli riuniti nel capitolo e che esponga con purezza di cuore, la sua richiesta.

Dei cavalieri scomunicati

12. Vi comandiamo di andare là dove sapete che sono radunati cavalieri scomunicati; e se qualcuno desidera entrare a far parte dell’Ordine del cavalieri d’Oltremare, voi non dovete considerare il guadagno materiale più importante della salvezza eterna della sua anima. Noi vi comandiamo di accoglierlo a condizione che si presenti dinanzi al vescovo di quella provincia e gli manifesti la sua intenzione. E, dopo averlo ascoltato e assolto, il vescovo lo invierà presso il maestro e i fratelli del Tempio, e se la sua vita è onesta e degna della loro compagnia, e se parrà cosa buona al maestro e ai fratelli sarà accolto con misericordia; e se nel frattempo egli dovesse morire a causa dei rimorsi e dei tormenti sofferti, gli vengano consessi tutti i benefici della fratellanza dovuti ai Poveri Cavalieri del Tempio.

13. In nessun’altra circostanza sarà consentito ai fratelli del Tempio stare in compagnia, o prendere le cose di un uomo manifestamente scomunicato, poiché sarebbe terribile se venissero a loro volta scomunicati. Ma se egli è interdetto solo dagli uffici divini, si potrà stare in sua compagnia e acquisire i suoi beni a scopo di carità, con il permesso del suo commendatore.

Del non accogliere i bambini

14. Sebbene la regola dei santi padri consenta di accogliere i bambini nella vita religiosa, noi vi consigliamo di non farlo. Poiché chiunque desideri donare per sempre il proprio figliolo all’Ordine dei cavalieri dovrà nutrirlo fino al giorno in cui sai in grado di prendere le armi con valore, e sradicare dalla terra i nemici di Gesù Cristo. Allora la madre e il padre lo condurranno alla casa e faranno conoscere la sua richiesta ai fratelli; ed è molto meglio che non prenda i voti da bambino, ma solo quando è più grande, ed è meglio se non se ne pente, che se lo fa. A partire da quel momento colui che ha chiesto di entrare nella confraternita, sia esaminato con equità dal maestro e dai cavalieri, in base al modo in cui ha condotto la sua esistenza.

Dei fratelli che stanno in piedi in chiesa troppo a lungo

15. Abbiamo saputo da fonte sicura che ascolterete l’ufficio divino stando in piedi, a vostro piacimento, senza limitazione alcuna. Non vi comandiamo di mantenere tale condotta, anzi la disapproviamo. Ma ordiniamo che, per evitare lo scandalo, tanto i forti quanto i deboli cantino il salmo che inizia con Venite, l’invitatorio e l’inno, rimanendo seduti; e preghino quietamente, a voce bassa, in modo da non disturbare le preghiere dei fratelli.

16. Ma alla fine dei salmi, quando si canta il Gloria Patri, per riverenza alla Santa Trinità, vi alzerete inchinandovi verso l’altare, mentre i deboli e gli infermi abbasseranno il capo. Questo vi comandiamo; in piedi ascolterete la spiegazione del Vangelo, e canterete il Te deum laudamus e le altre tre laudi, fino alla fine del mattutino. Noi stessi vi comandiamo dunque di restare in piedi in questi momenti del mattutino e in tutte le ore di Nostra Signora.

Delle vesti dei fratelli

17. Comandiamo che tutti i fratelli portino abiti dello stesso colore, bianco o nero bigello. Concediamo ai fratelli cavalieri di portare, se è possibile tanto d’estate quanto d’inverno manti bianchi; e a quanti non rientrano nel novero dei Cavalieri di Cristo non sarà consentito di indossare il mantello bianco, affinché coloro i quali hanno abbandonato la vita delle tenebre e si sono riconciliati con il loro creatore possano riconoscersi l’un l’altro per mezzo dell’abito bianco, che significa purezza e completa castità. La castità rende il cuore saldo e il corpo sano. Poiché il fratello che non farà voto di castità non potrà pervenire alla pace eterna, né vedere Dio, secondo la promessa dell’apostolo che disse: Pacem sectamini cum omnibus et castimonian sine qua nemo Deum videbit. Ovvero: «Sforzatevi di ricercare la pace con tutti e conservatevi casti, o non vedrete Dio».

18. Ma tali vesti non dovranno avere abbellimento alcuno, né segni di vanità. Ordiniamo che nessuno vi aggiunga alcuna pelliccia, né alcuna altra pelle che non sia di lana di agnello o montone. Ciò valga per ognuno, in modo che ci si possa vestire e svestire, calzare e togliere gli stivali agevolmente. Il drappiere o chi ne fa le veci dovrà guadagnarsi con attenzione e sollecitudine il premio di Dio, nell’occuparsi delle cose anzidette, affinché gli occhi degli invidiosi e dei maligni non possano fare osservazioni su vesti troppo corte o troppo lunghe; ma dovrà distribuirle in modo che vadano bene a quanti devono indossarle, in base alla taglia di ognuno.

19. E se qualche fratello, a causa di vanità o superbia, pretenderà un abito migliore o più aggraziato, gli sia dato uno peggiore. Coloro che riceveranno nuove vesti restituiranno immediatamente le vecchie, perché siano date in dono a scudieri e sergenti e soprattutto poveri, a seconda del giudizio di chi è preposto a tale incarico.

Delle camicie

20. Stabiliamo, inoltre, misericordiosamente che, a causa della forte calura che si protrae in Oriente da Pasqua ad Ognissanti, ogni fratello che lo desideri riceva, per compassione e non per diritto, una camicia di tela.

Della biancheria da letto

21. Stabiliamo di comune accordo che ognuno riceva vesti e biancheria da letto a discrezione del maestro. Riteniamo che oltre al materasso siano sufficienti un cuscino e una coperta per ciascuno; in mancanza di uno di questi si potrà usare una stuoia o una coperta di tela, o tessuto felpato. Andranno sempre a dormire in camicia e brache, indossando scarpe e cinture, e il dormitorio dovrà essere illuminato fino al mattino. E il drappiere dovrà accertarsi che i fratelli siano stati rasati con tanta cura da poter essere esaminati sia di fronte che di dietro; la stessa attenzione dovrà essere dedicata a barbe e baffi, perché il oro corpo non dovrà mostrare segni di intemperanza.

Delle calzature appuntite e delle stringhe

22. Nessun fratello indosserà scarpe appuntite né userà stringhe; neppure lo consentiamo a tutti coloro che prestano servizio nella casa per un periodo determinato; anzi proibiamo l’uso di stringhe e di scarpe appuntite in qualunque circostanza. Poiché è risaputo che tali cose abominevoli appartengono ai pagani. Né avranno capelli o abiti troppo lunghi. Poiché coloro i quali servono il supremo creatore devono di necessità essere mondi dentro e fuori, secondo la parola di Dio: Estete mundi quia ego mundus sum. Ovvero: «siate mondi perché io lo sono».

Del modo di mangiare

23. Mangeranno insieme all’interno del palazzo, o per meglio dire nel refettorio. Se un fratello mancasse di qualcosa di necessario, non essendo ancora aduso ai segni adoperati dai fratelli, ne farà richiesta a bassa voce ai propri commensali, con umiltà e sottomissione. Infetti l’apostolo disse: Manduca panem tuum cum silentio. Ovvero: «mangia il tuo pane in silenzio». E il salmista: Posui ori meo custodiam. Ovvero: «ho sorvegliato la mia bocca». Vale a dire: «pensavo che la lingua potesse tradirmi», o anche: «ho trattenuto la lingua per non parlare male».

Della lettura

24. Quando è possibile, durante il pranzo e la cena del convento siano lette le Sacre Scritture. Se amiamo Dio, le Sue sante parole e i suoi Santi comandamenti, dobbiamo essere spinti ad ascoltare con attenzione; prima di iniziare a leggere, il lettore vi inviterà a mantenere il silenzio.

Delle scodelle e dei bicchieri

25. A causa della carenza delle scodelle, i fratelli mangeranno due a due, affinché ognuno si curi con sollecitudine dell’altro e non vi siano né furtiva astinenza né intrusione nel pasto comune. Ed è opportuno che ogni fratello riceva nella propria coppa la medesima quantità di vino.

Della carne

26. Vi basterà mangiare carne tre volte alla settimana, tranne che a Natale, Ognissanti, l’Assunzione e nella festa dei dodici apostoli. Infatti è noto che l’abitudine di mangiare la carne corrompe il corpo. Ma se, a causa di un digiuno, i fratelli devono rinunciare alla carne di martedì, il giorno seguente ne abbiano in abbondanza. La domenica, tutti i fratelli del Tempio, i cappellani e i chierici riceveranno due pasti a base di carne, in onore della santa resurrezione di Gesù Cristo. Gli altri, ovvero gli scudieri e i sergenti, saranno sazi di uno solo e ne saranno grati a Dio.

Dei pasti nei giorni feriali

27. Gli altri giorni, ovvero il lunedì, il mercoledì e anche il sabato, i fratelli riceveranno due o tre piatti a base di legumi o altro companatico; riteniamo che ciò sia sufficiente e accettabile poiché chi non mangerà una vivanda ne mangerà un’altra.

Dei pasti del venerdì

28. Il venerdì tutta la congregazione mangerà cibo di quaresima, in ricordo della passione di Gesù Cristo; e voi digiunerete da Ognissanti a Pasqua, tranne che a Natale, per l’Assunzione e nel giorno della festa dei dodici apostoli. Ma i fratelli deboli o infermi ne saranno esonerati. Se non interverranno digiuni generali, da Pasqua ad Ognissanti mangerete due volte al giorno.

Del ringraziamento

29. Al termine di ogni pasto i fratello renderanno grazie a Dio, in silenzio, in chiesa se ce n’è una nei pressi della casa, altrimenti nella casa stessa. Con il cuore umile, renderanno grazie a Gesù Cristo, il Signore Magnifico. Il pane spezzato verrà dato ai poveri e le pagnotte intere conservate. Sebbene il dono dei poveri, che è il regno dei cieli, senza dubbio spetti ai poveri, e benché la fede cristiana affermi per certo che voi rientrate nel loro numero, ordiniamo che un decimo del pane venga dato al vostro elemosiniere.

Della colazione

30. Quando muore la luce del giorno e calano le tenebre, prestate orecchio alla campana o al richiamo della preghiera, e, a seconda delle usanze del paese, e andate a compieta. Ma prima prendete la colazione; tuttavia questo pasto leggero avverrà a discrezione del maestro. Se egli ordina che sia distribuita acqua, o, misericordiosamente, vino diluito, distribuitene con giudizio. Poiché invero occorre prenderne con moderazione e senza eccedere. Come disse Salomone: Quia vinum facit apostatare sapientes. Ovvero: il vino turba i sapienti.

Dello stare in silenzio

31. Dopo compieta, i fratelli parleranno apertamente solo se vi è grande urgenza. Altrimenti ognuno andrà a dormire in silenzio, e se uno deve parlare col proprio scudiero, lo farà a bassa voce. Ma se accade che, dopo compieta, la confraternita o la casa siano interessate da un grave problema, che richieda di essere risolto prima del mattino seguente, il maestro o i fratelli più anziani, i quali reggono l’Ordine sotto la guida del maestro, potranno parlare in modo appropriato. Per questo motivo comandiamo che ci si comporti in tal modo.

32. Poiché sta scritto: In multiloquio non effugies paccetum. Ovvero il troppo parlare non è esente da colpe. E altrove: Mors e vita in manibus lingue. Ovvero: «vita e morte sono in potere della lingua». Siano rigorosamente bandite dalla conversazione parole scurrili ed empie risate. E se durante la conversazione verrà detto alcunché di disdicevole, quando vi sarete ritirati direte un paternoster in piena umiltà e devozione.

Dei fratelli infermi

33. I fratelli che sono stremati dal servizio per la casa possono levarsi dopo il mattutino, con l’accordo e l’autorizzazione del maestro o di chi è preposto a tale ufficio. Ma in luogo del mattutino diranno tredici paternoster, come stabilito in precedenza, e li diranno in modo che le parole escano loro dal cuore. Come disse Davide: Psallite sapienter. Ovvero «Cantate sapientemente». E altrove lo stesso Davide: In cospectu Angelorum psallam tibi. Ovvero «Canterò le tue lodi al cospetto degli angeli». Tutto ciò verrà compiuto sempre a discrezione del maestro e di che è preposto a tale compito.

Della vita comunitaria

34. Nelle Sacre Scritture si legge: Dividebatur singulis prout cuique opus erat. Ovvero, sia dato a ognuno secondo i suoi bisogni. Perciò non diciamo che fra di voi vi sia chi godrà di privilegi, ma tutti avrete cura degli infermi; e il meno infermo non dovrà angustiarsi, ma rendere grazie a Dio; e il più sofferente non dovrà lasciarsi vincere dall’orgoglio a causa dell’altrui compassione, ma si farà più umile nella malattia. In tal modo tutti i fratelli vivranno in pacem E nessuno di voi eccederà nell’astinenza, ma vi atterrete saldamente alla vita comunitaria.

Del maestro

35. Il maestro potrà concedere il cavallo, l’armatura e qualunque altra cosa di un fratello a chiunque lo desideri, e il fratello le cui cose sono state elargite non dovrà irritarsi o andare il collera: poiché, di certo, andando in collera andrebbe contro Dio.

Del porgere consiglio

36. Saranno convocati per il consiglio quei fratelli noti al maestro per la loro assennatezza; poiché questo comandiamo, e non tutti dovranno essere prescelti. Se poi accade che si vogliano trattare questioni importanti, quali la cessione di terre della comunità, o occorra pronunciarsi su un qualunque affare riguardante la casa, o quando si tratta di accogliere un nuovo fratello, allora, se il maestro lo desidera, converrà riunire l’intera confraternita ed ascoltare l’opinione dell’intero capitolo; dopodiché il maestro farà ciò che ritiene più giusto e conveniente.

Dei fratelli inviati oltremare

37. I fratelli inviati per le diverse contrade del mondo devono cercare, in base alle loro capacità, di attenersi alla regola, evitando ciò che è riprovevole per quanto riguarda la carne, il vino e così via, in modo da acquisire una buona reputazione all’esterno e non disonorare né con parole né con opere i precetti dell’Ordine, ma anzi dando prova di rettitudine e saggezza; similmente siano esempio di buone opere per coloro che saranno in loro compagnia e offriranno loro ospitalità. E, se è possibile, le case in cui dormono e sono alloggiati non siano di notte senza un lume, affinché non siano indotti a commettere il male, dal che Dio li guardi.

Del mantenimento della pace

38. Ogni fratello dovrà guardarsi attentamente all’incitare gli altri fratelli all’ira o all’indignazione, poiché per la suprema misericordia di Dio il forte e il debole sono uguali, in nome della carità.

Del giusto comportamento

39. Onde adempiere ai sacri doveri e meritare la gloria della sovrana bontà divina e sfuggire alle terribili fiamme dell’inferno, tutti i fratelli che hanno preso i voti dovranno obbedienza senza indugio al maestro. Poiché niente è più cara Gesù dell’obbedienza. Infetti occorre eseguire l’ordine ricevuto dal maestro, o da chi ne fa le veci, senza por tempo di mezzo, come se l’ordine provenisse da Dio in persona. Poiché Gesù disse in verità, attraverso l a bocca di Davide: ob auditu auris obedivit mihi. Ovvero «appena ha sentito la mia voce mi ha obbedito».

40. Per tale motivo esortiamo fermamente i fratelli cavalieri che hanno rinunciato alla propria volontà a anche a tutti coloro che prestano servizio per un periodo determinato a non recarsi in città senza l’autorizzazione del maestro o di chi ne fa le veci; eccezion fatta per le visite notturne al Sepolcro e agli altri luoghi di preghiera che sono dentro le mura di Gerusalemme.

41. Presso tali luoghi i fratelli potranno recarsi a coppie, altrimenti non dovranno uscire né di giorno, né di notte; e se non alloggiati in una locanda né il fratello né lo scudiero né alcun sergente potranno recarsi nell’alloggiamento dell’altro e fargli visita o parlargli, senza permesso, come si è già detto più sopra. Noi stabiliamo di comune accordo che in quest’Ordine, il quale è retto da Dio, nessun fratello darà battaglia o se ne asterrà in base al proprio volere, ma solo attenendosi ai comandi del maestro, cui tutti dovranno sottomettersi secondo la parola di Gesù, il quale disse: Non veni facere voluntatem meam, sed eius qui misit me, patris. Ovvero: «non sono venuto per fare la mia volontà, ma quella del padre che mi ha mandato».

Degli scambi

42. Nessun fratello potrà scambiare alcunché o chiedere di farlo, a meno che non si tratti di oggetti minuti e di poco conto, senza l’autorizzazione del maestro o di chi è preposto a tale compito

Delle serrature

43. Senza l’autorizzazione del maestro o di chi è preposto all’ufficio, non sarà consentito a nessun fratello il possesso di borse o bauli dotate di lucchetti; sono esenti dal divieto i maestri e i commendatori delle case e delle province. Senza l’autorizzazione del maestro o dei commendatori nessun fratello potrà ricevere lettere da parte di parenti o altre persone; ma, se il maestro o i commendatori ritengono giusto concederglielo, le lettere potranno essere lette.

Dei doni materiali

44. Se un laico dona ad un fratello, in segno di riconoscenza, qualche alimento, ad esempio della carne, il fratello lo consegnerà al maestro o al vivandiere. Ma se un parente o un amico desidera desidera donare qualcosa al fratello e a non altri che a lui, questi non potrà accettare il dono senza il permesso del maestro o di chi ne fa le veci. Inoltre se qualche parente invia alcunché ad un fratello, il dono non gli sarà consegnato senza il permesso del maestro o di chi ne fa le veci. I commendatori e i balivi, ai quali spetta lo svolgimento di tale particolare funzione, vanno intesi esenti da questa regola.

Delle colpe

45. Se un fratello commetterà una lieve mancanza nel parlare, nell’attività militare o in qualunque altra circostanza, sarà egli stesso a confessarlo al maestro, e ne farà ammenda con purezza di cuore. E se non è aduso a commettere tale mancanza gli sia inflitta una lieve punizione; ma si è macchiato di una grave colpa allora lo si escluda dalla compagnia dei fratelli e non mangi più alla loro tavola, ma da solo; e si rimetta alla clemenza e al giudizio del maestro e dei fratelli. E che il giorno del Giudizio possa essere fra gli eletti.

Delle colpe gravi

46. Soprattutto, non dobbiamo permettere che alcun fratello, per quanto potente possa essere, sia egli debole o vigoroso, rimanga impunito, e diventi così sempre più baldanzoso e si vanti delle proprie colpe. Piuttosto, se rifiuta di espiare una punizione ancora più dura. E sebbene le pie ragioni della misericordia inducano a pregare Dio per la sua anima, se egli non vuole fare ammenda, ma anzi si fa sempre più arrogante, venga sradicato dal gregge dei fedeli; infatti ecco la parola dell’apostolo: Auferte malum ex vobis. Ovvero: « allontanate il male da voi». È necessario che rimuoviate la pecora nera dal gregge dei fratelli fedeli.

47. Inoltre il maestro che regge il bastone, con cui deve sostenere le forze e le debolezze altrui, e la verga, con cui deve castigare i vizi dei peccatori, dovrà farlo per amore dei giustizia e con l’approvazione del patriarca. Poiché il mio signore, San Massimo disse: «la clemenza non sia più grande della colpa; né una punizione troppo dura induca il peccatore a ritornare sulla via del male».

Delle dicerie

48. Per monito divino, vi comandiamo di evitare una grave piaga: invidia, dicerie, livori e maldicenze. Ognuno si attenga con zelo alle parole dell’apostolo: Ne sis criminator et susurro in populo. Ovvero. «non vi siano accuse o malignità in mezzo al popolo di Dio». Piuttosto, quando un fratello sa per certo che un compagno ha peccato, lo riprenda in privato e con pietà fraterna, ma se quello non gli da retta, ne convochi un terzo, e se colui che ha peccato disdegna entrambi, allora lo si riprenda pubblicamente dinnanzi all’intero capitolo. Terribile è la cecità di chi denigra gli altri e grande è l’afflizione di quanti non esitano a nutrire invidia l’un con l’altro, poiché a causa di ciò saranno inghiottiti dall’antica empietà del diavolo.

Contro chi si vanta dei propri peccati

49. Quanti si inorgogliscono dei propri peccati dinanzi al severo giudice Gesù Cristo, non mancheranno di pronunciare parole futili, sebbene siano comunemente ritenute peccaminose; il che è confermato dalla parola di Davide: Obmutui et silui a bonis. Ovvero, che i buoni tacciano e si mantengano in silenzio. Allo stesso modo, chi voglia sfuggire al peccato dovrà guardarsi dal parlar male. Noi proibiamo nel modo più assoluto a qualunque fratello di raccontare a chiunque le prodezze compiute nella vita laica, che dovrebbero piuttosto essere definite follie commesse nelle azioni della vita cavalleresca, e i piaceri della carne goduti con donne prigioniere del demonio; se a qualcuno capita di sentir raccontare tali cose da un fratello, lo zittisca immediatamente; e se ciò non gli è possibile abbandoni subito quel luogo e non lasci in balia il suo cuore ai venditori di sozzure.

Contro le richieste

50. Vi ordiniamo fra l’altro di attenervi strettamente e con fermezza alla norma seguente: nessun fratello chiederà esplicitamente ad un altro di cedergli il cavallo o l’armatura. Piuttosto farà in questo modo: se per un’infermità o a causa delle cattive condizioni dei suoi animali e della sua armatura, il fratello non sia in grado di uscire e operare per la casa, senza mettere a repentaglio la propria incolumità, si rechi dal maestro, o da chi ne fa le veci, e lo informi della situazione fraternamente e con purezza d’intenti; dopodiché rimanga a disposizione del maestro o di chi ne fa le veci.

Di animali e scudieri

51. A causa della grande povertà che regna nel tempo presente nella casa di Dio e del Tempio di Salomone, ogni fratello cavaliere non potrà avere più di tre cavalli senza il permesso del maestro. Ad ogni fratello cavaliere assegniamo tre cavalli e uno scudiero, e se lo scudiero si mostrerà ben disposto nel servire la carità, il cavaliere non lo dovrà battere ad ogni mancanza.

Contro i finimenti decorati

52. Nessun fratello cavaliere avrà oro o argento sulle briglie, le staffe, o gli speroni. Ciò nel caso che intenda acquistarli; ma se accade che gli vengano donati, in segno di carità, vecchi finimenti dorati, in cui l’oro e l’argento siano stati grattati via e non possano essere ammirati per il loro splendore, né diventare causa di vanità, allora potrà tenerli. Ma se i finimenti dorati sono nuovi siano sottoposti all’approvazione del maestro.

Dei foderi delle lance

53. I fratelli non adopereranno foderi per le lance o coperture per gli scudi, perché non offrono alcun vantaggio, anzi sono notoriamente assai pericolosi.

Delle sacche per la biada

54. Questa disposizione avrà effetti benefici per tutti, pertanto ordiniamo che d’ora in avanti venga fermamente rispettata, e che nessun fratello adoperi sacche per la biada di lino o lana, né di altri materiali, al di fuori della tela da sacco.

Della caccia

55. In piena concordia di vedute vietiamo ad ogni fratello di cacciare uccelli per mezzo di altri uccelli. Non si addice ad un uomo di religione soccombere ai piaceri, bensì ascoltare di buon animo i comandamenti di Dio, pregare di frequente e confessare ogni giorno, fra le lacrime, i propri peccati. In particolare nessun fratello ritenga lecito accompagnare un altro uomo che cacci gli uccelli per mezzo di altri uccelli. È piuttosto confacente ad un uomo di religione procedere quietamente e umilmente, senza ridere o parlare troppo, ma esprimendosi in modo assennato e senza alzare la voce: per tale motivo in particolare vietiamo a tutti i fratelli di cacciare animali per i boschi con archi e balestre, o di accompagnare un cacciatore, a meno che non si tratti di salvarlo dagli infedeli pagani. Né dovrete andare appresso ai cani, né gridare o chiacchierare, e neanche spronare il cavallo per bramosia di catturare una fiera.

Del leone

56. Invero il vostro dovere consiste nell’offrire le vostre anime per la salvezza dei vostri fratelli, come fece Gesù Cristo, e nel difendere la terra dei pagani miscredenti nemici del figlio della Vergine Maria. Tuttavia la suddetta proibizione a cacciare non riguarda affatto il leone, il quale è sempre in cerca di vittime da divorare, le sue zampe contro ogni uomo e le braccia di ogni uomo contro di lui.

Del possesso di uomini e terre

57. Riteniamo che questo nuovo Ordine sia nato nella Terrasanta d’Oriente, grazie alle Sacre Scritture e alla sua divina provvidenza. Ciò significa che questa confraternita di cavalieri in armi possa uccidere i nemici della Croce, senza commettere peccato. Per questa ragione vi confermiamo il diritto di essere chiamati cavalieri del Tempio. Due volte meritevoli perché onesti e virtuosi, e il diritto di possedere terre e gestire uomini, contadini e compagne che governerete con equanimità, col diritto di usarne secondo quanto è stato specificamente stabilito.

Delle decime

58. Voi che avete abbandonato i piaceri del mondo, avete scelto liberamente di sottomettervi alla povertà; pertanto abbiamo stabilito che voi che vivete la vita comunitaria possiate riscuotere le decime. Se il vescovo locale, al quale le decime andrebbero di diritto, desidera donarvele in nome della carità, può, con il consenso del capitolo, trasferirvi le decime spettanti alla Chiesa. Inoltre, se un laico trattiene le decime del suo patrimonio, a suo danno e contro la Chiesa, e vuole cedervele, può farlo con il permesso del prelato e del suo capitolo.

Dell’esprimere giudizi

59. Sappiamo, per vero, che i persecutori e la dente che ama le dispute e cerca di tormentare con crudeltà i fedeli della Santa Chiesa e i loro amici, sono innumerevoli. Se nell’ambito di una contesa, in Oriente o in qualunque altra regione, una delle due parti in causa, conoscendovi per uomini leali e amanti della verità, vi chiede di pronunciarvi sulla questione, siete tenuti a farlo per esplicito ordine di questo concilio, purché anche l’altra parte acconsenta. Vi atterrete sempre e comunque a questa norma in ogni circostanza.

Dei fratelli anziani

60. Ispirati dalla pietà, ordiniamo che ai fratelli anziani e malfermi vengano riservati onore e reverenza, e siano trattati con riguardo a causa della loro debolezza; essi saranno ben provvisti per ordine della regola di tutto ciò che è necessario per il benessere fisico, in modo che non debbano mai trovarsi in difficoltà.

Dei fratelli infermi

61. I fratelli infermi saranno trattati con riguardo, curati ed accuditi secondo le parole del vangelo e di Gesù Cristo: Infirmus fui et vivitastis me. Ovvero: «Ero malato e mi avete visitato» non dimenticatelo. Poiché i fratelli colpiti dalla sventura dovranno essere trattati con pazienza e premura, e tale servizio compiuto con pronta sollecitudine vi farà guadagnare il regno del paradiso. Raccomandiamo pertanto che il fratello infermiere provveda con diligenza e accortezza,in base alle possibilità e ai mezzi della casa, a procurare quanto è necessario ai diversi fratelli malati, come carne di animali e uccelli e altri alimenti che giovano alla salute.

Dei fratelli defunti

62. Quando un fratello passa dalla vita alla morte, alla quale nessuno può sfuggire, direte una messa per la sua anima con purezza di cuore, e l’ufficio divino sarà celebrati dai sacerdoti che servono il Re supremo; e voi che siete al servizio della carità per un periodo determinato, presenti nella casa dove giace la salma, diranno, nei sette giorni seguenti, cento paternoster. E tutti i fratelli che sono alle dipendenze della casa dove è avvenuta la morte, quando ne saranno avvertiti diranno cento paternoster nel modo suddetto, per amore di Dio. Inoltre, vi esortiamo e comandiamo in virtù della nostra autorità pastorale di dare per quaranta giorni carne e vino a un povero in memoria del fratello defunto, come se egli fosse ancora vivo. Sono espressamente vietate tutte le altre offerte che solevano essere fatte, liberamente e e senza discrezione, da parte dei poveri Cavalieri del Tempio per la morte di un fratello, in occasione della Pasqua e di altre festività.

63. Inoltre, professerete la vostra fede con purezza di cuore, giorno e notte, in modo da poter essere paragonati, in questo, al più saggio dei profeti, il quale disse: Calicem salutaris accipiam. Ovvero: «Accoglierò il calice della salvezza». Che vuol dire: «con la mia morte vendicherò la morte di Gesù Cristo. Poiché come Gesù Cristo ha offerto il suo corpo per me, io sono pronto, allo stesso modo, a offrire la mia anima per i fratelli». È questa un’offerta meritoria; infatti il sacrificio della vita è molto apprezzato da Dio.

Dei preti e dei chierici al servizio della carità

64. Nella sua interezza e di comune accordo, il concilio vi ordina di rendere le offerte e le elemosine, di qualunque genere, ai cappellani e ai chierici e a coloro che vivono nella carità per un periodo determinato. Nel rispetto della volontà del Signore Dio, i servi della Chiesa riceveranno solo cibo e abiti, e non potranno possedere nient’altro a meno che il maestro, per misericordia, non voglia donar loro qualcosa.

Dei cavalieri laici

65. Coloro che prestano servizio in nome della misericordia e rimangono presso di voi per un periodo determinato sono cavalieri della casa di Dio e del Tempio di Salomone; perciò se durante tale periodo uno di loro dovesse essere chiamato a Dio, vi comandiamo fermamente, in nome dell’amore di Dio e della misericordia fraterna, di nutrire un povero per sette giorni per il bene dell’anima del defunto, e che ogni confratello della casa dica trenta paternoster.

Dei cavalieri laici che prestano servizio per un periodo determinato

66. Ordiniamo a tutti i cavalieri laici che desiderano con purezza di cuore di servire Gesù Cristo e la casa del Tempio di Salomone per un periodo determinato di acquistare onestamente un cavallo e armi adatti e quant’altro è necessario a tale scopo. Inoltre disponiamo che ambo le parti concordino il prezzo del cavallo e lo mettano per iscritto in modo che non possa essere dimenticato; ciò di cui abbisognano il cavaliere, il suo scudiero e il suo cavallo, ivi compresi i ferri di cavallo, verrà loro assegnato per carità fraterna, in base alle possibilità della casa. Se durante la permanenza del cavaliere, il suo cavallo dovesse morire mentre è impegnato al servizio della casa, se la casa può permetterselo, il maestro gliene assegnerà un altro. Se, al termine del servizio, il cavaliere desidera far ritorno in patria, in segno di carità lascerà alla casa metà del prezzo del cavallo, e se lo desidera potrà prendere l’altra metà dalle elemosine della casa.

Del giuramento dei sergenti

67. É opportuno che gli scudieri e sergenti che giungono da terre diverse, spinti dal desiderio di servire la carità per la salvezza delle loro anime, nella casa del Tempio, e per un periodo determinato, pronunciano un formale giuramento, affinché l’invidioso nemico non possa indurli a pentirsi e a rinunciare ai loro buoni propositi.

Dei mantelli bianchi

68. Per volontà unanime del capitolo, noi decretiamo che sia decisa la condanna e l’espulsione di chiunque tenga abitualmente un contegno sconveniente nella casa di Dio e dei cavalieri del Tempio; comandiamo inoltre che il mantello bianco non venga assegnato a sergenti e scudieri, poiché tale usanza ha molto nuociuto alla casa; infatti nelle regioni poste al di là delle montagne vi era l’uso di accogliere falsi fratelli, uomini sposati e altri che dicevano di essere fratelli del Tempio e invece appartenevano al mondo. Ci arrecarono tanta vergogna e a tal punto nocquero all’Ordine che perfino i loro scudieri se ne vantavano; e ne nacquero numerosi scandali. Perciò non mancate di assegnare i loro mantelli neri; in mancanza di questi, date loro qualunque veste riusciate a reperire nella provincia; o quanto vi sia di meno costoso, ovvero un burello.

Dei fratelli sposati

69. Se uomini sposati chiedono di essere ammessi a partecipare alla confraternita, ai benefici e alle devozioni della casa, vi consentiamo di accoglierli alle seguenti condizioni: che dopo la loro morte il marito e la moglie lascino una parte dei loro beni e tutto ciò che hanno acquisito dal momento dell’ingresso nell’Ordine; che conducano nel frattempo vita onesta e si sforzino di ben comportarsi nel confronti dei fratelli; che non indossino il mantello o altre vesti di color bianco; inoltre qualora muoiano prima della consorte, una parte dei beni andrà ai fratelli e l’altra alla moglie affinché possa mantenersi finché rimane in vita; inoltre non riteniamo giusto che tali confratelli debbano condividere la casa con i fratelli che hanno fatto voto di castità dinanzi a Dio.

Delle sorelle

70. La compagnia delle donne è pericolosa, poiché il demonio, da sempre loro compagno, ha potuto distogliere molti dalla retta via del paradiso. D’ora in avanti le donne non saranno più accolte nella casa del Tempio in qualità di sorelle; carissimi fratelli, d’ora in avanti converrà abbandonare tale usanza, in modo che il fiore della castità rimanga sempre fra voi.

Contro la frequentazione delle donne

71. Stimiamo pericoloso per qualunque uomo di religione guardare troppo a lungo il volto femminile. Pertanto nessuno di voi osi baciare una donna, essa sia vedova o fanciulla, sia essa madre, sorella, zia o altro; e d’ora in avanti i Cavalieri di Gesù Cristo eviteranno ad ogni costo di baciare le donne, a causa delle quali sovente gli uomini si sono perduti, in modo da rimanere per sempre dinanzi al volto di Dio, con la coscienza pura e l’animo saldo.

Del divieto di essere padrini

72. Nessun fratello oserà, d’ora in avanti, tenere a battesimo un bambino e nessuno avrà vergogna nel rifiutare di essere padrino o madrina; tale vergogna procura infatti più gloria che infamia.

Dei comandamenti

73. Tutti i comandamenti citati e scritti nella presente regola sono soggetti alla discrezione e al giudizio del maestro.

Festività da celebrare e giorni in cui occorre osservare il digiuno

74. I fratelli del Tempio, presenti e futuri, sappiano che devono digiunare alla vigilia delle feste dei dodici apostoli. Ovvero: SS. Pietro e Paolo; S. Andrea; SS. Giacomo e Filippo; S. Tommaso; S. Bartolomeo; SS. Giuda e Simone; S. Giacomo; S. Matteo. La vigilia di S. Giovanni Battista; la vigilia dell’Ascensione e i due giorni che precedono le rogazioni; la vigilia di Pentecoste; le Quattro Tempora; la vigilia di S. Lorenzo; la vigilia dell’Assunzione di Nostra Signora; la vigilia di Ognissanti; la vigilia dell’Epifania. Nei giorni citati occorrerà osservare il digiuno secondo i comandamenti stabiliti da papa Innocenzo nel concilio che si è tenuto a Pisa. E se qualcuna delle feste menzionate cade di lunedì, si digiunerà il sabato precedente. Se la natività di Nostro Signore cade di venerdì i fratelli mangeranno ugualmente la carne per onorare la festa. Ma digiuneranno per la festa di S. Marco per le litanie stabilite dalla Chiesa di Roma a beneficio degli agonizzanti. Tuttavia non digiuneranno se tale festa cade durante l’ottava di Pasqua.

Festività che devono essere osservate nella casa del Tempio

75. La natività di Nostro Signore; la festa di S. Stefano; di S. Giovanni evangelista; SS. Innocenti martiri; l’ottavo giorno dopo Natale, che è Capodanno; l’Epifania; la Candelora; S. Mattia apostolo; L’Annunciazione di Nostra Signora in marzo; Pasqua e i tre giorni successivi; S. Giorgio; SS. Filippo e Giacomo apostoli; il ritrovamento della Santa Croce; l’Ascensione di Nostro Signore; la Pentecoste e i due giorni successivi; S. Giovanni Battista; SS. Pietro e Paolo apostoli; S. Maria Maddalena; S. Giacomo apostolo; S: Lorenzo; l’Assunzione di Nostra Signora; la natività di Nostra Signora; L’esaltazione della Santa Croce; S. Matteo apostolo; S. Michele; SS. Simone e Giuda; festa di Ognissanti; S. Martino d’inverno; S. Caterina d’inverno; S. Andrea; S. Nicolò d’inverno; S. Tommaso Apostolo.

76. Nessuna delle altre feste sia affatto osservata nella casa del Tempio. Vi esortiamo inoltre ad attenervi rigorosamente a questa norma: tutti i fratelli del Tempio digiuneranno dalla domenica che precede S. Martino fino alla Natività di Nostro Signore, a meno che non ne siano impediti da qualche infermità. E se la festa di S. Martino cade di domenica, i fratelli faranno a meno della carne la domenica precedente.

Qui hanno inizio gli statuti e le istituzioni gerarchiche della casa del Tempio

Statuti del maestro

77. Il maestro ha diritto a quattro cavalli, un cappellano, un chierico con tre cavalli, un sergente con due cavalli e un valletto di nobile lignaggio con un cavallo che porta il suo scudo e la sua lancia; se lo desidera il maestro può fare cavaliere il valletto che lo ha servito per un certo periodo; ma ciò non dovrebbe accadere troppo spesso. Ha diritto inoltre a un maniscalco, uno scrivano saraceno, un turcopolo, e un cuoco; e può avere due fanti e un turcomanno che deve essere sempre sorvegliato nella carovana. E quando il maestro si reca a cavallo da un luogo all’altro il turcomanno deve essere scortato ad uno scudiero a cavallo; al ritorno del maestro, il turcomanno deve tornare nella carovana e durante i periodi di guerra rimane al suo seguito.

78. Quando il maestro si reca a cavallo da un luogo all’altro, può portare con se due bestie da soma. E tali bestie da soma saranno al suo seguito, sia nell’accampamento sia al pascolo. E durante il tempo di guerra il maestro può disporre di quattro bestie da soma, e anche quando deve varcare il fiume Giordano o la Gola del Cane. Ma quando il maestro è nel convento, le bestie da soma devono tornare nelle stalle ed essere impiegate al servizio della casa.

79. Il maestro ha diritto ad essere accompagnato da due cavalieri, tanto valorosi da meritare di prendere parte anche ai consigli ristretti, cui partecipano solo cinque o sei fratelli; e spetta loro la stessa razione di orzo del maestro. E mentre i fratelli del convento hanno diritto ad una razione (di orzo) ogni dodici cavalli, il maestro ne ha una ogni dieci. E durante il tempo di guerra, quando i cavalieri escono dalla casa, le scorte (di orzo) sono messe in comune e possono essere aumentate o diminuite solo per ordine del capitolo, Lo stesso vale per l’olio e per il vino. Fintantoché gli animali sono al pascolo il maestro può ridurre le razioni di orzo, ma quando l’erba viene a mancare, le razioni devono rimanere invariate.

80. Nel caso che Dio chiami a sé uno dei compagni del maestro, questi può tenere ciò che gli aggrada del suo equipaggiamento e consegnare il resto al maresciallo per la carovana.

81. Il maestro non deve avere le chiavi o il lucchetto del tesoro. Tuttavia può tenere all’interno del tesoro un forziere per custodirvi i propri gioielli; e quant’altro gli venga donato dovrà essere custodito nel tesoro.

82. Il maestro può dare in prestito i beni della casa fino a mille bisanti, con il consenso di alcuni dei fratelli più valorosi; se desidera dare in prestito somme più ingenti dovrà avere l’approvazione della maggioranza dei fratelli più valorosi. Il maestro può donare cento bisanti o un cavallo a un nobile amico della casa; o anche un calice d’oro o d’argento, o una pelliccia di vaio o altri oggetti preziosi del valore di non più di di cento bisanti, purché il dono vada a vantaggio della casa; e il maestro può fare tali doni solo con il consenso dei suoi compagni e degli uomini più valorosi, sempre a vantaggio della casa. Ogni tipo di arma può essere donato, tranne la lancia, la spada e il giaco.

83. I beni che giungono da Occidente devono essere riposti nel tesoro, per ordine del commendatore del regni di Gerusalemme, e nessuno può prelevarli o trasferirli senza l’autorizzazione del maestro.

84. I cavalli che giungono da Occidente devono essere condotti nella carovana del maresciallo e il maresciallo non può assegnarli né trasferirli prima che il maestro ne abbia preso visione; e se gli aggrada il maestro può tenerne uno o più per se; può anche prelevare uno o due cavalli e donarli a un valoroso cavaliere secolare amico della casa. E se gli vengono donati dei cavalli egli può assegnarli ad altri fratelli a sua discrezione. E il maestro può richiedere e prendere il cavallo di qualunque fratello per donarlo a un ricco cavaliere secolare, a beneficio della casa, o per cavalcarlo egli stesso, e il fratello non avrà nulla da obiettare. E, se gli aggrada, il maestro può dare a quel fratello cento bisanti per comprarsene un altro, se il suo cavallo è stato ben curato; altrimenti il maestro ordinerà al maresciallo di assegnargli un altro cavallo che gli piaccia, e se dispone di cavalli il maresciallo eseguirà l’ordine.

85. Il maestro non può donare o alienare terre, né acquisire castelli in marche lontane senza il consenso del capitolo; e un ordine dato da lui stesso o dal convento non può essere ridotto o esteso senza il consenso suo e del convento. E il maestro non può dichiarare la guerra o addivenire ad un armistizio per quanto riguarda terre e castelli di proprietà della casa, senza il consenso del convento; ma se una tregua viene violata il maestro può rinnovarla dopo aver sentito il parere dei fratelli di quella provincia.

86. Quando torna da un viaggio, ha subito un salasso o ha ospiti (cavalieri o altri laici), il maestro può mangiare nella sua stanza. Quando è infermo può giacere nella sua stanza, e i suoi compagni devono mangiare nel palazzo con gli altri fratelli; quando si è rimesso deve mangiare nell’infermeria, per il bene di tutti i fratelli che vi si trovano ricoverati, per l’affetto che nutrono per lui.

87. Il maestro non può nominare i commendatori delle case dei diversi regni senza il consenso del capitolo: ciò vale per il siniscalco, il maresciallo, il commendatore il regno di Gerusalemme, il commendatore della città di Gerusalemme; il commendatore di Acri, il drappiere, il commendatore delle terre di Tripoli e d’Antiochia, quello di Francia e Inghilterra, del Poitou, d’Aragona, del Portogallo, di Apulia e d’Ungheria. E detti commendatori d’Occidente non potranno venire in Oriente a meno che non vengano chiamati dal maestro e dal capitolo. E la nomina degli altri commendatori o dei balivi, nelle province povere, è affidata al maestro con il consenso del capitolo, o in mancanza del capitolo, da alcuni dei fratelli più valorosi della casa; e non può nominarli senza il consenso del capitolo, ma può rimuoverli senza il consenso del capitolo, dopo aver sentito i più valorosi fratelli della casa.

88. E se un fratello visitatore o un commendatore nominati dal capitolo generale non rispondono per un qualsivoglia motivo al richiamo del maestro o del convento, vengono destituiti e devono inviare al maestro e al convento il sigillo e il tesoro; e da quel momento smetteranno di prendere parte alle missioni in nome della casa e di esercitare l’autorità del baliato; e i fratelli non obbediranno più a loro, ma li sostituiranno con un fratello valoroso come commendatore, informeranno il maestro e il convento dell’accaduto e attenderanno istruzioni. Se ne diano per inteso i balivi nominati su indicazione del maestro.

89. Se desidera recarsi nella terra di Tripoli o Antiochia, il maestro può prelevare dal tesoro tremila bisanti e se necessario di più, onde aiutare le case che si trovano in quelle terre. Ma non deve prelevarli senza il consenso del commendatore del regno di Gerusalemme, che è il tesoriere del convento e custodisce le chiavi del tesoro; spetta a lui consegnare i bisanti al maestro. Se le case visitate nostrano di non aver bisogno di denari, il maestro li restituisce al commendatore, il quale li ripone nel tesoro.

90. Viaggiando da un luogo ad un altro, il maestro deve esaminare le condizioni di case e castelli; se lo desidera e lo ritiene necessario, può indurre una casa ad aiutarne un’altra. Se desidera prendere qualcosa, deve farsela consegnare dal commendatore che ne sia responsabile; ciò valga per tutti i balivi, dal più piccolo al più grande.

91. Se il maestro o un commendatore chiedono ad un commendatore di minor grado di mostrare loro quanto vi è nella casa, questi deve obbedire prontamente; se mente o cela alcunché e viene trovato colpevole, può essere espulso dalla casa. Se alla casa vengono donati dei beni, il maestro ne prende possesso e li consegna al commendatore del regno di Gerusalemme, che deve riporli nel tesoro comune.

92. Nell’allontanarsi dal regno di Gerusalemme, il maestro può affidare il proprio incarico al commendatore della terra o a un altro fratello; e colui che prende il suo posto non vedrà crescere la sua autorità, ma darà il suo consiglio su ciò che accade nella terra e per cui il maestro non può intervenire, e terrà capitolo e chiamerà alle armi: tutti infatti dovranno obbedirgli.

Il maestro non deve inviare a Tripoli e Antiochia alcun fratello perché dia istruzioni, in sua vece, ai commendatori di quelle terre, a meno che il suo parere non sia richiesto dalle circostanze o non si tratti di ispezionare le guarnigioni dei castelli; poiché per tali cose, essi devono obbedirgli.

Se desidera inviare un qualche valoroso fratello in Occidente, affinché curi in sua vece gli interessi della casa, il maestro deve chiedere il consenso del capitolo, e può allontanare dal capitolo qualunque balivo, con la sola eccezione del siniscalco.

93. Se nel corso del capitolo generale, il maestro manifesta l’intenzione di inviare dei fratelli in Occidente, a causa di infermità o perché curino gli interessi della casa, deve rivolgersi al maresciallo, al commentatore della terra, al drappiere, al commendatore di Acri e a tre o quattro valorosi cavalieri della casa, dicendo loro: <<Esaminate i fratelli e decidete quali fra loro convenga inviare oltremare>>; ed essi si recheranno nell’infermeria e nelle altre parti della casa. Quindi metteranno per iscritto i nomi di coloro che riterranno opportuno inviare oltremare e li sottoporranno al maestro; e questi potrà modificare la lista solo dopo aver sentito il loro parere.

94. Se alla casa del tempio vengono donati, in elemosina, oggetti preziosi, il maestro può accettarli e donarli a chi più gli aggrada, o riporli nel proprio forziere con i suoi gioielli.

Spetta al maestro decidere se il vino di compieta debba essere negato o concesso ai fratelli; inoltre, se non sono stati loro assegnati per decisione del capitolo, sono a discrezione del maestro il quarto cavallo e il secondo scudiero dei fratelli cavalieri e il secondo cavallo dei fratelli sergenti.

Ogni giorno che il maestro trascorre nella casa del Tempio, cinque poveri mangeranno, in suo onore, lo stesso cibo dei fratelli.

95. Nessuno dei fratelli puniti dinanzi al maestro si può alzare da terra a meno che non sia egli stesso a farlo alzare; e gli altri fratelli possono esentarlo dal lavoro manuale e dal digiuno, ma non dal rimanere a terra e dal digiuno del venerdì.

Non è concesso ad alcuno sottoporsi ad un salasso, far correre i cavalli, prendere un bagno, o giostrare dinanzi al maestro, senza il suo permesso.

Quando il maestro esce a cavallo, se un fratello lo incontra o lo accompagna, non può lasciarlo senza essere stato congedato.

Mentre mangia alla tavola del convento, il maestro può offrire la propria scodella a chiunque gli aggradi, ma nessun altro fratello può fare lo stesso.

96. Dopo la Pasqua, quando la casa deve affrontare grosse spese, e il commendatore avvisa il maestro che la carne scarseggia, il maestro può comunicarlo ai fratelli e deve chiedere il loro parere; e se sono d’accordo, i fratelli possono rinunciare alla carne del martedì. Ma potranno averla dopo la mietitura.

Poiché ogni volta che agisce su consiglio del convento, il maestro deve consultare la comunità dei fratelli e prendere la decisione sulla quale vi sia accordo tra lui e la maggior parte dei fratelli.

Se un fratello o chiunque altro, residente qui o in Occidente, invia un dono a un fratello defunto, il dono deve essere consegnato al maestro.

97. Il maestro non può accogliere nuovi fratelli senza il consenso del capitolo, ma se, in assenza del capitolo, un uomo valoroso lo scongiura dei accoglierlo nell’Ordine per amore di Dio, poiché si sente ormai prossimo alla morte, se gli pare che quell’uomo abbia il diritto e con il consenso dei fratelli presenti, il maestro può soddisfare la sua richiesta, a patto che divenga fratello sincero e leale; e se Dio gli ridona la salute, non appena si trova nella casa, il nuovo arrivato deve fare professione di fede dinanzi all’intera comunità dei fratelli e imparare quanto è richiesto a ogni fratello.

Le vesti e la biancheria che il maestro non usa più saranno donate, per amore di Dio, ai lebbrosi o ad altri che ne faccia buon uso. E se il maestro dona a un fratello uno qualunque dei suoi abiti, il fratello, per amore di Dio, ne donerà a sua volta uno ai lebbrosi o ad altri che ne faccia buon uso.

98. Ogni Giovedì Santo, il maestro laverà i piedi a tredici poveri, e donerà ad ognuno di loro camice e brache, due pagnotte, due denari e un paio di scarpe. E se nel luogo in cui si trova non può disporre di tali cose, le donerà, per amore di Dio, appena giunto nella prima casa del Tempio posta sul suo cammino.

In tempo di guerra, quando i fratelli sono sul campo di battaglia, il maestro può essere scortato da sei, otto o anche dieci fratelli

Tutti i fratelli del Tempio devono obbedire al maestro e il maestro deve obbedire alla casa.

Statuti del siniscalco

99. Il siniscalco deve avere quattro cavalcature e un palafreno al posto di un mulo; ha diritto a due scudieri, ed è accompagnato da un fratello cavaliere, anch’egli con quattro cavalli e due scudieri; deve disporre inoltre di un sergente con due cavalli, di un diacono che celebri per lui le ore canoniche, un turcopolo con un cavallo, uno scrivano saraceno con un cavallo, e di due fanti, e può portarli tutti con sé. E deve avere un sigillo come il maestro.

Il siniscalco porta lo stendardo bicolore, la sua tenda è circolare come quella del maestro, e ogni volta che il maestro è assente il siniscalco ne fa le veci. E i suoi cavalli prendono tanto orzo quanto quelli del maestro. E in ogni luogo, quando il maestro è assente, le terre, le case e i beni del Tempio sono sotto l’autorità del siniscalco.

100. Quando il siniscalco si trova in una delle terre del Tempio, senza maestro, deve ispezionarla e può prelevare da essa ciò che gli aggrada e ordinare a una casa di andare in soccorso di un’altra; e, se vuole, può trasferire un fratello da una terra all’altra, ad eccezione di quella in cui si trova il maestro.

Il siniscalco può donare ad un valoroso amico dell’ordine un palafreno, un mulo o una mula, una sella da combattimento, una preziosa coppa d’argento, un abito di pelliccia di gris-bleu o di scarlatto, o oggetti di minor valore. Ma tali doni devono essere fatti con il consenso dei fratelli del convento e a a vantaggio della casa.

Statuti del maresciallo del convento del Tempio

101. Il maresciallo deve avere quattro cavalli e due scudieri, e invece del mulo gli viene assegnato un bel turcomanno, e se qualcuno dei fratelli glielo chiede egli può rifiutare di darlo via se non gli aggrada. Ma se dispone di un roncin da combattimento e un fratello glielo chiede deve darglielo. Consegnare lo stallone di un altro fratello. Ha diritto anche a un sergente con un cavallo, al quale se lo desidera può prestare un’altra delle cavalcature della carovana; deve avere un turcopolo con un cavallo, e una tenda a quattro falde, tre aste, due picchetti, più una tenda per gli scudieri e l’equipaggiamento; e deve avere armi e razioni in misura uguale agli altri fratelli del convento. E durante gli spostamenti di ogni genere, è il carro del commendatore del luogo a trasportare la sua tenda, il suo orzo e il suo calderone.

102. Tutte le armi della casa ricadono sotto l’autorità del maresciallo; quelle acquistate per i fratelli del convento, quelle ricevute in dono, e quelle strappate al nemico. E tutte le armi comprese nel bottino… o il corrispettivo ricavato dalla loro vendita… devono essere consegnate al maresciallo. Così come le armi dei fratelli defunti; ad eccezione delle balestre, che vanno al commentatore della terra, e delle armi turche acquistate dai commendatori per i sergenti che ricadono sotto la lor autorità. Spetta al maresciallo dari ordini e schierare i fratelli in battaglia, e può farsi sostituire solo se è assente o infermo.

103. Quando si leva il grido di guerra, i commendatori delle case devono radunare i loro cavalli e unirsi allo squadrone del maresciallo e non abbandonarlo fino a nuovo ordine. E tutti i sergenti devono appressarsi al turcopolerio e non allontanarsi fino a nuovo ordine. Tutti i cavalieri e i sergenti e gli uomini in armi, fintantoché sono sotto le armi, sono agli ordini del maresciallo.

Ovunque si trovi, il maresciallo può acquistare cavalli e muli o mule. Ma deve informare il maestro, e il maestro deve consegnargli i bisanti di cui abbisogna.

Il maresciallo può donare a un nobile laico una sella usata o regalata al convento e altri piccoli accessori, ma con moderazione e sempre con il consenso del maestro.

104. Quando il maresciallo si trova nelle terre di Tripoli o Antiochia, il commentatore può assegnargli il il maresciallato di quelle terre, ma non è obbligato a farlo. E se gli aggrada il maresciallo può accettare l’incarico, ma non è obbligato a farlo. E se il commentatore gli affida l’incarico ed egli lo accetta, può assegnare ai fratelli ciò di cui abbisognano. E se non lo accetta sarà il maresciallo del convento ad occuparsi dell’equipaggiamento leggero. Il maresciallo non ha poteri sui marescialli locali, eccezion fatta per i comandamenti della casa, che egli dovrà eseguire ovunque si trovi, in particolare per quanto attiene l’equipaggiamento leggero. Tuttavia se ordina al maresciallo locale di dare uno dei cavalli della carovana a un fratello che risiede in quella terra, il maresciallo locale deve obbedirgli.

105. Ma se il maresciallo del convento prega di darlo ad un fratello non residente nella terra, può rifiutare. Tuttavia se, in tempo di guerra,il maresciallo del convento può recarsi presso la carovana e ordinare al maresciallo locale di assegnare un certo cavallo ad un fratello, e il maresciallo locale deve obbedirgli. E al ritorno dalla guerra i fratelli devono ricondurre i cavalli presso la carovana. Se vi sono due squadroni di cavalieri, il maresciallo locale ne comanda uno; in mancanza del maresciallo locale, lo squadrone viene affidato, se ciò gli aggrada, al commendatore della terra.

106. Se lo desidera, il maresciallo del convento può nominare il sotto-maresciallo e il gonfaloniere in modo avveduto. E se desidera trasferire parte dell’equipaggiamento del maresciallato da una casa all’altra, da portare in guerra o in spedizione militare o durante il riposo dei cavalli, il commendatore della terra deve organizzare il trasporto di quanto affidatogli dal maresciallo per mezzo di bestie da soma.

Il commendatore di una qualunque terra in cui il maresciallo del convento venga a trovarsi, non deve utilizzare i cavalli del convento per far trasportare le salmerie, senza avvisare il maresciallo stesso.

Quanto si è detto a proposito del maresciallo del convento della terra di Tripoli, vale anche per la terra di Antiochia.

Spetta al maresciallo del convento fare chiamare i fratelli alle armi e dare loro gli ordini, anche in presenza del maestro o di chi ne fa le veci, poiché egli è balivo del convento. Il maresciallo deve tenere capitolo nella terra di Gerusalemme in assenza del maestro, del siniscalco o del sostituto maestro.

107. I cavalli che giungono da Occidente devono essere sorvegliati nella carovana fintantoché il maestro non gli abbia esaminati. Come si è già detto, il maestro può prelevarne uno o due ad opus suum o per farne dono; ma fintantoché non li dona deve lasciarli nella carovana; il maresciallo può disporre degli altri cavalli assegnandoli ai fratelli che ne abbiano necessità.

Se un fratello residente nella terra passa a miglior vita, o viene inviato in un’altra provincia senza il suo equipaggiamento, l’equipaggiamento deve restare presso il maresciallato della provincia, mentre l’equipaggiamento degli altri fratelli del convento deve essere custodito nel maresciallato del convento.

108. Il maresciallo non può trasferire i fratelli da una casa del Tempio all’altra, se non in seguito a scambio. Il maresciallo del convento non può trasferire nel convento un fratello che risieda nella terra, né inviarlo fuori dalla terra, né dislocarlo nella terra, senza il consenso del maestro. Il maestro o il convento possono escludere fratelli dal capitolo in occasione della nomina del commentatore di una delle provincie d’Oriente, ma non possono escludere il maresciallo a meno che non sia stato congedato; tutti i commendatori delle provincie d’Oriente, ad eccezione del siniscalco e del commendatore del regno di Gerusalemme, possono essere esclusi dal capitolo in occasione della nomina dei marescialli, anche se non sono stati congedati.

109. Il maresciallo non può costringere con la forza un suo collega a vivere in un’altra terra, ma può mandarlo in missione solo per due settimane, per trasferire le salmerie o lo squadrone.

Il maresciallo e il commendatore della terra devono provvedere a tutto ciò di cui il maresciallato necessita, tranne l’acciaio e il filo di Borgogna.

Statuti del commendatore della provincia e del regno di Gerusalemme

110. Il commendatore del regno di Gerusalemme dispone di quattro cavalli e di un palafreno in luogo del mulo; ha diritto a due scudieri, un sergente con due cavalcature, un diacono che sappia scrivere, un turcopolo con un cavallo, uno scrivano saraceno con un cavallo e due fanti al pari dei siniscalco; dispone inoltre di una tenda per gli scudieri e di un padiglione come il maresciallo. Suo compagno è il drappiere della casa.

111. Il commendatore della terra è il tesoriere del convento; tutti i beni della casa, qualunque ne sia la provenienza, di qua o di là del mare, sono affidati nelle mani del commendatore della terra e a lui amministrati; egli deve riporli nel tesoro e non può toccarli o trasferirli fintantoché il maestro non li abbia stimati; dopodiché la stima viene messa per iscritto e il commendatore deve metterli nel tesoro e può usarli per la necessità della casa. E se il maestro o una parte dei fratelli più valorosi glielo domandano, egli deve renderne conto.

112. Il commendatore della terra deve fornire al drappiere quanto gli serve, e prelevare da lui ciò che gli aggrada, su consiglio del drappiere; e il drappiere deve obbedirgli.

Il commendatore della provincia può donare un palafreno, un mulo o una mula, una coppa d’argento, una pelliccia di vaio o di brunete, o un triangolo di pelliccia di vaio o una tela di Reims agli amici che fanno ingenti donazioni alla casa del Tempio. E tutti gli abiti di vaio o di scoiattolo o di scarlatto e tutte le stoffe non cucite donate al convento sono a disposizione del commendatore della provincia; e le altre vesti cucite devono essere riposte nella sartoria.

113. Le donazioni e i lasciti dei valore di cento o più bisanti devono andare al commendatore della provincia.

Ma se la donazione supera i cento bisanti va versata nel tesoro, mentre se è inferiore va consegnata al commendatore della casa che ha beneficiato dell’elemosina; le donazioni, grandi o piccole, fatte alla casa del mare, devono essere versate nel tesoro.

Se uno schiavo a disposizione del commendatore paga per il proprio riscatto una somma di mille o più bisanti, il denaro deve essere custodito nel tesoro; ma se il riscatto è inferiore ai mille bisanti deve essere consegnato al commendatore; e se lo schiavo risiede nel maresciallato e il riscatto è inferiore a mille bisanti deve essere consegnato al maresciallo; ma se il riscatto supera i mille bisanti deve essere versato nel tesoro.

114. Il commendatore può assegnare ai fratelli uno o due dei suoi muli o un’altra delle sue bestie da soma; ma non troppo spesso. Inoltre il commendatore non deve accogliere nella sua carovana animali che i fratelli abbiano sostituito con altri; questi devono essere condotti nelle stalle comuni, a meno che la sostituzione non sia stata autorizzata dal maestro.

Se qualunque fratello chiede che gli venga assegnato come cavalcatura uno dei puledri accuditi dai fratelli al servizio del commendatore, questi può concederne uno o due; ma non lo faccia troppo di sovente.

115. Se il commendatore ha bisogno di cavalli per le stalle o le mandrie dei fratelli, e li chiede al maresciallo, questi, se lo può, deve aiutarlo, prestandogli puledri o cavalli. Ma se lo ritiene opportuno ne può chiedere la restituzione per assegnarli ai fratelli del convento; e il commendatore deve restituirli quando è necessario. Se un fratello chiede al maresciallo un cavallo che questi ha prelevato dalle stalle, il maresciallo glielo può consegnare perché tutti i cavalli provenienti dalle stalle devono essere restituiti; ma se il commendatore compra dei puledri, o altri animali, e li affida ai fratelli poiché li allevino, il maresciallo non può prelevarli senza l’autorizzazione del commendatore o del maestro. E se il maresciallo non ha mezzi per comperarli, ne deve informare il maestro o il commendatore e questi gli fornirà gli animali allevati dai fratelli al suo servizio, con i quali potrà soddisfare le richieste dei fratelli del convento. E il maestro stesso non può prelevarne nemmeno uno senza il consenso del commendatore, e il commendatore deve obbedire al maestro. Il commendatore può acquistare bestie da soma, cammelli e qualunque altro animale di cui abbia bisogno per la propria attività.

116. Il bottino, le bestie da soma, gli schiavi e il bestiame di cui le case del regno di Gerusalemme si impadroniscono in guerra, vanno messi a disposizione del commendatore della terra, esclusi i destrieri, le armi e le armature, che vanno al maresciallo.

Se il commendatore del regno di Gerusalemme intende uscire a cavallo, portando con sé dei beni, può richiede una scorta al maresciallo, e il maresciallo deve fornirgliela.

117. Qualora i cavalli del commendatore siano sfiniti o inutilizzabili, ed egli necessiti di altri cavalli per servire la casa, li deve chiedere al maresciallo o a chi ne fa le veci, e questi glieli deve fornire; e il commendatore deve far rientrare i suoi cavalli nella carovana. Al suo ritorno riprenderà i suoi cavalli e restituirà quelli presi in prestito.

Se lo desidera, il commendatore può farsi decorare una sella nel maresciallato, per se stesso o anche per donarla ad amici della casa, ma non troppo spesso.

118. Il commendatore della provincia non può trasferire un fratello da un baliato all’altro, se non è il maestro a richiederlo.

Le case e i casali del regno di Gerusalemme, e tutti i fratelli che vi risiedono, sono soggetti all’autorità del commendatore della terra.

E se il maestro è presente, il commendatore non può invitare nobili o cavalieri o fare loro doni, ma solo ricevere in forma privata gli amici della casa. Ma in assenza del maestro può farlo.

119. Il commendatore può attingere alle casse della casa solo dopo aver informato il maestro e con il suo consenso.

Tutte le navi che appartengono alla casa di Acri sono soggette all’autorità del commendatore della terra. E il commendatore della Volta d’Acri e tutti i fratelli posti alle sue dipendenze sono soggetti all’autorità del commendatore della terra, e tutto ciò che le navi trasportano deve essere affidato al commendatore della terra. Ma gli oggetti inviati specificamente al maestro o a un altro fratello devono essere consegnati al destinatario.

Quando si tratta di suddividere i fratelli del convento fra le diverse sedi, il commendatore può dire al maresciallo: <<Assegnatene tanti a questa casa e tanti a quest’altra>>. E il maresciallo deve obbedire e non dislocarne né più né meno.

Statuti del commendatore della città di Gerusalemme

120. Il commendatore della città di Gerusalemme deve avere quattro cavalli, e, al posto di un mulo, un turcomanno o un bel ronzino, due scudieri, un fratello sergente con due cavalli, uno scrivano saraceno con un cavallo e un turcopolo pure con un cavallo; riceve razioni uguali a quelle del maestro e il commendatore dei cavalieri di Gerusalemme ricade sotto la sua autorità.

121. Il commendatore della città di Gerusalemme ha ai suoi ordini dieci cavalieri, per guidare e proteggere i pellegrini che che giungono al fiume Giordano; e porta con se una tenda circolare e lo stendardo bicolore o un’altra insegna per tutto il tempo in cui rimane in carica.

Se mentre è accampato incontra un uomo valoroso e bisognoso d’aiuto, lo deve accogliere nella propria tenda e dividere con lui le offerte dell’Ordine; e per tale motivo deve avere con sé una tenda circolare e del cibo e degli animali da soma per trasportare i pellegrini nel caso ce ne fosse bisogno.

122. Quando la Vera Croce viene trasferita da un luogo a un altro, il commendatore di Gerusalemme e dieci cavalieri devono sorvegliarla giorno e notte, devono accamparsi il più vicino possibile alla Vera Croce, per tutta la durata del viaggio; e ogni notte due cavalieri a turno devono montare di guardia accanto ad essa; e durante le campagne militari, se non vi fossero altri ripari, tutti devono essere alloggiati nell’accampamento del convento.

123. Ovunque si trovi, il commendatore di Gerusalemme può assegnare ai fratelli cavalli, muli o mule, e se gli viene donata una sella di foggia turca, la può donare da un laico amico del convento. E deve ricevere la metà del bottino conquistato in battaglia al di là del Giordano, e che appartiene al commendatore del regno di Gerusalemme; ma nulla gli spetta del bottino conquistato nei territori al di qua del Giordano, poiché il gran commendatore del regno di Gerusalemme può tenere per sé quanto gli aggrada.

124. Tutti i cavalieri secolari residenti in Gerusalemme e associati alla casa del Tempio devono porre le tende accanto a quella del commendatore della città e cavalcare sotto la sua bandiera. E tutti i fratelli che abitano nella città, e tutti quelli che vanno e che vengono, in caso di assenza del maresciallo, dipendono dal commendatore di Gerusalemme e devono agire con il suo consenso.

Statuti dei commendatori delle terre di Tripoli e Antiochia

125. I commendatori delle terre di Tripoli e Antiochia hanno, ciascuno, quattro cavalli e, in luogo di un mulo, un palafreno, un fratello sergente con due cavalli, un diacono con un cavallo, un turcopolo con un cavallo, uno scrivano saraceno con un cavallo e un fante. E all’interno dei loro baliati svolgono, un sua assenza, la funzione del maestro. Dispongono di una tenda circolare, di uno stendardo bicolore e sono accompagnati da un cavaliere, che devono elevare di rango, in modo che sia consentito di viaggiare da una provincia all’altra; e ricevono tanto orzo quanto il maestro. E tutti coloro che risiedono nelle case del Tempio comprese nei loro baliati ricadono sotto la loro autorità, sia in tempo di pace, sia in tempo di guerra; fintantoché restano in carica possono tenere capitolo in caso di assenza del maestro.

126. I commendatori devono fornire ai castelli compresi nei loro baliati cuoio. Frumento, vino, ferro e acciaio, e sergenti che presidino le porte; gli altri approvvigionamenti spettano ai castellani; e se manca loro qualcosa e non hanno mezzi per acquistarla, saranno i commendatori a procurarla o a dare loro il denaro per acquistarla.

127. I maresciallati compresi nei loro baliati ricadono sotto la loro autorità, ed essi devono fornire cibo per i cavalli, muli e mule e tutto l’equipaggiamento necessario, e dare ai fratelli quanto è loro necessario. E se nelle loro provincie non vi sono marescialli, spetta loro fornire l’equipaggiamento ai fratelli, e, in assenza del maresciallo del convento, diramare gli ordini della casa; e se manca loro qualcosa, spetta ai commendatori fornire il foraggio per le stalle; e quanto occorre per la sartoria. E i commendatori possono eleggere o destituire il maresciallo, con il consenso del capitolo provinciale; allo stesso modo, i commendatori possono nominare o destituire i drappieri e i castellani che si trovano nei loro baliati.

128. Tuttavia tali commendatori non possono, quando il maestro è presente, invitare laici o cavalieri secolari, né fare loro doni di grande valore, ma possono ricevere solamente amici o confratelli del Tempio. Né concedere ad alcuno il permesso di sottoporsi a un salasso, di far galoppare cavallo o di giostrare in presenza del maestro, a meno che non sia egli stesso a consentirlo. Né è consentito a tali commendatori di aumentare o diminuire le razioni di orzo; o di utilizzare i cavalli dei fratelli come stalloni, a meno che non siano il maestro e il capitolo a ordinarlo; e se il maestro è assente, possono farlo solo con il consenso dei fratelli del convento, ad eccezione del quarto cavallo che possono utilizzare a loro discrezione come stallone o mantenere a metà razione.

129. Se lo desiderano, i commendatori possono esaminare tesori dei castelli e delle case principali che ricadono sotto la loro autorità, e ispezionare le guarnigioni; ma se desiderano prelevare alcunché, devono farlo con il consenso del commendatore della casa.

E questi commendatori possono donare cavalli, vestiti e tutto ciò che si è detto più sopra a proposito del siniscalco, per il bene della casa. E per ogni giorno che trascorrono in una delle case del Tempio del loro baliato, tre poveri devono condividere il cibo dei fratelli, per amore di Dio. E tali commendatori non possono ordinare nulla a nessuno senza il consenso del maestro. E quando il commendatore di Antiochia si reca in Armenia può portare con sé un fratello cappellano e un altarino.

Statuti del drappiere

130. Il drappiere dell Ordine deve avere quattro cavalli, due scudieri e un inservienti per le bestie da soma; un padiglione come quello del maresciallo; una tenda per gli scudieri e un’altra per i sarti, e le bestie da soma devono trasportare, oltre al padiglione, quanto occorre alla sartoria.

Fintantoché resta in carica, il drappiere deve fornire ai fratelli vestiti e biancheria da letto, ad eccezione delle coperte di lana.

Quando giungono abiti dall’Occidente,m il drappiere deve esaminarli, e deve prelevare tutti i doni destinati ai fratelli e consegnarli ad ognuno. Ma si deve assicurare che i fratelli siano vestiti in modo decoroso; e se non lo sono deve richiamarli ed essi devono obbedirgli; poiché dopo il maestro e il maresciallo, il drappiere è la massima autorità del convento.

131. Se un fratello ha qualcosa in eccesso, o che non gli spetta, il drappiere deve togliergliela e riporla dove deve stare, poiché tutti i fratelli devono constatare chi fa o dice cose sconvenienti.

Quando un nuovo fratello entra nel convento, il drappiere gli toglie tutti i vestiti ad eccezione di quelli di vaio e di scarlatto; e se il nuovo entrato fa una donazione d’oro o argento o moneta, dieci bisanti vanno alla sartoria e il resto al commendatore della terra.

Quanto si è detto per il drappiere del convento vale anche per i drappieri delle terre di Tripoli e Antiochia, tranne che questi ultimi non hanno diritto al padiglione personale.

Statuti dei fratelli cavalieri:

I commendatori delle case del Tempio

132. I cavalieri commendatori delle case devono avere quattro cavalli e due scudieri ciascuno; due dei loro cavalli devono ricevere la stessa razione dei quelli del maestro e gli altri due una razione uguale al resto del convento. Quando i fratelli del convento hanno tre cavalli, essi possono averne quattro; e quando i fratelli del convento hanno due cavali essi possono averne tre. Questi commendatori possono versare cento bisanti al maresciallo, cinquanta bisanti al drappiere, venti bisanti al sotto-maresciallo e dieci all’aiuto-drappiere; ai fratelli del convento un bisante ciascuno, o una cotta, o una camicia, o una casacca, o una pelle di daino o un tessuto di lino.

133. I cavalieri commendatori delle case possono scambiarsi l’un l’altro fino a cento misure provenienti dalle cucine, e dar via parte delle proprie scorte; possono scambiare o donare una delle proprie bestie da soma ad un fratello del convento; ma questi deve avere il consenso del maresciallo o tenere l’animale della carovana.

Se sono presenti il maestro o il commendatore della provincia, i commendatori non possono, senza il loro permesso, invitare nobili secolari né fare loro doni di valore; possono però ricevere in forma privata confratelli o amici della casa del tempio.

134. Né il commendatore della casa né nessun altro può decidere da solo della colpevolezza di un fratello, in base a parole dette fra loro; il fratello deve essere piuttosto convocato dinanzi al capitolo; poiché la parola del commendatore equivale alla parola di qualunque altro fratello; ma se si tratta di ordini dati dal commendatore a un fratello soggetto alla sua autorità, la parola del commendatore è sufficiente, ed egli può decidere da solo della sua colpevolezza e togliergli tutto, tranne l’abito.

135. Se il commendatore della casa desidera donare uno dei suoi cavalli a un fratello del convento, il cavallo viene inserito nella carovana con il consenso del commendatore superiore. Ma se il fratello effettua uno scambio di cavalli con il commendatore con il permesso del maresciallo, il cavallo del fratello deve rimanere insieme agli altri cavalli del commendatore. E se dispone di puledri, o di altre cavalcature, il commendatore può affidarli ai suoi sottoposti, e può donare ai fratelli casalieri un mulo o i mezzi per acquistarne uno, e può acquistare dai contadini dei casali puledri e bestie da soma, onde allevarli.

136. I commendatori non possono costruire nuove case in malta, calce o pietra, senza il consenso del maestro o del commendatore della terra. Possono però ricostruire o riparare le case che versano in cattive condizioni.

Statuti del commendatore dei cavalieri

137. In assenza del maresciallo, il commendatore dei cavalieri è alle dipendenze, sia in pace sia in guerra, del commendatore della terra (quando non è presente il maresciallo), ma ha la prerogativa di autorizzare i fratelli a sottoporsi a un salasso, lavarsi e correre a cavallo. E può autorizzare uno dei fratelli a trascorrere una notte fuori dal convento; e in assenza del maresciallo e del commendatore della provincia, può tenere capitolo.

Statuti dei fratelli cavalieri e dei fratelli sergenti

138. Ciascun fratello cavaliere deve avere tre cavalli e uno scudiero; un quarto cavallo e un secondo scudiero possono essere assegnati a discrezione del maestro; ciascun fratello riceve inoltre una eguale razione d’orzo per i suoi cavalli; un usbergo, una calzamaglia di ferro, un elmo, un copricapo di ferro, una spada, uno scudo, una lancia, una mazza turca, degli spallacci, una cotta d’arme, calzature d’armi, e tre coltelli: un pugnale, un coltello per il pane e un temperino. E ancora due gualdrappe, due camicie, due paia di brache, e due paia di calzamaglie; e una piccola cintura di cuoio da allacciare sopra la camicia. E ciascun fratello deve dormire così vestito, a meno che non sia ricoverato nell’infermeria, o abbia ricevuto il permesso dei superiori. E ha diritto a un giustacuore con falde davanti e di dietro, una giubba di pelliccia, due mantelli bianchi, uno dei quali foderato di pelliccia;m e al giungere dell’estate il mantello foderato di pelliccia deve essere restituito al drappiere che deve riporlo nella sartoria.

139. E chiunque deve ricevere una cappa, una tunica, una cintura di cuoio da allacciare al petto; e tre pezzi di biancheria da letto: ovvero un sacco da riempire di paglia, un lenzuolo e una coperta leggera e quant’altro il drappiere decida di assegnarli; una coperta pesante da mettere sul letto o portare sulla cotta; e questa coperta deve essere bianca, nera o a strisce; e due bisacce: una per riporvi la camicia da notte e una per riporvi gli spallacci e la cotta d’arme; e una sacca di cuoio o di maglia di ferro per riporvi l’usbergo; ma se ne ha una non può avere l’altra.

140. E ciascuno deve avere un tovagliolo per mangiare e una salvietta per lavarsi la testa; e una stuoia per passare al setaccio l’orzo; e una coperta per il suo cavallo; ma se ha la stuoia non deve avere la coperta. E un caldaio per cucinare e una ciotola per dosare l’orzo; gli può essere consentito di avere un’ascia e una mola, ma se vuole portarle con sé durante i viaggi deve chiedere permesso al maestro. E può avere tre paia di bisacce da sella, una per sé e due per gli scudieri; due coppe per bere e due borracce; una cavezza, e una cintura con fibbia e una senza; una scodella di corno e un cucchiaio. Un cappello di stoffa e uno di feltro; una tenda e un picchetto; la sua sopravveste deve essere completamente bianca.

141. La sopravveste dei fratelli sergenti deve essere completamente nera, con una croce rossa davanti e una dietro. E i mantelli devono essere neri o bruni; hanno diritto allo stesso equipaggiamento dei fratelli cavalieri, ad eccezione dei finimenti dei cavalli, della tenda e del caldaio. Ricevono anche una cotta di maglia senza maniche, calzamaglie scoperte sui piedi e un cappello di ferro; e tutte le cose suddette, possono averle, in base alla possibilità della casa.

142. Ciascun fratello può donare a un altro una casacca portata almeno un anno, una vecchia cotta, una vecchia tunica, una vecchia camicia, vecchie brache e stivali corti; una lanterna, se è in grado di fabbricarla, una pelle di daino e una mantella di pelle di capra. Quando uno scudiero lascia il proprio signore, essendosi concluso il periodo in cui era al servizio della casa, il cavaliere può lasciargli tutti gli abiti che gli ha donato, ad eccezione della casacca vecchia di un anno, e se lo desidera può donargliene una vecchia di due anni.

143. Vi sono cinque fratelli sergenti che hanno diritto a due cavalli ciascuno: il sotto-maresciallo, il gonfaloniere, il cuoco del convento, il maniscalco del convento e il commendatore della Volta di Acri. Ognuno di questi cinque ha diritto a due cavalli e uno scudiero. Nessuno degli altri sergenti deve avere più di un cavallo; ma il maestro può assegnarne loro un altro e riprenderlo a sua piacimento; e se uno dei cinque suddetti viene nominato commendatore im una casa, il maresciallo deve ricevere l’altro cavallo.

144. Nessun fratello può accettare alcunché da un laico a titolo personale, senza averne ricevuto il permesso, ma può accettare solo doni o lasciti destinati al convento in elemosina.

É vietato ai fratelli accorciare gli staffili o la cinghia della sella, o il fodero della spada e neppure la cintura delle brache, senza averne ricevuto il permesso; ma è consentito sistemarsi la fibbia anche senza permesso.

Non è consentito ai fratelli prendere un bagno, sottoporsi a un salasso, assumere una medicina, recarsi in città o cavalcare al galoppo senza averne ricevuto il permesso; e se un fratello non ha ricevuto il permesso di recarsi in qualche luogo, non può inviare colà lo scudiero o il cavallo senza averne avuto il permesso.

145. Se mentre i fratelli sono a tavola uno di loro perde sangue dal naso, o viene dato l’allarme, o scoppia un incendio, o i cavalli sono agitati, per evitare danni alla casa possono alzarsi senza permesso e fare ciò che occorre; dopo, se lo desiderano, possono tornare a tavola.

I fratelli non possono abbandonare il dormitorio e andare a dormire altrove senza permesso; e quando sono accampati, non possono spostare le loro tende da un logo all’altro senza permesso; né possono trovare alloggio nella tenda di un laico o di un religioso senza essere stati autorizzati dai superiori, a meno che siano accampati accanto ai cavalieri dell’Ospedale.

146. Al suono delle campane o quando vengono chiamati per celebrare le ore canoniche o riunirsi in assemblea, tutti devono recarsi in chiesa, a meno che non siano infermi, non stiano impastando, non siano in procinto di forgiare il ferro, o non siano intenti a ferrare i cavalli, (o non si stiano lavando i capelli); i fratelli impegnati nelle attività menzionate possono assentarsi dalla non e dai vespri. Ma quando hanno portato a termine l’opera devono recarsi in chiesa per celebrare o ascoltare il servizio religioso. Dalle funzioni delle altre ore possono assentarsi solo gli infermi.

147. Nell’ascoltare la messa o le altre funzioni, i fratelli devono inginocchiarsi, sedere e alzarsi in piedi insieme; poiché così vuole la regola. Ma gli anziani e gli infermi, se non sono in grado di comportarsi come gli altri fratelli, devono stare in disparte in un angolo della chiesa; e coloro i quali non sanno in che momento inginocchiarsi, né come comportarsi durante il servizio delle ore canoniche, devono informarsi e imparare dai fratelli che lo sanno e prendere posto dietro di loro.

Dell’accampamento

148. Quando il gonfaloniere si ferma nel luogo designato, i fratelli devono piantare le tende intorno alla cappella e fuori dalle funi, ciascuno insieme ai propri commilitoni. E dopo aver piantato le tende occorre riporvi l’equipaggiamento; dopodiché ciascun cavaliere individuerà una zona destinata ed accogliere il proprio seguito. Ma nessuno deve prendere posto finché non si levi il grido: <<Signori fratelli, accampatevi, in nome di Dio>>. E finché il maresciallo non abbia preso posto; prima di ciò devono essere piantate solo le tende del maestro, la cappella, la tenda della mensa e la tenda del commendatore della provincia; e se un fratello prende posto senza averne avuto il permesso, il maresciallo può toglierlo e assegnarlo a chi più gli piace. E ognuno deve pendere posto nella cappella, così come in chiesa, ovvero fra la porta e il centro, poiché più avanti darebbe noia al prete, e per tale motivo è proibito. E quando si celebrano le ore, se un fratello si avvede che manca quello che occupa il posto accanto al suo, deve andare a cercarlo.

149. Nessun fratello deve mandare il proprio scudiero in cerca di legna o foraggio senza esserne autorizzato, a meno che lo scudiero non rimanga tanto vicino da essere in grado di sentire l’allarme. E gli scudieri devono le loro selle con schiavine o stuoie o altro ancora, e non devono trasportare sassi senza esserne autorizzati. Nessun fratello deve farsi portare la sella da combattimento senza averne ricevuto l’ordine. Se un fratello ha due scudieri ne può far allontanare solo uno e solo all’interno del campo o nelle sue immediate vicinanze, in modo da poterne disporre se è necessario. Se un fratello per svagarsi esce dall’accampamento, deve rimanere tanto vicino da essere in grado di sentire il grido d’allarme o la campana. E tutti i fratelli della casa, durante il tempo di guerra, non devono uscire a cavallo e se escono devono osservare le norme suddette; né in tempo di guerra, né in tempo di pace, i fratelli possono allontanarsi per più di una lega; e nessun fratello può cavalcare senza stivali o, durante il giorno, nel periodo compreso fra due pasti, senza averne avuto il permesso. Il banditore e il responsabile delle scorte di granaglie, devono accamparsi insieme al gonfaloniere, e le consegne che grida il banditore valgono tanto per lui quanto per colui che gli ordina di dare l’allarme.

150. Quando, nell’accampamento, viene annunciata la distribuzione dei viveri, i fratelli si devono allacciare il mantello e, tranquillamente e in silenzio, una dopo l’altro, andare a ritirare quanto è offerto in nome di Dio; e se un laico o un fratello che non vive nell’accampamento dona loro del cibo, devono presentarlo al vivandiere e non accettarlo senza esserne autorizzati. E se il vivandiere decide di accettare quel cibo, possono mangiarlo o donarlo a loro piacimento; ma è meglio che il vivandiere restituisca loro il cibo, piuttosto che tenerlo per sé. E se vi sono fratelli che, infermi, mangiano cibo nell’infermeria, i fratelli che dividono la loro tenda devono mangiare in modo tale da non far soffrire loro alcuna privazione.

151. Ogni fratello può invitare nella propria tenda un uomo valoroso, meritevole di tale onore, giunto in visita o di passaggio nei pressi dell’accampamento; e il vivandiere deve distribuire ai fratelli razioni tanto generose che tutti coloro che alloggiano nell’accampamento devono averne in abbondanza, in onore del valoroso ospite; e ciò vale per il balivo come per gli altri. I fratelli del convento non devono andare a caccia di cibo, sia esso per la casa o per altri, ad eccezione delle erbe dei campi, dei pesci, degli uccelli e della selvaggina, se riescono a procurarseli senza cacciare; poiché la caccia è proibita dalla regola. Nessun fratello deve tenere viveri nel proprio alloggiamento, oltre a quelli che gli vengono consegnati, a meno che non abbia ricevuto il permesso. E quando il vivandiere predispone i pezzi di carne da distribuire ai fratelli, non deve mettere insieme due parti di cibo, né due anche, né due spalle, ma deve suddividere le diverse parti nel modo più imparziale possibile.

152. Prima di far chiamare i fratelli alla sua tenda per distribuire loro le razioni, il vivandiere deve avvisare il sergente del maestro; e quando il sergente va a prendere la razione del maestro, il vivandiere gli deve dare la parte migliore; ma i compagni del maestro ricevono la loro razione di viveri stando in fila come gli altri.

Non è opportuno che il vivandiere regali qualcosa a uno dei fratelli dell’accampamento, a meno che non sia infermo; conviene piuttosto che dia a ciascuno in modo equanime, ma se uno è infermo può dargli due o tre pezzi della carne migliore, e quando i sani ricevono un solo piatto i malati devono riceverne due; e il vivandiere deve dare queste razioni ai sani e ai malati che stanno in fila dinanzi a lui. E quando i sani ricevono due pezzi di carne, i malati devono averne tre o più; e quando i sani ricevono un solo piatto, i malati non devono averne meno di due.

153. Le porzioni di carne dei fratelli del convento devono essere tali che con gli avanzi di due fratelli si possano nutrire due poveri. E dalle porzioni di due fratelli si devono poter ricavare tre porzioni dei turcopoli; e con due porzioni dei turcopoli si devono poter fare le porzioni di tre sergenti.

Le razioni devono essere uguali. Durante i digiuni i fratello avranno due misure di vino a testa; negli altri giorni cinque misure ogni due fratelli, e tre misure ogni due turcopoli; lo stesso per le razioni di olio. Ciò vale anche per le province di Tripoli e Antiochia.

154. Nessun fratello deve richiedere manifestamente un cavallo, un mulo o altro, a meno che non si tratti di una cosa di poco conto; e se un fratello ha un cavallo recalcitrante o bizzoso, o che s’impenna e lo disarciona, ne deve informare il maresciallo o fare in modo che il maresciallo ne sia informato; e se la cosa corrisponde al vero, il maresciallo, se può, gliene assegna un altro. Ma se il maresciallo non intende sostituire l’animale,il fratello può andare a piedi e non montare il cavallo; e il maresciallo non può in alcun modo imporgli di montarlo, se non intende farlo.

155. Quando viene dato l’allarme nell’accampamento, coloro che sono vicino al banditore devono uscire da quella parte, prendendo con sé scudi e lance, mentre gli altri fratelli devono raggiungere la cappella per ascoltare gli ordini che vengono impartiti. Se l’allarme viene dato fuori dell’accampamento, nessuno deve muoversi senza permesso, neppure in presenza di leoni o altre fiere.

Del mettersi in marcia

156. Quando escono a cavallo, i fratelli non devono far mettere le selle, né caricare l’equipaggiamento, né montare in arcione, né muoversi dal loro posto, fino a che il maresciallo non fa dare l’ordine; ma i picchetti delle tende, le borracce vuote, la scure e le funi da campo e le reti da pesca, possono essere sistemati sul cavallo prima che venga dato l’ordine di muoversi. E se un fratello desidera parlare con il maresciallo deve andare da lui a piedi e, dopo aver conferito con lui, deve tornare al suo posto e non deve abbandonarlo finché non viene dato l’ordine di montare a cavallo e abbandonare l’accampamento.

157. Quando il maresciallo fa dare l’ordine di montare, i fratelli devono esaminare il campo in modo da non lasciarvi nessuna parte del proprio equipaggiamento, quindi devono montare a cavallo e procedere tranquillamente, al passo o all’ambio, seguiti dagli scudieri, e inserirsi nella colonna, se riescono a trovare uno spazio in essa, con il proprio seguito; se non ne trovano possono chiedere a un altro fratello di fare spazio, e questi acconsentirà a propria discrezione. Di notte, devono rimanere in silenzio, a meno che non intervengano eventi particolari, e devono procedere tranquillamente e in silenzio fino alla ora prima del giorno successivo, quando ascolteranno o celebreranno il santo ufficio, secondo l’usanza della casa. Dopo essersi inserito nella colonna, ciascun fratello può fare spazio ad un altro fratello, davanti a sé, mai di dietro; dopodiché nessuno dei due , né quello che ha dato lo spazio, né quello che l’ha occupato, può dare spazio ad un altro fratello, né davanti né dietro.

158. Se due fratelli vogliono parlarsi, quello più avanzato deve uscire dalla colonna e affiancare quello che sta dietro, in modo che il loro seguito rimanga dinanzi a loro; e dopo aver parlato ognuno deve tornare al suo posto. Se un cavaliere esce, per qualunque motivo, dalla colonna deve risalirla e discenderla sottovento; infatti se cavalcasse sopravvento, la polvere da lui provocata arrecherebbe fastidio e disturbo alla colonna. Se accade qualcosa che impedisce a un fratello di ritrovare il proprio posto alla colonna, un altro gli darà spazio dinanzi a sé, fino al sorgere del sole; quindi quel fratello si affretterà a riprendere il suo posto. Lo stesso vale anche per gli scudieri. Né un fratello, né due, tre, quattro o più dovranno cavalcare di fianco alla colonna, per svago o per parlare, ma procedere dietro ai propri uomini e mantenere la posizione, tranquillamente e in silenzio.

159. Nessun fratello deve uscire dalla colonna per abbeverare i cavalli o per qualunque altro motivo, senza averne ricevuto il permesso; nell’attraversare un territorio pacifico, se incontrano un corso d’acqua, i fratelli possono, se lo desiderano, abbeverare i cavalli, ma senza disturbare l’avanzata della colonna. Se durante una ronda passano accanto a un corso d’acqua e il gonfaloniere non si ferma ad abbeverare i suoi cavalli, neanche i fratelli devono farlo, a meno che non siano stati autorizzati; ma se il gonfaloniere si ferma per abbeverare i suoi cavalli, anche i fratelli possono fermarsi. In caso di allarme, quelli che si trovano vicino al banditore possono risalire a cavallo, prendere lancia e scudo e attendere con calma gli ordini del maresciallo, mentre gli altri devono appressarsi al maresciallo per ricevere istruzioni.

160. In tempo di guerra, se viene dato l’allarme, i fratelli che si trovano in una locanda o all’interno dell’accampamento, non devono uscire, senza permesso, finché il gonfalone non sia stato portato fuori; e quando il gonfalone è stato portato fuori devono seguirlo tutti senza por tempo in mezzo, e non devono prendere o lasciare armi senza permesso; e mentre stanno in agguato o sorvegliano il pascolo, o sono di ronda, o durante i trasferimenti, non devono togliere sella e finimenti o dar da mangiare ai cavalli senza permesso.

Dello squadrone

161. Quando i fratelli sono divisi in squadroni, non devono andare da uno squadrone all’altro, né montare a cavallo, o prendere lancia e scudo senza permesso; e quando hanno preso le armi devono disporre gli scudieri con la lancia dinanzi a loro e quelli col cavallo di dietro, a seconda delle istruzioni del maresciallo, o di chi ne fa le veci; e fintantoché sonno nello squadrone nessuno deve volgere indietro il cavallo per combattere o incitare i compagni, né per nessun altro motivo.

162. Se un fratello desidera mettere alla prova il proprio cavallo, per verificare la sue condizioni o controllare che sia stato sellato e coperto a dovere, può montare in sella e uscire per qualche tempo senza permesso, e poi tornare tranquillamente e in silenzio nello squadrone; ma non può prendere lancia e scudo senza permesso; è consentito indossare il cappuccio di ferro senza attendere il permesso, ma non toglierselo. Nessuno deve caricare o uscire dai ranghi senza permesso.

163. Nel caso che un cristiano si comporti in modo avventato e un turco lo assalga per ucciderlo, ed egli sia in pericolo di morte, se qualcuno, trovandosi in quei pressi, decide di lasciare lo squadrone per soccorrerlo, perché sente in cuor suo di poterlo aiutare, può farlo anche senza permesso, e poi deve rientrare nello squadrone, tranquillamente e in silenzio. Chi va alla carica o esce dai ranghi per qualunque altro motivo sarà punito e verrà inviato a piedi all’accampamento e privato di tutto meno che dell’abito.

Della carica

164. Quando il maresciallo lo ritiene opportuno, si fa consegnare, in nome di Dio, il gonfalone dal sotto-maresciallo, e se il maresciallo non lo trattiene, il sotto-maresciallo raggiunge il turcopolerio. Quindi il maresciallo ordina a cinque o sei, fino ad un massimo di dieci fratelli cavalieri di proteggere lui e la bandiera; e questi cavalieri devono sbaragliare il nemico tutt’intorno al gonfalone e dare il meglio di sé senza dividersi o abbandonare la posizione, ma anzi mantenendosi il più vicino possibile al gonfalone in modo da poterlo proteggere se necessario. E gli altri fratelli possono attaccare davanti, di dietro, a sinistra e a destra, ovunque ritengano di poter opprimere il nemico, in modo da poter soccorrere il gonfaloniere ed essere da questo sostenuti, se necessario.

165. E se il maresciallo deve ordinare al commendatore dei cavalieri, che deve essere uno dei dieci balivi del capitolo, di portare un altro gonfalone arrotolato intorno alla lancia. E il commendatore non deve mai abbandonare il maresciallo, ma anzi stargli il più vicino possibile, di modo ché, se il gonfalone del maresciallo viene abbattuto o distrutto, o nel caso, Dio non voglia, si verifichi qualche altra disgrazia, egli possa dispiegare il proprio gonfalone; o comunque fare in modo che i fratelli si riuniscano, se occorre, intorno al gonfalone. E se il maresciallo è ferito o accerchiato e non in grado di comandare la carica, questa deve essere lanciata da colui che regge il gonfalone. E quanti hanno l’incarico di proteggere il gonfalone devono andare con lui; né il maresciallo, né colui che porta il gonfalone arrotolato devono colpire con l’asta del gonfalone, né abbassarla per nessun motivo.

166. E soprattutto chi è alla testa dei uno squadrone di cavalieri non deve caricare o uscire dai ranghi senza il permesso o il consenso del maestro, se è presente, o di chi ne fa le veci (a meno che gli toccasse farlo per forza o si trovasse alle strette, tali da non poter chiedere facilmente il permesso); e se invece avviene diversamente verrà punito severamente e perderà l’abito. Il comandante di ogni squadrone deve avere un gonfalone arrotolato introno alla lancia e disporre di dieci cavalieri che proteggano lui e il gonfalone. E ciò che si è detto a proposito del maresciallo vale anche per i comandanti degli squadroni.

167. E se uno non è in grado di dirigersi verso il gonfalone per timore dei saraceni che si frappongono fra lui e il gonfalone, oppure non riesce più a vederlo, raggiunga senz’altro il più vicino gonfalone cristiano. E se individua quello dell’Ospedale, si avvicini ad esso ed informi il capo di quello squadrone, o un altro ufficiale, che non è in grado di raggiungere il proprio gonfalone, e lì rimanga quieto e in silenzio finché non è in grado di tornare dai suoi. Nessuno, per quanto gravemente ferito, deve lasciare i ranghi senza permesso; e se uno è gravemente ferito tanto da non poter andare a chiedere tale permesso, deve inviare un altro fratello a chiederlo in sua vece.

168. E se, Dio non voglia, accade che i cristiani siano sconfitti, nessuno deve abbandonare il campo di battaglia e tornare alla guarnigione finché rimane in piedi anche un solo vessillo bicolore; e chi lo fa venga espulso per sempre dalla casa. E quando è chiaro che non c’è più niente da fare, si raggiunga il più vicino gonfalone dell’Ospedale o un altro gonfalone cristiano, se ce ne sono; e se anche questi vengono abbattuti ci si diriga verso la propria guarnigione, là dove piaccia a Dio.

Statuti del turcopolerio

169. Il fratello turcopolerio deve avere quattro cavalli e un turcomanno in luogo di un mulo; una piccola tenda e le stesse razioni degli altri fratelli; e ha diritto a farsi trasportare l’orzo, la tenda e il caldaio dalle bestie da soma. E se quando viene dato l’allarme si trova nei suoi alloggiamenti o all’interno dell’accampamento, non deve allontanarsi senza permesso, ma deve attendere istruzioni dal maresciallo. E non deve andare di persona, ma deve inviare uno dei due turcopoli nel luogo in cui si è dato l’allarme, per vedere di che si tratta; dopodiché ne deve informare il maresciallo o chi ne fa le veci, in modo che possa dare disposizioni e ordini.

170. E quando il turcopolerio esce con gli esploratori, e gli sono assegnati cinque, sei, otto o anche dieci e fra di loro vi è il commendatore dei cavalieri con il gonfalone bicolore, il turcopolerio è soggetto al suo comando. E quando gli squadroni del convento sono schierati, il turcopolerio deve mantenere i suoi uomini all’interno dello schieramento come gli altri cavalieri e reggere il gonfalone come si è detto a proposito del maresciallo. E non deve andare alla carica o all’attacco senza averne ricevuto l’ordine dal maestro o dal maresciallo.

171. Quando sono sotto le armi, tutti i fratelli sergenti sono al comando del turcopolerio, ma non in tempo di pace; mentre i turcopoli sono sotto il suo comando sia in tempo di guerra sia in tempo di pace.

Il sotto-maresciallo, il gonfaloniere, il sergente del maestro e quelli del maresciallo e del commendatore della provincia sono sotto il comando del turcopolerio solo se fanno parte del suo squadrone.

172. I fratelli sergenti che indossano la cotta in battaglia devono comportarsi come i fratelli cavalieri; e gli altri fratelli sergenti, i quali non portano l’armatura, con la loro buona condotta sapranno rendersi grati a Dio e ai fratelli. Se sentono di non poter resistere o subiscono delle ferite possono indietreggiare nelle retrovie senza permesso, ma non devono arrecare danno alla casa.

I fratelli posti alla testa dei sergenti armati non devono per alcun motivo dividerli, senza permesso, per andare alla carica; ma se il maresciallo o i fratelli vanno alla carica, devono farsi seguire dai sergenti, schierati in ranghi compatti, in modo da potersi avvalere del loro aiuto in caso di necessità.

Statuti del sotto-maresciallo

173. Il sotto-maresciallo deve avere due cavalli, una tenda e la stessa razione degli altri fratelli; e ha diritto a farsi trasportare la tenda dalle bestie da soma. E spetta a lui distribuire ai fratelli l’equipaggiamento minuto, nonché farlo caricare e ripararlo, se ne dispone; può donare vecchie selle, coperte, botticelle, reti da pesca, lance, spade, cappelli di ferro, vecchie armi turche e balestre, gualdrappe nuove, le quali appartengono al maresciallato, e gualdrappe; e può distribuire l’equipaggiamento minuto, indipendentemente dalla presenza del maresciallo, purché non si tratti di oggetti proibiti dal maresciallo. Il sotto-maresciallo non può distribuire l’equipaggiamento pesante, se non per ordine del maresciallo.

174. Se un fratello si reca in Occidente o lascia questo mondo e il maresciallo desidera distribuire interamente il suo equipaggiamento o tenerlo per un certo periodo, spetta al sotto-maresciallo attuare la sua volontà; in ogni caso il sotto-maresciallo non può distribuirlo prima che il maresciallo l’abbia esaminato. E se il maresciallo non dispone altrimenti (poiché egli avrà esaminato senza proibizione di distribuire l’equipaggiamento), il sotto-maresciallo può distribuire ciò che gli aggrada.

175. Tutti gli artigiani del maresciallato sono soggetti alla sua autorità, e rispondono a lui o a chi ne fa le sue veci, del proprio lavoro, ed egli deve procurare loro tutto ciò di cui necessitano per la propria attività. Egli può inviarli fuori ad operare per conto della casa e consentire loro di passare da una casa all’altra per ricrearsi nei giorni di festa. E quando il maresciallo è assente, il gonfaloniere è soggetto alla sua autorità. E se vi è uno scudiero senza cavaliere e il sotto-maresciallo ne fa richiesta per assegnarlo alla carovana dei cavalli, o se richiede uno scudiero dalla carovana per assegnarlo ad un fratello, il gonfaloniere deve concederlo; ed egli a sua volta deve concedere tutti gli scudieri che il gonfaloniere gli richiede per assegnarli alla carovana. E se il sotto-maresciallo ha troppi scudieri e il gonfaloniere non ne ha a sufficienza, deve concederglieli, eccezion fatta per quelli della guarnigione della carovana.

176. E in assenza del gonfaloniere, il sotto-maresciallo, se lo ritiene opportuno, può punire gli scudieri che abbiano mancato nei suoi confronti; può anche prelevare scudieri dalla carovana e assegnarli ai fratelli che ne abbiano bisogno, o trasferirli alla carovana dei cavalli. E se il gonfaloniere convoca il capitolo degli scudieri e il sotto-maresciallo desidera prendervi parte, può tenere capitolo, finché si tratti di giudicare e punire scudieri. E tutti gli scudieri della carovana dati in prestito ai fratelli artigiani o ai cavalieri dotati di un solo cavallo, se devono convocati dal gonfaloniere devono andare da lui.

Statuti del gonfaloniere

177. Il gonfaloniere deve avere due cavalli, una tenda e la stessa razione dei fratelli del convento; e ha diritto a farsi trasportare la tenda dalle bestie da soma; e tutti gli scudieri della casa sono soggetti alla sua autorità, ovunque egli venga a trovarsi; spetta a lui assumerli, ascoltarne il giuramento e comunicare loro le leggi della casa e le colpe per cui possono essere espulsi, messi in catene o frustati; e deve assicurarsi che al termine del servizio vengano pagati. E può riunirli e tenere capitolo ogni volta che lo ritiene opportuno ed è necessario, e punire quelli che hanno trasgredito i suoi ordini, secondo quanto è stabilito dalla casa; e deve assicurarsi che ricevano orzo, paglia e alloggio. I fratelli responsabili del granaio e le sentinelle sono soggetti alla sua autorità e devono avere un cavallo ciascuno.

178. E quando i fratelli mandano i propri cavalli e scudieri nella carovana delle salmerie o al pascolo, o altrove, spetta al gonfaloniere guidarli all’andata e al ritorno, reggendo lo stendardo bicolore. E quando gli scudieri e i fratelli mangiano in convento, il gonfaloniere deve sorvegliarli; ma quando sono accampati e gli scudieri vanno a ritirare i viveri, egli non deve occuparsi di loro se non vuole.

179. Durante la marcia,il gonfaloniere precede lo scudiero (e quest’ultimo o la sentinella devono portare il gonfalone) e guida la colonna secondo quanto stabilito dal maresciallo. In tempo di guerra, quando i fratelli sono raggruppati in squadroni, è il gonfaloniere a disporre gli scudieri negli squadroni e il gonfaloniere è affidato a un turcopolo. Quando il maresciallo e gli altri fratelli cavalieri vanno alla carica, gli scudieri che portano i destrieri devono andare alla carica subito dopo, e gli altri devono rimanere con i muli presso il gonfaloniere. Ed egli deve avere un vessillo arrotolato intorno alla lancia e deve disporre gli scudieri in squadroni, e al momento della carica deve dispiegare il gonfalone e guidarli dietro a coloro che stanno attaccando per quanto è possibile con prontezza, abilità e ordine, al passo o all’ambio, o con andatura che ritiene più opportuna.

Dei fratelli sergenti, commendatori delle case

180. I fratelli sergenti, commendatori delle case, devono avere un cavallo e la stessa razione degli altri fratelli del convento; possono dare quattro denari a ciascun fratello e avvalersi di un sergente come scudiero. Se il gonfaloniere lo ritiene opportuno, può assegnare loro uno scudiero.

Dei fratelli casalieri

181. I fratelli casalieri devono avere due cavalli e uno scudiero e la stessa razione di orzo del maestro; e possono dare quattro denari a ciascun fratello; e possono avere una ventriera per i loro cavalli.

Del modo di mangiare in convento

182. Il maestro e tutti i fratelli sani e robusti devono mangiare nel refettorio dopo aver ascoltato il benedicite; e ciascun fratello deve dire un paternoster, prima di tagliare il pane e non durante il pasto. E dopo aver mangiato deve rendere grazie a Dio nella chiesa, se è vicina al refettorio, o altrimenti nel refettorio stesso.

183. Né il maestro né alcun fratello devono portare borracce di acqua o vino nel refettorio, né permettere ad alcuno di farlo. Se un laico dona il convento del vino o della carne, il maestro può inviarli in infermeria oppure ovunque gli aggradi, ma non in refettorio. E se i fratelli ricevono in dono del cibo devono mandarlo al maestro se egli si trova in refettorio, altrimenti ai fratelli dell’infermeria. E quando il maestro non mangia in refettorio, ma ad altra tavola o in infermeria, il cibo donato deve essere inviato a lui.

184. Se vengono donati al convento manzo e montone, il commendatore della casa deve dividere quelli che prendono il manzo da quelli che prendono il montone, eccezion fatta per il maestro e il cappellano. Ciascun fratello può chiedere di avere parte della carne servita ai sergenti.

Se gli viene servita carne cruda, putrida o maleodorante, ciascun fratello può restituirla e se ce n’è a sufficienza, gli verrà data altra vivanda.

185. Spesso ai fratelli del convento sono serviti due tipi di carne, cosicché chi non ne mangia una può scegliere l’altra, come accade a Natale e a Pasqua,il martedì grasso e la domenica prima di San Martino; o tre tipi di carne quando ce n’è a sufficienza e i commendatori lo consentono. E i pasti devono essere serviti in comune, secondo quanto si è detto a proposito del vivandiere.

186. Nei giorni in cui non si mangia la carne, i fratelli avranno due piatti cotti; ma se vengono dati loro formaggio o pesce, allora avranno un solo piatto, a meno che il commendatore non ne conceda due. Ma prima delle due due quaresime avranno due o tre piatti, dimodoché chi non ne vuole uno posso avere l’altro. E ogni domenica, martedì e giovedì, avranno anche pesce fresco o salato, o un altro companatico. Ma se il lunedì, mercoledì, venerdì o sabato, ricevono del pesce che è stato acquistato, il commendatore, se lo ritiene opportuno, può togliere loro una delle altre portate.

187. Di norma il venerdì riceveranno un piatto cotto e dopo verdure o un altro companatico; e ciascun fratello ha diritto a ricevere quello che viene servito in refettorio. Ma ciascuno deve parlare sottovoce o tacere, e ascoltare la lettura del diacono. E ciascuno può offrire un po’ del suo cibo a quanti gli sono intorno, ma senza alzarsi da tavola.

188. Il maestro può dare un po’ di cibo ai fratelli, che per penitenza, mangiano per terra. E per tale motivo la scodella del maestro deve contenere cibo sufficiente per quattro fratelli, sia che vengano serviti carne, pesce o altro companatico; né il maestro né alcun fratello devono avere altri cibi o bevande, oltre a quelli serviti a tutti i fratelli del convento. E nessuno avrà un posto fisso a tavola, ad eccezione del maestro e del cappellano che mangia accanto a lui. Quando il maestro si trova in una casa, tre poveri devono ricevere il cibo dei fratelli, quattro se si trova in una delle case principali o in un castello, per amore di Dio e dei fratelli. Quando suonano le campane, il cappellano, i poveri e tutti i cavalieri possono prendere posto, mentre i sergenti devono attendere che suoni la campanella. Prima devono essere occupati i posti all’interno e poi quelli all’esterno. Coppe, scodelle e tovaglioli sono in comune, ma il maestro e i cappellani hanno diritto a coppe personali.

189. Quando il convento riceve tre portate di carne o altro, la servitù ne riceve due. Ma i turcopoli e tutti coloro che mangiano alla tavola dei fratelli devono mangiare quello che si mangia in convento. E i poveri nella casa devono ricevere la stessa quantità di carne e di cibo dei fratelli.

Statuti del fratello infermiere

190. Il fratello infermiere deve avere tanto giudizio da chiedere ai fratelli infermi che non possono mangiare il cibo servito nell’infermeria, e non osano chiedere altro, che tipo di cibo si sentano di mangiare, e i fratelli infermi devono rispondere alle sue domande; ed egli lo deve preparare e servire finché essi non possano mangiare il cibo comune dell’infermeria. Ciò vale soprattutto per i fratelli indeboliti, sofferenti o convalescenti dalla malattia. E coloro che soffrono di febbre quartana possono avere carne tutti i giorni, tranne il venerdì, così come nel periodo di digiuno compreso fra S. Martino e l’Avvento, e tre giorno la settimana durante l’Avvento.

191. I fratelli infermi e anziani che non possono mangiare il cibo del convento, devono mangiare nell’infermeria; e dopo i salassi anche i fratelli in salute possono mangiare nell’infermeria, ma solo per tre volte. E se un fratello che si è sottoposto ad un salasso, o è anziano, o malato di febbre quartana, chiede cli gli sia dato il cibo del convento, deve essere accontentato. Tuttavia i fratelli che necessitano di cibi particolari a causa della loro malattia, non devono ricevere il cibo del convento, a meno che non si voglia verificare se non in grado di tollerarlo; in tal caso si proverà a somministrarlo loro una o due volte. E se sono in grado di tollerarlo, devono tornare a mangiare nel refettorio.

192. Nell’infermeria non verranno serviti, a meno che non siano l’unico cibo disponibile o che qualche fratello non accetti di mangiare su invito di un altro fratello, lenticchie, fave con la buccia, cavolo non fiorito, carne di bue, trota, capra, becco, montone o anguille. Neanche il formaggio verrà servito nell’infermeria.

193. Quando il maestro intende mangiare nell’infermeria, deve chiedere al fratello infermiere di preparargli un pasto. E si deve apparecchiare un tavola il più vicino possibile ai malati, con una tovaglia, caraffe con acqua e vino e un calice di vetro; e il fratello infermiere deve preparare tanto cibo da poterne ammannire a tutti i fratelli che si trovano nell’infermeria.

Nessun fratello ricoverato nell’infermeria può avere caraffe o calici di vetro, a meno che non sia un valoroso cavaliere o un grande amico della casa.

194. I fratelli che non possono ascoltare gli uffici divini o recarsi nella chiesa a causa della propria infermità, devono andare a dormire nell’infermeria. Ma è opportuno che prima si confessino e si comunichino e, se né necessario, ricevano l’estrema unzione dal cappellano. Inoltre solo il maestro può dormire nella propria stanza quando è malato. E ogni fratello, quando è indisposto, se lo desidera, può mangiare per tre volte nel proprio letto: ovvero il giorno in cui la malattia insorge ed egli non può recarsi nella chiesa, e il giorno seguente fino ai vespri, e infine deve (se si è rimesso) essere ricoverato nell’infermeria. I fratelli affetti da dissenteria, gravemente feriti, soggetto al vomito o al delirio, o affetti da malanni tanto gravi da risultare intollerabili ai fratelli, devono essere ricoverati in una stanza il più vicino possibile all’infermeria, fintantoché riacquistino una migliore salute e gli altri fratelli possano nuovamente tollerarne la presenza.

195. Il fratello infermiere deve soddisfare le richieste di cibo avanzate da ciascuno dei fratelli ricoverati nell’infermeria e quant’altro questi domandino, se lo trova in casa o in vendita nel villaggio, e sciroppo se essi lo richiedono. E l’infermiere può autorizzare i fratelli a sottoporsi a salassi e a tagliarsi i capelli. Ma solo il maestro, o chi ne fa le veci, può autorizzarli a radersi la barba, incidersi piaghe profonde o prendere medicine.

196. Il commendatore della casa deve fornire al fratello infermiere quanto è necessario per la mensa dell’infermeria e quant’altro gli occorre per curare i fratelli infermi; e deve mettere a sua disposizione i responsabili della cantina, della cucina, del forno, del porcile, dei pollai e dell’orto. Oppure deve consegnare al fratello infermiere il denaro necessario ad acquistare ciò di cui ha bisogno per l’infermeria.

Il commendatore della terra deve assicurarsi che i fratelli abbiano ciò di cui abbisognano, e il denaro per acquistare le medicine che gli occorrono.

197. Quando escono dall’infermeria, per prima cosa i fratelli devono recarsi nella chiesa per sentire la messa e l’ufficio divino di Gesù Cristo, dopodiché possono mangiare per tre volte nell’infermeria, quindi, se sono guariti tanto da essere in grado di ascoltare tutti gli uffici divini nella chiesa, possono essere dimessi. Ma devono mangiare nella mensa dell’infermeria finché non si è certi che possano tollerare il cibo del convento.

Il commendatore della terra, o il maestro, devono reperire il medico che possa visitare gli infermi e consigliarli circa il male che gli affligge.

Elezione del Gran Maestro

Dell’elezione del maestro del Tempio

198. Quando il maestro muore, Dio dispone della sua anima; se decede, mentre si trova nel regno di Gerusalemme, il maresciallo, se è presente, prende provvisoriamente il suo posto e tiene capitolo in virtù della carica che ricopre, finché insieme, al convento e a tutti i balivi d’Oriente, non provvede a nominare un gran commendatore che ricopra la carica di maestro. E deve convocare tutti i valorosi del baliato e invitare tutti i prelati del regno e tutti i fedeli al funerale e alla sepoltura. E la cerimonia funebre deve essere celebrata fra una luminaria di candele, e il maestro deve essere sepolto con tutti gli onori. E solo il maestro ha diritto a questa luminaria di candele, in virtù del suo magistero.

199. Tutti i fratelli che si trovano nella casa e tutti quelli che risiedono nel baliato, nei sette giorni successivi devono dire duecento paternoster; e nessuno deve assentarsi a meno che non vi siano fondati motivi. E per amore della sua anima, il convento deve nutrire cento poveri a pranza e a cena. Quindi, come avviene per ogni fratello, il suo corredo deve essere distribuito, ad eccezione delle sue vesti intime e di quelle per la notte, le quali vanno all’elemosiniere, che a sua volta le consegna tutte ai malati, per amore di Dio, come avveniva ogni volta che il maestro prendeva nuove vesti e dava via le vecchie.

200. Poi, il maresciallo deve informare, il più presto possibile, tutti i commendatori delle provincie d’Oriente della morte del maestro, in modo che essi possano riunirsi in un giorno prestabilito e procedere all’elezione del gran commendatore che prende il posto del maestro. E se ciò non comporta pericoli per la casa, l’elezione del maestro deve avere luogo a Gerusalemme o nel regno. Poiché egli è capo della casa e della prima provincia del Tempio.

201. Ma se il maestro muore nella provincia di Tripoli o di Antiochia, e il maresciallo e tutto il convento si trovano in tali provincie, quanto detto a proposito del maresciallo del Tempio del regno di Gerusalemme, va applicato ai commendatori di quelle province. Così come spetta al maresciallo tenere capitolo ed eleggere il gran commendatore, se il decesso avviene nel regno di Gerusalemme, tale incombenza spetta al commendatore della terra di Tripoli o di Antiochia, se il decesso avviene nelle loro province. E se il maestro muore nel regno di Gerusalemme deve organizzare le esequie, non diversamente dagli altri commendatori delle province, e informare gli altri commendatori dell’avvenuto decesso, nel nome della Santissima Trinità.

202. E se il gran commendatore che deve occupare il posto del maestro viene nominato nel regno di Gerusalemme, il maresciallo deve riunire il capitolo come si è detto e il gran commendatore deve essere eletto di comune accordo da tutti i fratelli o della maggioranza, in nome e in conto di Dio.

203. Il gran commendatore deve riunirsi, in comitato ristretto, con il maresciallo e i commendatori delle tre province, se non sono trattenuti altrove da impegni canonici con gli altri valorosi balivi, e con quanti altri sono ritenuti in grado di contribuire in modo assennato alla deliberazione (ma non tutti). E insieme a loro deve stabilire il giorno più appropriato per l’elezione. E il giorno stabilito tutti i commendatori delle province devono presentarsi, senza essere convocati, insieme a una delegazione di uomini valorosi del loro baliato, la cui assenza non sia di danno alla provincia.

204. E a partire da quel momento, il gran commendatore terrà il sigillo del maestro e darà tutti gli ordini della casa del Tempio fino al giorno che Dio avrà prescelto per dare alla casa un nuovo maestro. E tutti dovranno obbedirgli come se fosse il maestro.

205. Fino al giorno dell’elezione i fratelli del Tempio d’Oriente devono digiunare per tre venerdì a pane e acqua. E tutti i commendatori devono far ritorno al proprio baliato e occuparsi dell’attività della casa, aiutando al meglio la volontà di Dio, e devono esortare i fratelli a pregare Dio perché illumini la casa circa il nuovo padre e maestro. E la medesima esortazione deve essere estesa a tutto il popolo dei fedeli.

206. Quando giunge il giorno dell’elezione del maestro, il convento e tutti i balivi si radunano nel luogo prestabilito di comune accordo. Dopo il mattutino, il gran commendatore convoca la maggior parte degli uomini valorosi della casa, ma non tutti i fratelli; essi devono scegliere, dopo consulto, due o tre fratelli dei migliori della casa, eletti fra i più rappresentativi, o anche di più se è necessario, e ordineranno loro di uscire dalla sala, ed essi dovranno obbedire.

207. Quindi il gran commendatore interroga il consiglio e quello che ottiene il consenso di tutti o della maggioranza dei fratelli viene eletto commendatore dell’elezione. Dopodiché essi vengono richiamati e viene reso noto al prescelto che è stato eletto commendatore dell’elezione del maestro, in nome di Dio. Questi deve amare Dio e la giustizia, essere benaccetto ai gruppi di ogni lingua e a tutti i fratelli; deve avere a cuore la pace e la concordia all’interno della casa, e non favorire divisioni. Teli devono essere tutti e tredici gli elettori del maestro, i quali provengono da province e nazioni diverse. Prima di sciogliere il consiglio occorre che venga nominato un fratello cavaliere come compagno del gran commendatore e ciascuno degli elettori. E i membri del consiglio e dell’assemblea non possono più essere sostituiti.

208. Il giorno dell’elezione, dopo il mattutino, il commendatore dell’elezione e il suo compagno rimangono svegli fino all’alba e pregano Dio nella cappella perché li guidi e li illumini, affinché possano portare a termine nel migliore dei modi l’ufficio e il compito loro affidato. E devono pregare in silenzio e non rivolgere la parola ad alcun fratello; né alcun fratello deve rivolgere loro la parole; né devono parlare tra di loro tranne che per consultarsi sulla decisione che devono prendere. E devono trascorrere tutta la notte pregando e consultandosi sull’elezione e nessuno degli altri fratelli deve abbandonare il consiglio; quelli infermi possono riposare nei loro letti e pregare perché Dio illumini la casa, mentre quelli che godono di buona salute, se le forze glielo consentono, devono rimanere in preghiera fino allo spuntar del sole.

209. Quando la campana ha suonato l’ora prima e i fratelli sono andati nella cappella per l’ufficio divino, ed è stata cantata con grande devozione la funzione della Spirito Santo, e dopo che sono state celebrate terza e sesta, entrino nella sala del capitolo e ascoltino in silenzio e umiltà l’omelia e la preghiera pronunciate secondo l’usanza dell’Ordine dei Cavalieri. Quindi il gran commendatore esorta i fratelli a invocare fra loro la grazia dello Spirito Santo, perché li aiuti a trovare un maestro e un pastore che sappia guidare la casa e tutta la Terrasanta, al cui servizio la casa è stata fondata e ordinata, E tutti i fratelli devono inginocchiarsi e recitare le preghiere che Dio ha insegnato loro.

210. Allora il gran commendatore convoca il commendatore dell’elezione e il suo compagno e, davanti all’intero capitolo, ordina loro, in nome dell’obbedienza che gli devono, a rischio delle loro anime e nella speranza del Paradiso, di eleggere con la massima saggezza e avvedutezza i compagni che dovranno assisterli nel loro ufficio. E ordina loro di non sceglierli né per compassione né per odio né per amore, ma di eleggere, con gli occhi volti soltanto a Dio, i più assennati, e amanti, come loro, della concordia della casa, dopodiché essi devono uscire dalla sala.

211. E i due fratelli ne scelgono altri due, cosicché diventano quattro. E i quattro fratelli ne scelgono altri due, cosicché diventano sei. E questi ne scelgono altri due, cosicché diventano otto. E questi otto ne scelgono altri due, cosicché ne diventano dieci. E questi dieci ne scelgono altri due, cosicché ne diventano dodici, in onore dei dodici apostoli. E i dodici fratelli devono eleggere insieme il fratello cappellano che prenda il posto di Gesù Cristo; egli deve sforzarsi di mantenere la pace, l’amore a l’armonia fra i fratelli: cosicché diventino tredici. E fra questi tredici vi saranno otto cavalieri, quattro sergenti e il cappellano. E questi tredici elettori dovranno essere come il commendatore dell’elezione, di cui si è già detto, e provenire da diversi paesi e nazioni, perché la pace regni nella casa.

212. Quindi i tredici elettori si presentano dinanzi al commendatore e ai fratelli, e il commendatore dell’elezione esorta tutti i fratelli presenti e il gran commendatore a pregare Dio per loro, per il pesante fardello loro imposto. E subito tutti i fratelli si devono prosternare a terra e pregare il Signore e tutti i sani e le sante, per mezzo dei quali la casa ha avuto origine, affinché la illumini e la guidi nella ricerca di un maestro che sappia servire nel modo migliore gli interessi della casa e della Terrasanta.

213. Poi i tredici si rialzano e si pongono dinanzi al gran commendatore il quale ordina a ciascuno di loro di adempiere all’ufficio cui sono vincolati, di avere Dio dinanzi agli occhi e di non occuparsi di nient’altro al di fuori dell’onore e del bene della casa e della Terrasanta. E ordina che, lasciando da parte odio e malignità, non manchino di scegliere la persona giudicata più adatta da tutti, o dalla maggioranza dei fratelli. E che non siano indotti dall’affetti o dall’amicizia ad eleggere ad un magistero tanto elevato una persona che non paia adatta a tutti o alla maggioranza dei fratelli.

214. E tale ordine deve essere formulato dal gran commendatore ai tredici elettori dinanzi all’intero capitolo, nel modo seguente: «Vi scongiuriamo, in nome di Dio e della Vergine Maria, e di San Pietro, e di tutti i santi e di tutte le sante di Dio, e per conto di questo capitolo, in virtù dell’obbedienza, a rischio di perdere la grazia di Dio, e di doverne dare conto a Dio ed ai santi nel giorno del Giudizio, se non fate il vostro dovere in questa elezione – di eleggere colui che vi sembrerà più degno e utile e rappresentativo per tutti i fratelli e per la casa de per la Terrasanta, e che goda della miglior reputazione».

215. E il commendatore dell’elezione esorterà il gran commendatore e tutti i fratelli a pregare Dio affinché gli illumini. Dopodiché i tredici elettori lasceranno insieme la sala del capitolo e si riuniranno nel luogo riservato all’elezione.

216. Nel nome della Santissima Trinità, Padre e Figlio e Spirito Santo. Amen. – Là essi inizieranno a discutere fra loro, e ognuno proporrà il nome di colui che ritiene più idoneo a ricoprire la carica di maestro, partendo dai fratelli che si trovano in Oriente, nei baliati o nel convento. E se Dio vuole che qualcuno venga ritenuto idoneo (di comune accordo) da tutti e tredici gli elettori, o dalla maggioranza, colui sarà eletto maestro del Tempio. Ma se avviene che venga ritenuto più idoneo da tutti o dalla maggioranza dei fratelli un fratello che si trova in Occidente, costui verrà eletto maestro del Tempio.

217. Ma se accade, Dio guardi, che i tredici fratelli si dividono in tre o quattro gruppi e non riescono a trovare un accordo, il commendatore dell’elezione, insieme ad uno dei valorosi della casa, deve recarsi presso il capitolo, dinanzi al gran commendatore e a tutti i fratelli, ed esortarli a pregare Dio affinché gli illumini; senza fare la minima allusione al disaccordo che regna fra loro, Dio non lo voglia, E tali preghiere andranno recitate più e più volte, su richiesta degli elettori. E tutti i fratelli devono inginocchiarsi e chinare il capo, e pregare affinché la grazia dello Spirito Santo illumini e guidi gli elettori nella nomina del maestro. – Quindi devono ricongiungersi ai compagni nel luogo riservato all’elezione.

218. E quando viene raggiunto l’accordo sulla persona da eleggere, costui viene nominato ed eletto maestro, all’unanimità o a maggioranza.

Se colui che viene in questo modo eletto dal convento è in Oriente ed è presente nel capitolo con gli altri fratelli, tutti e tredici gli elettori devono presentarsi dinanzi al commendatore e ai fratelli.

219. E il commendatore dell’elezione deve dire, a nome proprio e di tutti i fratelli elettori, agli altri fratelli: «Signori, rendete grazie a Nostro Signore Gesù Cristo e alla vergine Maria e a tutti i santi e sante per l’accordo che abbiamo raggiunto. In nome di Dio, abbiamo eletto il maestro del Tempio, come ci avevate ordinato; il nostro operato gode del vostro assenso?» E devono rispondere tutti insieme e ognuno per sé: «Si in nome di Dio». – «E promettete di obbedirgli finché rimane in vita?» – Ed essi devono rispondere: «Si in nome di Dio».

220. Quindi, il gran commendatore deve essere interrogato secondo la formula seguente: «Commendatore, se Dio e noi ti abbiamo eletto maestro del Tempio, prometti di obbedire al capitolo finché rimarrai in vita e di conservare le buone abitudini e le usanze della casa?», ed egli deve rispondere: «Si secondo la volontà di Dio». E la domanda deve essergli rivolta da tre o quattro dei più valorosi uomini della casa.

221. E se l’eletto è presente, il commendatore dell’elezione gli si avvicina, lo chiama per nome e gli rivolge le seguenti parole: «Fratello…, in nome del Padre, de Figlio e dello Spirito Santo, ti abbiamo eletto e ti eleggiamo maestro». E rivolto agli altri fratelli, il commendatore dell’elezione prosegue: «Cari fratelli, sia reso grazie a Dio, ecco il nostro maestro». E subito i fratelli cappellani intonano il Te Deum laudamus. Tutti i fratelli si alzano, sollevano il maestro con grande gioia e devozione e lo portano nella cappella tenendolo fra le braccia e presentano a Dio davanti all’altare colui che Egli ha inviato a guidare la casa; il maestro si inginocchia davanti all’altare, mentre i fratelli pregano Dio pr lui. E i fratelli cappellani recitano:

222. Kyrie eleison. – Christe eleison. – Kyrie eleison.

Pater noster… Et ne nos inducas in temptationem. R. Ed libera nos a malo.

Salvum fac servum tuum. R. Deus meus, sperantem in te.

Mitte ei, Domine, auxilium de sancto. R. Et de Syon tuere eos.

Esto ei, Domine, tuttis fortitudinis. R. A facie inimici.

Domine, exaudi orationem meam. R. Et clamor meus ad te veniat.

Dominus vobiscum. R. Et cum spiritu tuo

Oratio

Oremus. – Omnipotens sempiterne Deus, miserere famulo tuo et dirige eum secundum tuam clementiam in viam salutis eterne, ut, te donante, tibi placita cupiat et tota virtute perficiat, per Dominum…

223. Tutte le cose dette dai fratelli elettori devono rimanere segrete e nascoste come il capitolo; poiché ne potrebbe sorgere grande scandalo e grande odio, se a chiunque fosse consentito ripetere le parole dette ed esposte.

Punizioni

Queste sono le cose che possono causare l’espulsione di un fratello dalla casa del Tempio

Della simonia

224. La prima cosa per cui un fratello del Tempio può essere espulso dalla casa è la simonia, poiché chi è accolto nella casa mediante simonia deve essere espulso a causa di essa; infatti egli sarà dannato. Commette simonia che fa doni o promesse a un fratello del Tempio o a un’altra persona al fine di essere accolto nell’Ordine del Tempio.

Di chi rivela i segreti del capitolo

225. La seconda cosa è se un fratello rivela i segreti del capitolo a un fratello che non vi ha preso parte o a chiunque altro.

Di chi uccide o provoca la morte di un cristiano o di una cristiana

226. La terza cosa è se uno uccide o provoca la morte di un cristiano o di una cristiana.

Del ladrocinio

227. La quarta cosa è il ladrocinio, che può essere inteso in diversi modi.

Di chi lascia un castello o una fortezza senza passare dalla porta

228. La quinta cosa è se uno lascia un castello o una fortezza per una via diversa dalla porta prescritta.

Della comunella

229. La sesta è la comunella: infatti la comunella si ha fra due o più fratelli.

Di chi passa ai Saraceni

230. La settima cosa è se uno abbandona la casa e passa ai Saraceni (sarà espulso dalla casa).

Dell’eresia

231. L’ottava cosa è se uno pratica l’eresia o va contro la legge di Nostro Signore.

Di chi abbandona il gonfalone per paura dei Saraceni

232. La nona cosa è se un fratello abbandona il gonfalone e fugge per paura dei Saraceni (sarà espulso dalla casa).

Queste sono le cose per cui un fratello del Tempio può essere privato dell’abito

Di chi disobbedisce ai comandamenti della casa

233. La prima cosa è se un fratello disobbedisce ai comandamenti della casa e persevera nella propria follia e non intende eseguire gli ordini ricevuti; deve essere privato dell’abito e può essere messo in catene; ma se si pente prima che l’abito gli sia stato tolto e non ha causato danno alla casa, sta ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito. Poiché quando un fratello riceve l’ordine di servire la casa, deve rispondere: «In nome di Dio». E se risponde: «Non lo farò», il commendatore deve convocare senz’altro il capitolo, invitando gli anziani del convento a privarlo dell’abito, poiché ha rifiutato di eseguire un ordine; infatti il primo voto che facciamo è il voto di obbedienza.

Di un fratello che colpisce un altro fratello

234. La seconda cosa è se un fratello, preso da ira o furore, alza le mani su un altro fratello; venga privato dell’abito. E se ha colpito con durezza, può essere messo in catene. E non potrà portare il gonfalone bicolore, né il sigillo d’argento, né partecipare all’elezione del maestro; secondo la procedura già adottata numerose volte. E prima che la sua colpa venga giudicata, dovrà farsi assolvere, poiché è incorso nella scomunica; e se non è assolto non può mangiare con i fratelli né recarsi in chiesa. E se colpisce un religioso o un chierico deve farsi assolvere prima che venga esaminata la sua colpa.

Di un fratello che colpisce un cristiano o una cristiana

235. La terza cosa è se un fratello colpisce un cristiano o una cristiana con un oggetto aguzzo, una pietra, un bastone o con qualunque altra cosa capace di ferire o uccidere con un solo colpo; sta ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito.

Di un fratello che ha commercio con una donna

236. La quarta cosa è se un fratello ha commercio con una donna, poiché giudichiamo colpevole il fratello che entri in un luogo di malaffare o in un postribolo, con una peccatrice, da solo o in cattiva compagnia; venga privato dell’abito e messo in catene. E non potrà portare il gonfalone bicolore, né il sigillo d’argento, né potrà partecipare all’elezione del maestro; secondo la procedura già adottata numerose volte.

Di un fratello che accusi ingiustamente un altro fratello di una colpa che conduca all’espulsione dalla casa

237. La quinta cosa è se un fratello accusa un altro fratello di aver fatto qualcosa che implichi l’espulsione dalla casa; se il fratello che lo accusa non è in grado di provarne la colpevolezza, non può mantenere l’abito, poiché lo ha costretto a implorare pietà dinanzi al capitolo; e se smentisce davanti al capitolo, sta ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito; e anche se non lo fa comparire dinanzi al capitolo, non potrà avere indietro l’abito, qualunque cosa dica, a meno che non smentisca e desista dall’errore.

Di un fratello che incolpi se stesso

238. La stessa cosa è se un fratello si autoaccusa ingiustamente per ottenere il permesso di lasciare la casa; venga privato dell’abito.

Di un fratello che chiede il congedo

239. La settima cosa è se un fratello chiede al capitolo di essere congedato per cercare la salvezza della propria anima al servizio di un altro ordine religioso; se il capitolo glielo nega ed egli afferma di voler lo stesso lasciare la casa, starà ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito.

Di un fratello che afferma di voler passare ai Saraceni

240. L’ottava cosa è se un fratello afferma di voler passare ai Saraceni, anche se lo fa in un momento di ira o di furore; starà ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito.

Di un fratello che abbassa il gonfalone durante la battaglia

241. La nona cosa è se, in battaglia, un fratello del Tempio che regge il gonfalone lo abbassa per colpire, pur non arrecando danno ai compagni; starà ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito. E se lo usa per combattere e con ciò arreca danno ai compagni, deve essere privato dell’abito, e si può stabilire di metterlo in catene; egli non porterà mai più il gonfalone e non ricoprirà mai più il ruolo di comandante in battaglia.

Di un fratello che regge il gonfalone e va alla carica senza permesso

242. La decima cosa è se un fratello che regge il gonfalone va alla carica senza permesso dei superiori, a meno che non sia in difficoltà o comunque non in grado di chiedere tale permesso, come stabilito dagli statuti; sta ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito. E se il suo gesto arreca grave danno, potrà essere messo in catene, egli non porterà mai più il gonfalone, né ricoprirà mai più il ruolo di comandante in battaglia.

Di un fratello che carica senza permesso

243. L’undicesima cosa è se, in battaglia, un fratello va alla carica senza permesso, e la sua azione arreca danno; starà ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito. Ma se vede un cristiano in pericolo di morte, e sente in cuor suo di poterlo aiutare, come stabilito dagli statuti, può farlo. Ma in nessun’altra circostanza un fratello del Tempio deve caricare senza permesso.

Di un fratello che nega il cibo del Tempio ad un altro

244. La dodicesima cosa è se un fratello nega il pane e l’acqua della casa ad un fratello, che viene o che va, e non lo lascia mangiare con gli altri fratelli; venga privato dell’abito, perché quando un uomo è accolto tra i fratelli, ha diritto al pane e all’acqua della casa, e nessuno può negarglieli, qualunque cosa egli faccia, salvo quanto è stabilito dalla casa. Lo stesso vale per chiunque rifiuti di aprire la porta ad un fratello, impedendogli di entrare.

Di un fratello che concede l’abito a un uomo che non ne ha diritto

245. La tredicesima cosa è se un fratello concede l’abito della casa a un uomo che non ne ha diritto, o a qualcuno al quale non è autorizzato a concederlo, o senza il consenso del capitolo; venga privato dell’abito. E chi ha l’autorità di concederlo, non può toglierlo senza il consenso del capitolo: se lo fa venga privato dell’abito.

Di un fratello che accetta qualcosa da un altro per aiutarlo a diventare fratello

246. La quattordicesima cosa è se un fratello accatta qualcosa da un laico, promettendo in cambio di aiutarlo a diventare un fratello del Tempio; venga privato dell’abito, perché commette simonia.

Di un fratello che spezza il sigillo del maestro o di un altro

247. La quindicesima cosa è se un fratello spezza il sigillo del maestro o di chi ne fa le veci, senza averne ricevuto il permesso da chi può concederglielo; starà ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito.

Di un fratello che forza una serratura

248. La sedicesima cosa è se un fratello forza una serratura senza averne avuto il permesso da chi può concederlo, senza peraltro arrecare alcun danno alla casa; starà ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito.

Di un fratello che consegna ad un laico le donazioni fatte alla casa

249. La diciassettesima cosa è se un fratello del Tempio consegna le donazioni fatte alla casa ad un laico, o a chiunque altro al di fuori dei fratelli del Tempio, senza aver ricevuto il consenso da chi può concederlo; starà ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito. E se si tratta di una donazione ingente o se aliena delle terre, venga privato dell’abito; e a causa del grave danno che ha arrecato alla casa, si potrà giungere a metterlo in catene.

Di un fratello che dà in prestito senza permesso beni della casa

250. La diciottesima cosa è se un fratello dà in prestito un bene che appartiene alla casa, senza averne ricevuto il permesso da chi può concederlo; se la casa perde questo bene, venga privato dell’abito; e se il prestito sarà stato ingente, verrà messo in catene.

Di un fratello che dà in prestito il proprio cavallo a un altro fratello senza permesso

251. La diciannovesima cosa è se un fratello dà in prestito il proprio cavallo ad un altro fratello in un luogo in cui non è consentito andare senza permesso, e il cavallo va perduto, o muore, o rimane ferito; starà ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito. Tuttavia può darlo in prestito, se gli aggrada, nella città dove si trova.

Di un fratello che pone beni appartenenti a un altro insieme a quelli della casa

252. La ventesima cosa è se un fratello pone i beni di un altro insieme a quelli della casa, per cui il loro padrone perde ogni diritto su di esse;starà ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito.

Di un fratello che afferma di proposito che le cose di un altro appartengono alla casa

253. La ventunesima cosa è se un fratello afferma consapevolmente che le terre o i beni di un altro appartengono alla casa, e ciò non corrisponde a verità, ed è provato che egli lo fa per malizia o avidità; starà ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito. Ma se la sua coscienza gli suggerisce di farlo, può dirlo o garantirlo senza patire alcun danno.

Di un fratello che uccide, ferisce o smarrisce uno schiavo

254. La ventiduesima cosa è se un fratello uccide, ferisce o smarrisce in modo colpevole uno schiavo; il suo abito è nelle mani dei fratelli; sta a loro decidere se toglierglielo o meno.

Di un fratello che uccide, ferisce o smarrisce un cavallo

255. La ventitreesima cosa è se un fratello uccide, ferisce o smarrisce un cavallo per negligenza; il suo abito è nelle mani dei fratelli; sta a loro decidere se toglierglielo o meno.

Di un fratello che va a caccia e causa danno

256. La ventiquattresima cosa è se un fratello va a caccia e causa danno; sta ai fratelli se privarlo o meno dell’abito.

Di un fratello che prova le proprie armi

257. La venticinquesima cosa è se un fratello prova le proprie armi e causa danno; sta ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito.

Di un fratello che regala un animale che non sia un cane o un gatto

258. La ventiseiesima cosa è se un fratello, dal gregge o dalla stalla, regala un animale, che non sia un cane o un gatto, senza il permesso del commendatore della terra; sta ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito.

Di un fratello che costruisce una nuova casa senza permesso

259. La ventisettesima cosa è se un fratello costruisce una casa di pietra o calce senza il permesso del maestro o del commendatore della terra; sta ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito. Ma le case in cattive condizioni possono essere riparate senza premesso.

Di un fratello che procura intenzionalmente una perdita alla casa

260. La ventottesima cosa è se un fratello, intenzionalmente o per negligenza, procura alla casa una perdita di quattro o più denari; sta ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito: poiché nessuna perdita ci è consentita. E se la perdita è ingente si può decidere di metterlo in catene.

Di un fratello che varca la porta con l’intenzione di lasciare la casa

261. La ventinovesima cosa è se un fratello varca la porta con l’intenzione di lasciare la casa e poi se ne pente; gli si potrebbe togliere l’abito; e se si reca presso l’ordine degli Ospitalieri, o in qualunque altro luogo, sta ai fratelli decidere se privarlo o mano dell’abito. Ma se trascorre la notte fuori, deve essere privato dell’abito.

Di un fratello che lascia la casa e giace due notti fuori

262. La trentesima cosa è se un fratello lascia la casa e giace due notti fuori; a causa di ciò perderà l’abito e non lo riotterrà prima che sia trascorso un anno e un giorno. E se persiste nel fare ciò che è proibito per più di due notti, verrà espulso dalla casa.

Di un fratello che restituisce intenzionalmente l’abito, o lo getta in un accesso d’ira

263. La trentunesima cosa è se un fratello restituisce intenzionalmente l’abito, o lo getta in un accesso d’ira, e nonostante le preghiere e gli inviti rifiuta di raccoglierlo, e un altro fratello lo raccoglie prima di lui; venga privato dell’abito per un anno e un giorno. Ma se è lui stesso a raccoglierlo, di sua volontà, sta ai fratelli decidere se privarlo dell’abito o meno.

264. E se accade che egli non intenda raccoglierlo, e un altro fratello lo prende e glielo rimette sulle spalle, quel fratello perderà il proprio abito: poiché solo il capitolo può restituire l’abito o fare di un uomo un fratello. E colui al quale l’abito viene restituito nel modo suddetto, lo manterrà o lo perderà a discrezione dei fratelli.

265. E in tutti gli altri casi – eccetto gli ultimi due,, ovvero se un fratello giace due notti fuori della casa o restituisce intenzionalmente l’abito, che sono puniti con la perdita dell’abito per un anno e un giorno, come detto sopra – spetta ai fratelli, a seconda della condotta del fratello che ha mancato, decidere se privarlo o meno dell’abito.

266. E quando si giudica sull’abito d’un fratello, questi vene tenuto in considerazione secondo quanto stabilito nella casa; e la privazione dell’abito estingue ogni altra punizione.

E quando un fratello è privato dell’abito e messo in catene, deve alloggiare e prendere i pasti presso l’elemosiniere e non può recarsi nella cappella; ma deve comunque dire le ore canoniche e lavorare con gli schiavi. E se muore mentre fa penitenza, deve ricevere il servizio funebre riservato ai fratelli.

E se un fratello non ha l’autorità di dare l’abito non ha neppure l’autorità di toglierglielo, senza il permesso di chi può farlo.

Queste sono le colpe che posso essere giudicate dalla casa del Tempio

267. La prima è essere espulsi dalla casa; così vi sono pure colpe per cui si può essere messi in catene o imprigionati a vita.

La seconda riguarda l’abito; così vi sono pure colpe per cui si può essere messi in catene.

La terza è quando a un fratello è consentito di mantenere l’abito, per Amore di Dio, ma è punito per tre giorni, finché Dio e i fratelli non lo liberino dalla penitenza; e la punizione deve avere corso subito e senza indugio.

La quarta è due giorni di penitenza alla settimana, tre la prima settimana.

La quinta è due soli giorni.

La sesta un solo giorno.

La settima è solo il venerdì e la punizione corporale.

L’ottava è quando si dà un termine a un fratello dinanzi al maestro o a un altro dignitario della casa, affinché deliberino su questioni incerte per i fratelli.

La nona è quando un fratello è inviato dinanzi al cappellano.

La decima è quando un fratello viene assolto.

Statuti dei fratelli cappellani

268. I fratelli cappellani sono soggetti ai medesimi vincoli degli altri fratelli; e devono comportarsi come gli altri fratelli; e, fatto salvo il diritto del paternoster, devono dire le ore canoniche. Indossano la veste chiusa, devono radersi la barba e possono portare i guanti. E quando un fratello muore, invece di dire cento paternoster, devono cantare la messa e celebrare il servizio funebre.

I fratelli cappellani devono essere trattati con riverenza, ricevono le vesti migliori di cui la casa disponga e a tavola siedono accanto al maestro e vengono serviti per primi.

269. I fratelli cappellani ricevono le confessioni dei fratelli; i fratelli devono affidare ai fratelli cappellani le proprie confessioni, perché possono rivolgersi a loro senza bisogno di ricevere il permesso. Infatti ricevono dal papa un maggior potere assolutorio di quanto ne riceva un arcivescovo.

270. Se commette una mancanza, il fratello cappellano deve chiedere perdono al capitolo come ogni altro fratello, ma senza inginocchiarsi, e deve rimettersi al giudizio dei fratelli. Se un fratello cappellano abbandona la casa e poi torna a chiedere perdono, deve spogliarsi prima di entrare nel capitolo, andare dinanzi ai fratelli e chiedere loro perdono, senza inginocchiarsi. A meno che la sua mancanza non sia tale da procurargli l’espulsione, deve fare penitenza ed essere privato dell’abito per un anno e un giorno; e deve mangiare alla tavola della servitù, senza tovaglia, e osservare tutti i digiuni previsti per i fratelli che devono fare penitenza, finché i fratelli non lo liberano; e la domenica deve ricevere la punizione corporale da un altro fratello cappellano, ma non i pubblico, ed è soggetto ad ogni altro castigo; e durante la settimana può recitare i salmi in privato, ma non cantarli. E mentre gli altri fratelli puniti lavorano insieme agli schiavi, il fratello cappellano invece di lavorare deve recitare il salterio.

271. E se un fratello cappellano conduce una vita malvagia, o semina discordia fra i fratelli, o è motivo di scandalo, deve comparire di fronte al capitolo, ancor più a ragione che fosse un semplice fratello, perché così ha stabilito il papa, nel concederci i cappellani. E se fa penitenza, ma conserva l’abito, deve mangiare alla tavola dei turcopoli, ma senza tovagliolo. E se lo merita può essere messo in catene o imprigionato a vita.

Queste sono le cose da cui un fratello cappellano non può assolvere

272. Queste sono le cose da cui un fratello cappellano non può assolvere un fratello del Tempio. Ovvero se un fratello uccide un cristiano o una cristiana.

Se un fratello alza le mani su un altro fratello facendolo sanguinare.

Se un fratello del Tempio alza le mani su un membro di un altro Ordine, sia egli chierico o un sacerdote ordinato dalla Santa Chiesa.

Se un fratello entra nell’Ordine, pur appartenendo ad un altro, e poi lo confessa; oppure se entra nella casa mediante simonia.

273. Il fratello cappellano non può assolverli perché il papa vuole che siano soggette al giudizio della Chiesa di Roma; pertanto occorre che siano assolti dal patriarca, dall’arcivescovo o dal vescovo del paese in cui si trovano.

Formule di professione

274. « Vis abrenunciare seculo?R. Volo – Vis profiteri obedientem secundum canonicam institutionem et secundum preceptum domini pape? R. volo. – Vis assumere tibi conversationem fratrum nostrorum? R. Volo »

Tunc ille qui eum alloquitur dicat post: Deus auxilietur et benedicat nobis; totus psalmus dicatur.

275. Post ea dicat professionem suam: « Ego…

Regulam commilitonum Christi et milicie eius Deo adiuvante servare volo, et promitto propter vite eterne premium, ita ut ab hac die non mihi liceat collum excutere de iugo regule; et un hec peticio professionis mee firmiter teneatur, hanc consriptam obedientiam in presentia fratrum in perpetuum trado, et manu mea sub altare pono, quod est consecratum in honore Dei onnipotentis et beate Marie et omnium sanctorum. Et dehinc promitto obedientiam Deo et huic domui, et sine proprio vivere, et castitatem tenere secundum preceptum domini pape, et conversationem fratrum domus milicie Christi firmiter tenere ».

276. Tunc dimittat sum super altare, et prostatus dicat. « Suscipe me Domine secundum eloquium tuum et vivam » Tunc all: R. « Et non confundas me ab expectatione mea ». Posta dicat: «Dominus illuminatio mea » . R. « Dominus protector vite mee ». Postea: Kyrie eleison. – Christe eleison. Kyrie eleison. – Pater noster – Tunc sacerdos dicat: Et ne nos…

Psalmus: Levi oculos. – Ostende nobis Domine. – Salvum fac servum tuum. – Intret postulatio mea in conspectu tuo Domine. – Erravi sicut ovis que periit. – Ecce quam bonum. – Sit nomen Domini benedictum. – Domini exaudi orationem meam.

Oratio

277. Oremus. – Suscipe quesumus Domine hunc famulum tuum ad te procella huius seculi laqueisque diaboli fugientem, ut ad te susceptus et instanti seculo salvatum, et in futuro seculo se gaudeat a te feliciter muneratum: per Christum…

Oratio

278. Deus qui per te et per sanctos patres nostros regulare magisterium precipue sanctisti, quesumus clementiam super hunc famulum tuum seculo abrenunciatum respicias, et cor eius a seculi vanitate convertas, ed ad superne vocationis amorem accendas, et gratiam quam in te perservas infundas, ut protectionis tue munitus presidio quod te donante promittit hoc impleat, et sue professionis executor effectus ad ea que perseverentibus in te promittere dignatus es pertingere mereatur. Per Dominum nostrum Jesum Christum filium tuum, qui tecum vivit et regnat…

La vita conventuale

Regole della vita quotidiana dei fratelli

279. Ogni fratello del Tempio deve sapere che il primo dei suoi vincoli è servire Dio, e ciascuno vi si deve dedicare con tutto l’intelletto e la partecipazione, soprattutto nell’ascoltare le sacre funzioni; infatti nessuno deve sottrarvisi fintantoché si trova alle dipendenze della casa. Poiché come dice la nostra regola, se amiamo Dio, ascolteremo ben volentieri se Sue sante parole.

280. Nessun fratello deve assistere alle funzioni religiose senza l’abito. E nessuno deve bere o mangiare senza l’abito; e tutti devono tenere l’abito in modo da vere i lacci sul collo. E chi, durante le funzioni, indossa la cappa dovrà portare anche la tunica con la sua giubba d’armi, se non ha il mantello; e ciò vale anche per i pasti.

281. Quando la campana suona per il mattutino, ciascun fratello deve alzarsi prontamente, vestire il suo mantello, indossare la calzamaglia, andare in chiesa e ascoltare la messa; e nessuno deve rimanere nel dormitorio durante il giorno, a meno che non sia infermo o affaticato. Ma deve avere il permesso del maestro o di chi ne fa le veci. Ciascun fratello può assistere al mattutino in camicia e brache, e con il cappuccio e senza alcuna cintura, tranne quella piccola. Deve avere calzature e scarpe, e l’abito come si è detto più sopra. E riguardo alle altre funzioni, ciascun fratello dovrà presenziarvi vestito di tutto punto, a seconda delle condizioni del tempo e delle stagioni.

282. Mentre sono in chiesa per ascoltare il mattutino, i fratelli devono rimanere tranquilli e in silenzio; e recitare tredici paternoster per i mattutini della Vergine e, se vogliono, tredici per quelli del santo del giorno. Ma se vogliono possono esimersi del recitarli, poiché li ascoltano, ma è preferibile dirli piuttosto che ascoltarli.

283. Dopo il mattutino, ciascuno deve occuparsi dei cavalli e dell’equipaggiamento, se è possibile; e se vi è qualcosa da perdonare, perdonarla o dare le disposizione necessarie. E se un fratello deve parlare con il proprio scudiero deve farlo a bassa voce, dopodiché può tornare a dormire. Ma prima di addormentarsi deve dire ancora un paternoster, affinché Nostro Signore lo perdoni, se ha commesso qualche mancanza, violando la consegna del silenzio o altro.

284. Quando la campana suona l’ora prima, ciascun fratello si deve alzare prontamente, vestirsi di tutto punto, come si è detto più sopra, raggiungere la cappella e ascoltare la funzione per intero. Innanzitutto la funzione dell’ora prima e quindi, se può, la messa; e dopo la messa deve ascoltare o recitare le ore terza e sesta, secondo l’usanza della casa. E se un fratello vuole ascoltare o dire terza e sesta prima della messa, può farlo. E quando la prima messa è cantata, se poi in chiesa non vengono celebrate altre messe, i fratelli possono prendervi parte. Se non hanno incarichi da svolgere è preferibile che si rechino a messa; ma ciascuno è libero di andare dopo aver sentito la prima messa, terza e sesta, come si è detto più sopra. Ma prima di recarsi in qualunque altro luogo, ciascun fratello deve badare all’equipaggiamento, come già prescritto.

285. Se non sono a cavallo o non vi sono ordini particolari, dopo aver lasciato la cappella, i fratelli devono occuparsi dell’equipaggiamento e dell’armatura, riparando o facendo riparare quanto necessita di essere riparato, facendo costruire pali o picchetti per la tenda o quant’altro attiene al loro compito. E ciascun fratello deve evitare che il Nemico lo colga nell’ozio, poiché il Nemico assale con maggiore baldanza e più volentieri l’uomo che ha desideri malvagi e vani pensieri e dice parole empie, piuttosto che quello dedito a ben operare.

286. Quando suona la campana del desinare, quelli della prima tavola devono prendere posto, in modo che nessuno possa rimanere indietro senza permesso, tranne che per le cose indicate qui di seguito. Ma prima di mangiare, ciascuno deve aver recitato o ascoltato il mattutino, prima, terza e sesta, e soprattutto i sessanta paternoster che ciascun fratello del Tempio ha l’obbligo di recitare ogni giorno, per la salvezza dei fratelli e dei benefattori della casa, vivi e defunti; ovvero trenta per i morti, affinché Dio li liberi dalle pene del Purgatorio e li accolga in Paradiso, e trenta per i vivi, affinché Dio li liberi dal peccato, perdoni le loro colpe e conceda loro una fine degna. E nessun fratello dovrà esimersi dal recitare questi sessanta paternoster, per intero e ogni giorno, a meno che non sia tanto infermo da non poterli recitare senza nuocere al proprio corpo.

287. Quando hanno preso posto intorno al tavolo, se hanno un cappellano ed egli è in condizione di raggiungerli prontamente, i fratelli devono mandarlo a chiamare ed attendere che egli giunga; dopodiché devono assicurarsi che egli abbia pane, vino e acqua, se non devono mangiare altro; in caso contrario, quant’altro ci debba essere. Il cappellano deve impartire la benedizione e ciascun fratello deve alzarsi e recitare un paternoster in piedi, dopodiché ciascuno può sedersi e tagliare il pane; e nessuno deve tagliare il pane, mangiare o bere, prima che sia impartita la benedizione. E anche se non vi è un cappellano, ciascun fratello deve recitare il paternoster e osservare le altre norme; dopodiché ciascuno può mangiare, per amore di Dio.

288. E durante i pasti, ovunque il convento si trovi, un chierico leggerà le sacre scritture; e ciò è stato stabilito affinché i fratelli siano indotti a rimanere in silenzio per ascoltare le sante parole di Nostro Signore; perché così vuole la regola. Infatti sia nota a tutti che, ovunque il convento si trovi, i fratelli e tutti gli altri devono mangiare in silenzio. E anche nella mensa dell’infermeria ciascun fratello deve mangiare in pace e in silenzio.

289. Quando i fratelli mangiano insieme, nessuno deve mangiare o bere cose diverse da quelle degli altri (neppure il maestro, o chiunque altro), a meno che un fratello non chieda che gli venga servito un piatto diverso da quello servito in comune agli altri fratelli. Al momento del servizio l’altro piatto sarà servito dopo quello normale, affinché se qualcuno non gradisce l’uno possa prendere l’altro. E tale piatto deve essere sempre più misero di quello servito per primo; se un fratello non mangia il piatto comune può avere l’altro, se lo desidera.

290. Ciascun fratello del convento può chiedere e ottenere che gli sia dato il cibo della servitù. Ma se mangia il cibo della servitù non può mangiare il cibo del convento; e se mangia il cibo del convento, non può mangiare il cibo della servitù. Ciascun fratello che mangia in convento può chiedere ciò che mangiano gli altri fratelli, ma non deve mangiare l’altro piatto.

291. Nessuno dei fratelli del convento deve offrire il cibo che ha di fronte, il cane o quant’altro a uomini, uccelli o altri animali. Non deve invitare nessuno a bere dalla sua coppa, a meno che non si tratti di un uomo degno di mangiare nel convento. Tuttavia ciascun fratello può offrire da bere a un uomo venuto a conferire con lui; ma il vino dovrà provenire dalla cantina o da da qualunque altro luogo, ma non falla tavola del convento.

292. E un uomo valoroso può essere invitato a sedere a tavola con i fratelli, e prenderà posto ad un tavolo a seconda della sua importanza. Ma il fratello dovrà avvisare a far avvisare il commendatore della casa o del palazzo; e questo non può essergli rifiutato. – Neppure quando mangiano nella mensa dell’infermeria i fratelli devono offrire il cibo che hanno di fronte a uomini, uccelli o animali; né offrire da bere o da mangiare ad alcuno, tranne nei casi già visti a proposito dei fratelli che mangiano in refettorio. Ma è peggio se ciò avviene in convento piuttosto che in infermeria; e in ogni caso è proibito.

293. Nessuno che abiti in convento deve portare calzamaglie o due paia di brache, né sdraiarsi sul pagliericcio senza permesso, né coprirsi con schiavine o stuoie, né cercare con nessun altro mezzo la comodità del corpo; e sopra il materasso si potrà avere solo un lenzuolo.

294. Quando i fratelli mangiano in convento, nessuno che abbia spezzato il pane, o abbia mangiato o bevuto alcunché, a pranzo o a cena, può alzarsi mai da tavola, finché non ha concluso il pasto. E nessuno dei fratelli della prima tavola deve alzarsi prima degli altri, a meno che non perda sangue dal naso; in tal caso può alzarsi senza permesso, e tornare a sedersi dopo che il sangue si è fermato. E se viene dato l’allarme, qualora si sia certi che è stato un fratello o un uomo leale a gridarlo, o se i cavalli sono agitati, o se scoppia un incendio nella casa, i fratelli possono alzarsi senza permesso e successivamente tornare a tavola.

295. Dopo aver desinato, i fratelli della prima tavola devono alzarsi insieme, mentre il chierico dice Tu autem Domine…; e nessuno deve trattenersi in refettorio, e tutti insieme devono recarsi in chiesa, se si trova nelle vicinanze, e rendere grazie a Nostro Signore per quello che ha donato loro; E ognuno dirà un paternoster e se vi è fra loro un sacerdote o un chierico, precederà i fratelli in chiesa, e renderà grazie a Dio, reciterà le preghiere previste secondo l’usanza della casa. Ma se la chiesa non è prossima al refettorio, reciteranno le preghiere e renderanno grazie nel refettorio stesso, allo stesso modo che se fossero in chiesa. E dopo che si sono alzati da tavola non devono proferire parola prima di aver reso grazie a Dio, come già prescritto.

296. I fratelli dell’ultima tavola devono dire la benedizione come quelli della prima; e devono ricevere lo stesso cibo e porzioni uguali a quelle della prima, e devono essere serviti allo stesso modo; deve essere servito loro lo stesso cibo della prima tavola se ne è rimasto a sufficienza. Ma se non ne rimane a sufficienza, possono ricevere cibo diverso. Tuttavia non deve essere in alcun modo migliore di quello servito agli altri; e sia noto a tutti che i fratelli devono accoglierlo di buon grado e rimanere in silenzio. Sia chiaro inoltre che quanti servono e distribuiscono il cibo devono suddividerlo in modo che gli ultimi ne ricevano quanto i primi.

297. Quando i fratelli mangiano all’ultima tavola, non ha luogo la lettura delle Sacre Scritture; ma i fratelli devono nondimeno rimanere in silenzio e rispettare le norme cui sono soggetti quelli della prima, ad eccezione del fatto che quando un fratello dell’ultima tavola ha desinato, può alzarsi; ma deve rendere grazie e comportarsi nello stesso modo dei fratelli della prima.

298. Lo stesso vale per i fratelli che mangiano nell’infermeria, sia alla prima sia all’ultima tavola, allorché si tratta di alzarsi e rendere grazie. Ai fratelli dell’ultima tavola dell’infermeria dovrà essere servito lo stesso cibo dei quelli della prima, a meno che con ce ne sia a sufficienza; in tal caso si potrà servire loro un cibo diverso. E chiunque violi questa norma sarà accusato di ingordigia, e subirà una dura punizione; e ciò vale anche per i fratelli che tollerano i cibo comune dell’infermeria; poiché occorre favorire i più deboli, gli infermi e gli anziani; infatti così vuole la regola.

299. Se il commendatore del palazzo si avvede che il cibo abbonda nell’infermeria ma scarseggia nel convento, può invitare i fratelli dell’ultima tavola del refettorio a mangiare con lui nella mensa dell’infermeria; essi accoglieranno l’invito e il commendatore del palazzo farà servire loro nell’infermeria lo stesso cibo servito ai fratelli della prima tavola.

Dopo aver reso grazie a Dio, nel modo suddetto, ognuno tornerà alle proprie mansioni e farà del suo meglio per compiacere la volontà di Nostro Signore.

300. Quando si avvicina l’ora nona o il vespro, o qualunque altra ora, ciascun fratello deve essere abbastanza vicino da sentire la campana o da poter essere trovato se qualcuno lo cerca per invitarlo ad ascoltare le funzioni. Quando poi la campana suona per l’ora nona, ciascuno deve recarsi a sentire la funzione in chiesa. E poi, quando la campana suona per il vespro, ciascuno deve andare a sentire la funzione, e nessuno deve rimanere indietro senza permesso, ad eccezione del fratello incaricato del forno, se sta impastando, del fratello fabbro, se sta forgiando il ferro, nel qual caso può continuare a lavorare finché il ferro è caldo; e del fratello maniscalco, se sta preparando i ferri, oppure se sta ferrando un cavallo o un’altra cavalcatura. Ma appena hanno portato a termine il lavoro, anche loro devono andare in chiesa dove si cantano le ore e udirle o recitarle.

301. E dovete sapere che nessun fratello che non sia infermo deve bere vino fra pranzo e vespro; e quelli che mangiano nel convento non devono berne affatto fino a che non sia stata cantata l’ora nona.

302. Quando i fratelli hanno sentito o recitato i vespri, quelli che mangiano due volte al giorno devono andare alla prima tavola della cena, e nessuno deve restare indietro senza permesso, ad eccezione dei tre suddetti, i quali possono assentarsi dal pranzo e dalla cena, da nona e da vespri, peer i motivi suddetti; e in occasione della cena si dirà la benedizione, si ascolterà la lettura e si rispetteranno tutte le norme già viste per il pranzo.

303. Durante i digiuni, i fratelli devono ascoltare o recitare l’ora nona prima di desinare, dopodiché possono desinare, a meno che non sia la grande Quaresima; poiché dopo la prima domenica di quella Quaresima, nei giorni di digiuno, ciascun fratello può desinare solo dopo aver ascoltato o recitato i vespri.

304. Quando la campana suona per compieta, i fratelli si riuniscono in chiesa o nel luogo dove si riuniscono di solito e possono bere tutti insieme acqua o vino diluito, se così piace la maestro, o in base alle usanze della casa; ma devono rifuggire da ogni eccesso; poiché così vuole la regola. Quindi, se ricevono istruzioni, devono eseguirle tranquillamente e in silenzio. Dopodiché ciascun fratello ascolterà compieta o reciterà da solo, se non può ascoltare insieme agli altri fratelli.

305. E dopo compieta, ciascun fratello si prenderà cura dei cavalli e dell’equipaggiamento; e se lo desidera parlare con il proprio scudiero deve farlo sottovoce e dolcemente, dopodiché può andare a dormire. E quando sarà a letto deve dire un paternoster, affinché Dio possa perdonarlo se ha commesso qualche mancanza dopo compieta. E, fatti salvi i casi d’emergenza, ciascun fratello deve rimanere in silenzio da compieta fino all’ora prima.

306. E ogni fratello sappia che se non può ascoltare le ore prima, terza, sesta, nona e compieta, dovrà recitare i paternoster nel modo indicato qui di seguito. Quattordici paternoster ogni ora: sette per le ore di Nostra Signora devono essere recitate sempre per prime e sette per le ore canoniche. Le ore di Nostra Signora devono essere sempre recitate in piedi, mentre quelle del giorno possono essere recitate anche da seduti.

Per i vespri ciascuno reciterà diciotto paternoster: nove per Nostra Signora e nove per il giorno. Le ore di Nostra Signora devono essere sempre recitate per prime, poiché Nostra Signora fu all’inizio del nostro Ordine, e in lei e in suo onore, a Dio piacendo, avranno fine le nostre vite e il nostro Ordine, quando Dio vorrà.

307. Se un fratello ascolta le funzioni, può astenersi dal dire le orazioni; ma è preferibile e più salutare che le reciti. E sia noto a tutti che i fratelli che partecipano alla funzione in chiesa devono inginocchiarsi, alzarsi e sedersi insieme, secondo le regole dell’ufficio divino; e quanti non sono in grado di farlo a causa dalla loro infermità, devono porsi da parte, alle spalle degli altri fratelli.

308. Le ore devono essere ascoltate per intero e nessun fratello deve uscire dalla chiesa prima del termine della funzione, a meno che non debba svolgere un compito inevitabile, o debba andare in cerca del fratello che in chiesa occupa il posto accanto al suo; e se non si è presentato per la funzione, deve andarlo a cercare almeno nel dormitorio o presso i cavalli.

309. Ciascun fratello deve fare in modo di essere presente alla fine delle funzioni quando, ad eccezione di compieta, vengono fatti i richiami e vengono diramate le istruzioni, secondo l’usanza della casa; quando v’è compieta, gli ordini vengono diramati al momento della cena, prima che la funzione abbia inizio. E vengono comunicati prima che compieta abbia inizio, perché se fossero comunicati al termine, verrebbe violata la consegna del silenzio; ciononostante in caso di necessità può essere fatto, ma è meglio se viene fatto prima, senza violare la regola, che dopo. – Nessun fratello deve abbandonare il luogo della colazione prima del suono della campanella, a meno che non gli sia stato ordinato; e anche se un fratello non desidera bere, deve rimanere con gli altri per ricevere gli ordini.

310. Ogni fratello deve accogliere gli ordini di buon grado. Se un fratello non era presente alla fine di una funzione, deve chiedere agli altri che erano presenti se ci sono stati ordini, ed essi devono informarlo, a meno che non si tratti di qualcosa coperto dal segreto. Ma se sono state date istruzioni relative all’affidamento di incarichi, o altro, egli deve presentarsi subito dinanzi a colui che ha dato gli ordini e dire: «Signore, non ero presente alla comunicazione degli ordini». Quindi si atterrà a quanto gli viene comandato.

311. Al suono della campana i fratelli devono riunirsi, e nessuno deve rimanere dove si trova senza permesso. Nessun fratello può chiedere che un altro venga esonerato dalle funzioni, dalle chiamate, dal capitolo o da qualunque altro ufficio, a meno che non gli venga espressamente chiesto o comandato dal fratello stesso.

Se un fratello chiede ad un altro di farlo esonerare da un ufficio dal quale sia possibile essere esonerati, quel fratello deve farlo; se non lo fa è colpevole e il fratello che gliel’ha chiesto è prosciolto dall’accusa.

312. Nel chiedere l’esonero dalle funzioni per conto di un fratello, egli si deve esprimere nel modo seguente: «Sire, concedete l’esonero al fratello…». E deve farne il nome e spiegare il motivo per cui il fratello chiede d’astenersi dalle ore canoniche, sia che si tratti di infermità o di altro; si è voluto così affinché il commendatore conosca bene i fratelli. E se vede che quel fratello è aduso a mancare alle ore troppo spesso, lo ammonisce e lo invita a comportarsi secondo la regola; e se il fratello non si ravvede, il commendatore lo deve deferire al capitolo e può negargli l’esonero.

Nessun fratello deve chiedere a un laico o ad altri di chiedere l’esonero per suo conto; ma può chiedere a un laico o ad un altro di chiedere a un fratello che domandi l’esonero per suo conto.

313. Quando un fratello riceve un ordine dal maestro deve dire: «In nome di Dio» e, se rientra nelle sue capacità, eseguirlo prontamente. E se non è in grado di eseguirlo, deve domandare a qualcuno che chieda al maestro di scioglierlo dall’incarico, poiché non è in grado di portarlo a termine, o perché l’ordine è irragionevole; e se vede che le cose stanno così, il maestro deve annullare l’ordine. In tal modo deve comportarsi ogni commendatore nei confronti dei suoi sottoposti; e ciascun fratello deve rispondere: «In nome di Dio», quando il commendatore gli dà un ordine, ed eseguirlo come si è detto più sopra. Ciascun fratello deve guardarsi dal fare ciò che non è consentito nella casa.

314. Ciascun fratello deve andare alla funzione dell’ora prima vestito di tutto punto, infatti non deve andarci né in camicia, né in casacca, se non indossa sopra di esse la cotta o la tunica, né deve avere il cappuccio in testa. Dopo compieta nessuno deve pettinarsi; si può stare con la testa coperta solo in infermeria e mentre ci si reca a mattutino; ma durante l’ufficio cantato bisogna stare a capo scoperto.

315. Ciascun fratello deve prendersi cura con zelo del proprio equipaggiamento e dei propri cavalli. Nessuno deve far correre un cavallo che non sia riposato, né galoppare senza permesso, in particolare con uno di quelli che non usa abitualmente; se non cavalca per servizio, gli sia sufficiente andare al passo o all’ambio. Nessun fratello deve lanciare il proprio cavallo per un’intera corsa senza permesso. Se non porta la balestra e desidera lanciarlo al galoppo, può farlo per una, due o tre corse, anche senza permesso. Nessun fratello deve, senza permesso, far correre il proprio cavallo per mezza corsa portando un’altra persona, neppure se ha fretta. Nessun fratello deve far correre il proprio cavallo per un’intera corsa né portare armi senza permesso, quando non ha gli stivali, ma può fargli fare mezza corsa. Se un fratello intende di proposito lanciare il suo cavallo per un’intera corsa, deve indossare gli stivali. E’ vietato scagliare la lancia, durante i tornei dei fratelli cavalieri, poiché potrebbe causare danno. Nessun fratello deve ferrare, strigliare i propri cavalli, né compiere altre azioni che lo costringano a rimanere nelle stalle, senza permesso.

316. Nessun fratello deve prendere alcunché, senza permesso , dal luogo dov’è accampato un altro. Se un fratello trova il cavallo di un altro nel luogo dov’è accampato, non deve prenderlo né spostarlo, ma invitare il proprietario del cavallo a lasciargli il posto, e questi deve farlo; il maresciallo o chi ne fa le veci deve ordinargli di lasciare libero quel posto.

Quando un fratello esce a cavallo per diletto deve affidare il proprio posto e il proprio equipaggiamento alla sorveglianza di un altro fratello.

317. E’ vietato mettere in palio cavallo o altri beni, ad eccezione delle frecce di balestra spuntate, o altre cose che non causino esborso di denaro, come lanterne scoperte, mazzuoli di legno, picchetti o pioli per accampamenti o le tende. E tali oggetti, i quali non causano alcuna spesa, possono essere donati da un fratello all’altro, anche senza permesso. E ogni fratello del Tempio può gareggiare con un altro con la balestra mettendo in palio non più di dieci pezzi di candela, e tanto può perdere in un giorno; o anche una corda di balestra usata; ma non deve mai, senza permesso, lasciarla incustodita durante la notte. E nient’altro potrà essere messo in palio nelle sfide di tiro alla balestra. Allo spuntar del giorno nessuno deve allacciarsi la spada sopra la casacca o alla cintura.

I fratelli possono giocare con i propri picchetti, che non contengano ferro, a chevilles o a forbot. I fratelli del Tempio non possono giocare a nessun altro gioco, ma solo a campana per diletto e senza alcuna posta in palio. Non è consentito giocare a scacchi, trictrac o eschaçons.

318. E se un fratello trova l’equipaggiamento di un altro non deve appropriarsene; e se non sa di chi è deve portarlo o farlo potare nella cappella; ma se sa di chi è deve restituirlo al proprietario. Se l’equipaggiamento che è stato ritrovato e portato nella cappella appartiene alla casa, ma non si sa a quale fratello appartenga, deve essere consegnato al maresciallato se è di sua pertinenza, alla sartoria se è della sartoria, o a un altro degli artigiani.

319. Nessun fratello deve dare una razione maggiore di orzo a uno dei suoi cavalli a svantaggio degli altri. Nessun fratello deve cercare di procurarsi orzo per i suoi cavalli senza permesso, oltre a quello distribuito a tutti i fratelli nel granaio. Nessun fratello deve conservare la propria razione d’orzo quando ne prende un’altra, ma se lo fa deve dichiararlo. Quando i fratelli danno ai propri cavalli metà razione, tale razione deve essere di dieci (misure); e sia noto a tutti che i cavalli della carovana devono sempre avere metà razione, tale razione, ovvero dieci (misure); e anche i cavalli dei fratelli artigiani devono avere metà razione, ovvero dieci (misure). E deve essere sempre così, a meno che la casa non abbia usanze diverse; in particolar modo, che le messe razioni siano più grandi o più piccole.

320. Nessun fratello del convento può entrare in un borgo, un casale, un castello, un giardino, una fattoria o una dimora, posti a una distanza di una lega dalla casa, senza permesso; a meno che non sia in compagnia di un balivo il quale ha l’autorità di condurvelo.

E sia noto a tutti che ciascun fratello del convento o fratello artigiano deve guardarsi dall’entrare in un borgo, un giardino o una fattoria, a meno che non sia autorizzato. Nessun fratello del convento o artigiano deve mangiare o bere vino senza permesso in un luogo distante una lega o meno dalla casa in cui risiede, a meno che non vi sia costretto dalle circostanze; gli è invece concesso di bere acqua, se ne ha bisogno. Ma può bere vino se è in compagnia del vescovo o dell’arcivescovo, o di un altro prelato che sia più importante del vescovo. E se ha bisogno e lo desidera può bere nell’Ospedale di san Giovanni; ma deve comportarsi come se si comporterebbe se fosse nella casa.

321. Se, nell’adempiere ai propri doveri, un fratello viene a trovarsi un uno dei laboratori della casa, non deve entrare nel guardaroba, senza il permesso del fratello responsabile del laboratorio o di un superiore. I fratelli del convento devono fare le proprie richieste ai fratelli artigiani sottovoce e umilmente; e, se possono, i fratelli artigiani devono soddisfarle in tutta umiltà, senza discutere o agitarsi; e se non sono in grado di farlo, devono dirlo sottovoce e umilmente. E se si comportano diversamente, ne risponderanno dinanzi al capitolo, poiché ciò potrebbe essere causa di discordia tra i fratelli; e sia noto a tutti che ciascun fratello deve guardarsi dal muovere un altro fratello ad ira o indignazione, e questo è rigidamente prescritto dalla regola.

322. Nessun fratello deve portare l’usbergo o la calzamaglia di ferro in una borsa, né di tela né di sacco, bensì in una sacca di cuoio o di maglia di ferro; e non deve appendere la maglia di ferro ad una corda, ma reggerla in mano o farla reggere dal sergente; ma può farla appendere a una corda, se ne ha il permesso.

323. E’ vietato mangiare nel convento o nell’infermeria indossando la cappa; se un fratello pranza al mattino nel convento non può cenare alla sera in nessun altro luogo della casa, e questo vale per il maestro e chiunque altro. Ma se accade che il maestro, dopo aver pranzato nell’infermeria, esce a cavallo per diletto, o per qualunque altro motivo, e porta con sé i fratelli che hanno pranzato nel convento, il maestro può invitarli a cenare con lui nella stessa dimora in cui hanno pranzato al mattino. Ma se il maestro ha pranzato nel convento, non può cenare al vespro in nessun altro luogo. E quando il maestro mangia a una tavola che non sia quella del convento, l’elemosiniere deve prendere il cibo servito alla sua tavola e distribuirlo ai sergenti malati e agli scudieri ricoverati nell’infermeria; e deve prendere dalla tavola dell’infermeria i sughi di carne, l’arrosto e il pasto in bianco, se ve ne sono.

324. Nessun fratello deve coprirsi la testa col cappuccio. Nessun fratello deve indossare il cappuccio di maglia di ferro senza un copricapo di stoffa. Nessun fratello deve disonorare il mantello appendendolo mediante ganci intorno al letto, Nessun fratello può dipingere la propria lancia senza permesso, né decorare la propria spada, né il cappello di ferro, o la cotta di maglia, né dipingere il proprio cappello di ferro.

325. Nessun fratello deve imprecare, sia egli calmo o adirato, né dire cose turpi o abiette, né tanto meno farle. Ciascun fratello deve agire nobilmente e parlare correttamente. Nessun fratello deve indossare guanti di pelle, ad eccezione dei fratelli cappellani cui è consentito portarli in segno di rispetto per il Corpo di Cristo, che spesso reggono tra le mani; e anche ai fratelli muratori è consentito indossarli talvolta, a causa della durezza del loro lavoro, in modo che non abbiano a ferirsi le mani; ma non possono indossarli mentre non sono all’opera.

Ciascun fratello deve portare i guanti di ferro quando indossa gli spallacci e il resto dell’armatura, altrimenti non può portarli senza permesso.

326. Nessun fratello deve portare con sé gli statuti o la regola senza aver ricevuto il permesso del convento; infatti il convento prescrive che non li abbiano con sé, poiché è accaduto che siano finiti nelle mani degli scudieri che li hanno letti e rivelati ai laici, esponendo l’Ordine a gravi rischi. Affinché non possa avvenire niente di simile, il convento ha stabilito che nessun fratello debba portarli con sé, ad eccezione del balivo che li adopera per svolgere il proprio ufficio nel baliato.

327. Nessuno può portare o tenere denaro senza permesso.

Quando un fratello chiede a un fratello del nostro baliato denaro per acquistare qualcosa, deve acquistarla al più presto e non può acquistare nient’altro senza permesso; e ogni balivo del Tempio può farlo e concedere tale permesso; e ciascun fratello balivo può consentire ad un altro fratello di acquistare un pugnale d’Antiochia o d’Inghilterra. E in assenza del commendatore dei cavalieri, i fratelli devono chiedere il permesso al balivo, se è presente fra loro.

328. E se fra loro non vi è né un commendatore dei cavalieri, né un balivo, i fratelli devono scegliere quello fra loro che sembra il più assennato e nominarlo commendatore dei cavalieri, e da quel momento sarà lui a concedere i permessi. E se si tratta di fratelli sergenti, in assenza di altri commendatori dei fratelli, i permessi saranno loro concessi dal sergente balivo, se ce n’è uno fra loro. Ma sia noto a tutti che nessun sergente può diventare commendatore dei cavalieri, né tenere capitolo laddove vi siano dei cavalieri.

329. Ciascun fratello del Tempio, ed anche il maestro, deve guardarsi attentamente dal tenere per sé alcuna moneta, sia essa d’oro o d’argento; poiché un uomo di religione non deve possedere alcunché, secondo le parole del santo: <<Un uomo di religione che ha spiccioli non vale neppure un soldino>>. Nessun fratello deve possedere alcunché a titolo personale, né poco né tanto, né in deposito né senza deposito, e soprattutto non deve possedere denaro. I balivi possono disporre dei beni di cui necessitano per svolgere il loro incarico, ma devono essere pronti a renderne conto al loro superiore, se egli ne fa richiesta, poiché se rifiutano e risulta che li possiedono saranno accusati di ladrocinio e cacciati dalla casa, dal che Dio preservi i fratelli del Tempio.

330. I beni della casa appartengono a tutti, e sia noto a tutti che né il maestro né chiunque altro può consentire a un fratello di possedere qualcosa a titolo personale, foss’anche un solo denaro, né può autorizzare alcun fratello a fare qualcosa di diverso a quanto ha promesso solennemente a Dio, mediante di voti, ovvero obbedienza, castità e povertà. Tuttavia, quando un fratello viaggia da una provincia a un’altra, o da un luogo a un altro, il maestro o un altro commendatore può consentirgli di portare con sé il denaro necessario per svolgere il proprio incarico e acquistare ciò di cui necessita; ma non appena il fratello è giunto a destinazione, deve restituire il denaro che gli è rimasto alla tesoreria o a quello che gliel’ha consegnato, poiché non può né deve tenerlo per sé, poco o tanto che sia.

331. Poiché il denaro rinvenuto addosso a un fratello al momento della morte, o fra le sue vesti, o nella biancheria del letto, o nella borsa, sarà considerato suo e quindi rubato. E quel malvagio fratello non dovrà essere sepolto insieme a quelli onesti, né in terra consacrata; e i fratelli non saranno obbligati a recitare i paternoster per lui, né a celebrare i riti funebri; ma lo seppelliranno come se fosse uno schiavo, dal che Dio preservi i fratelli del Tempio.

332. Ma se dopo la morte di un fratello si scopre che egli aveva del denaro nel tesoro in deposito, o per ordine di un fratello balivo, quel fratello non dovrà essere trattato come si è detto sopra riguardo ai fratelli malvagi, poiché egli non aveva denaro su di sé, né lo aveva riposto in un luogo rischioso per la casa. Per quanto egli abbia commesso una grave mancanza e abbia violato i voti e i vincoli contratti, sia perdonato e trattato con clemenza e compassione, al pari di ogni altro fratello, e si preghi per la salvezza della sua anima, chi Dio lo perdoni. Ma se il deposito a lui affidato viene rinvenuto all’esterno della casa, e il fratello depositario muore senza confessarne l’esistenza a qualcuno che possa consentire alla casa di rientrarne in possesso, il fratello in questione sarà trattato come un fratello malvagio, cui, al momento della morte, venga trovato addosso del denaro.

333. E sia noto a tutti che se lo stesso maestro deposita una somma all’esterno della casa, senza assicurarsi che, al momento della sua morte, la casa sia in grado di rientrarne in possesso, deve essere trattato anche peggio dei fratelli falsi e malvagi di cui si è detto più sopra; poiché sia noto a tutti che più la persona è autorevole, più è debitrice nei confronti della casa, se si macchia intenzionalmente di un crimine tanto odioso.

334. E sia noto a tutti che nessun fratello, neppure il tesoriere, né chiunque altro, deve custodire a lungo i beni di un altro fratello, soprattutto quando si tratta di monete, siano esse d’oro o d’argento; chi lo fa commette una grave mancanza e si rende complice di un peccato spregevole; il fratello cui il denaro è affidato deve piuttosto ammonire il fratello che glielo ha affidato di acquistare al più presto ciò per cui aveva richiesto il denaro o altrimenti restituirlo al tesoro o a chi glielo aveva consegnato, e il fratello deve obbedirgli.

335. E sia noto a tutti che nessun fratello può depositare una somma di denaro in un luogo diverso dal tesoro e, in mancanza di un tesoriere, deve consegnarlo al commendatore del palazzo o della casa dove risiede.

E le stoffe, cucite o meno, devono essere depositare alla sartoria, eccezion fatta per le tuniche cucite degli scudieri, le camice, le brache e le casacche da campo, che devono andare alla selleria; ciò che viene acquistato dal sarto deve essere riposto nella sartoria e anche ciò che viene acquistato dal sotto-maresciallo, e anche l’equipaggiamento di ciascun fratello. E nessun fratello deve prendere quanto depositato da un altro fratello, senza permesso.

336. Nessun fratello artigiano né carceriere né nessun altro devono mettere in catene uno sciavo senza permesso, anche se se lo è meritato; nessuno deve mettere uno schiavo alla gogna né trafiggerlo con la spada senza permesso; tuttavia se uno schiavo se lo è meritato lo si può frustare senza permesso con staffili, purché si badi a non storpiarlo.

337. Se uno non è figlio legittimo di un cavaliere non può indossare il mantello bianco, e i fratelli devono impedirglielo. Ma se il padre di un gentiluomo muore prima che il figliolo sia stato accolto nella confraternita, ed era uomo tale da meritare la dignità di cavaliere, il figliolo non perderà per questo la propria nobiltà; al contrario, potrà essere nominato cavaliere e fratello del Tempio, ed indossare il mantello bianco. Ma neppure un cavaliere o figlio di un cavaliere può indossare il mantello bianco se non è nato da un matrimonio legittimo.

338. Quando un fratello del Tempio è troppo vecchio per impugnare le armi deve rivolgere queste parole al maresciallo: <<Signore, vi prego, per amore di Dio, prendete il mio equipaggiamento e datelo a un fratello che possa adoperarlo al servizio della casa, poiché non sono più in grado di compiere il dovere io e della casa>>. E il maresciallo deve acconsentire, e assegnare al valoroso fratello un cavallo mite per il suo diletto, se il fratello lo desidera; ma prima di prendere l’equipaggiamento del fratello deve avvisare il maestro. Poiché né il maresciallo né nessun altro può prendere l’equipaggiamento di un fratello, indipendentemente dalla volontà di quest’ultimo, senza avvisare il maestro o chi ne fa le veci, in modo tale da liberarlo di tutto il suo equipaggiamento.

339. Ma se un fratello non è più in grado di servirsi del proprio cavallo per adempiere ai normali compiti della casa, può restituirlo al maresciallo, e il maresciallo può e deve prenderlo, senza avvisare il maestro o altri; se può deve darne un altro al fratello, se il fratello non ne ha altri. E sia noto a tutti che quanto detto vale per i fratelli anziani e per quanto non sono in grado di fare il proprio dovere per il ben328. E se fra loro non vi è né un commendatore dei cavalieri, né un balivo, i fratelli devono scegliere quello fra loro che sembra il più assennato e nominarlo commendatore dei cavalieri, e da quel momento sarà lui a concedere i permessi. E se si tratta di fratelli sergenti, in assenza di altri commendatori dei fratelli, i permessi saranno loro concessi dal sergente balivo, se ce n’è uno fra loro. Ma sia noto a tutti che nessun sergente può diventare commendatore dei cavalieri, né tenere capitolo laddove vi siano dei cavalieri.

329. Ciascun fratello del Tempio, ed anche il maestro, deve guardarsi attentamente dal tenere per sé alcuna moneta, sia essa d’oro o d’argento; poiché un uomo di religione non deve possedere alcunché, secondo le parole del santo: <<Un uomo di religione che ha spiccioli non vale neppure un soldino>>. Nessun fratello deve possedere alcunché a titolo personale, né poco né tanto, né in deposito né senza deposito, e soprattutto non deve possedere denaro. I balivi possono disporre dei beni di cui necessitano per svolgere il loro incarico, ma devono essere pronti a renderne conto al loro superiore, se egli ne fa richiesta, poiché se rifiutano e risulta che li possiedono saranno accusati di ladrocinio e cacciati dalla casa, dal che Dio preservi i fratelli del Tempio.

330. I beni della casa appartengono a tutti, e sia noto a tutti che né il maestro né chiunque altro può consentire a un fratello di possedere qualcosa a titolo personale, foss’anche un solo denaro, né può autorizzare alcun fratello a fare qualcosa di diverso a quanto ha promesso solennemente a Dio, mediante di voti, ovvero obbedienza, castità e povertà. Tuttavia, quando un fratello viaggia da una provincia a un’altra, o da un luogo a un altro, il maestro o un altro commendatore può consentirgli di portare con sé il denaro necessario per svolgere il proprio incarico e acquistare ciò di cui necessita; ma non appena il fratello è giunto a destinazione, deve restituire il denaro che gli è rimasto alla tesoreria o a quello che gliel’ha consegnato, poiché non può né deve tenerlo per sé, poco o tanto che sia.

331. Poiché il denaro rinvenuto addosso a un fratello al momento della morte, o fra le sue vesti, o nella biancheria del letto, o nella borsa, sarà considerato suo e quindi rubato. E quel malvagio fratello non dovrà essere sepolto insieme a quelli onesti, né in terra consacrata; e i fratelli non saranno obbligati a recitare i paternoster per lui, né a celebrare i riti funebri; ma lo seppelliranno come se fosse uno schiavo, dal che Dio preservi i fratelli del Tempio.

332. Ma se dopo la morte di un fratello si scopre che egli aveva del denaro nel tesoro in deposito, o per ordine di un fratello balivo, quel fratello non dovrà essere trattato come si è detto sopra riguardo ai fratelli malvagi, poiché egli non aveva denaro su di sé, né lo aveva riposto in un luogo rischioso per la casa. Per quanto egli abbia commesso una grave mancanza e abbia violato i voti e i vincoli contratti, sia perdonato e trattato con clemenza e compassione, al pari di ogni altro fratello, e si preghi per la salvezza della sua anima, chi Dio lo perdoni. Ma se il deposito a lui affidato viene rinvenuto all’esterno della casa, e il fratello depositario muore senza confessarne l’esistenza a qualcuno che possa consentire alla casa di rientrarne in possesso, il fratello in questione sarà trattato come un fratello malvagio, cui, al momento della morte, venga trovato addosso del denaro.

333. E sia noto a tutti che se lo stesso maestro deposita una somma all’esterno della casa, senza assicurarsi che, al momento della sua morte, la casa sia in grado di rientrarne in possesso, deve essere trattato anche peggio dei fratelli falsi e malvagi di cui si è detto più sopra; poiché sia noto a tutti che più la persona è autorevole, più è debitrice nei confronti della casa, se si macchia intenzionalmente di un crimine tanto odioso.

334. E sia noto a tutti che nessun fratello, neppure il tesoriere, né chiunque altro, deve custodire a lungo i beni di un altro fratello, soprattutto quando si tratta di monete, siano esse d’oro o d’argento; chi lo fa commette una grave mancanza e si rende complice di un peccato spregevole; il fratello cui il denaro è affidato deve piuttosto ammonire il fratello che glielo ha affidato di acquistare al più presto ciò per cui aveva richiesto il denaro o altrimenti restituirlo al tesoro o a chi glielo aveva consegnato, e il fratello deve obbedirgli.

335. E sia noto a tutti che nessun fratello può depositare una somma di denaro in un luogo diverso dal tesoro e, in mancanza di un tesoriere, deve consegnarlo al commendatore del palazzo o della casa dove risiede.

E le stoffe, cucite o meno, devono essere depositare alla sartoria, eccezion fatta per le tuniche cucite degli scudieri, le camice, le brache e le casacche da campo, che devono andare alla selleria; ciò che viene acquistato dal sarto deve essere riposto nella sartoria e anche ciò che viene acquistato dal sotto-maresciallo, e anche l’equipaggiamento di ciascun fratello. E nessun fratello deve prendere quanto depositato da un altro fratello, senza permesso.

336. Nessun fratello artigiano né carceriere né nessun altro devono mettere in catene uno sciavo senza permesso, anche se se lo è meritato; nessuno deve mettere uno schiavo alla gogna né trafiggerlo con la spada senza permesso; tuttavia se uno schiavo se lo è meritato lo si può frustare senza permesso con staffili, purché si badi a non storpiarlo.

337. Se uno non è figlio legittimo di un cavaliere non può indossare il mantello bianco, e i fratelli devono impedirglielo. Ma se il padre di un gentiluomo muore prima che il figliolo sia stato accolto nella confraternita, ed era uomo tale da meritare la dignità di cavaliere, il figliolo non perderà per questo la propria nobiltà; al contrario, potrà essere nominato cavaliere e fratello del Tempio, ed indossare il mantello bianco. Ma neppure un cavaliere o figlio di un cavaliere può indossare il mantello bianco se non è nato da un matrimonio legittimo.

338. Quando un fratello del Tempio è troppo vecchio per impugnare le armi deve rivolgere queste parole al maresciallo: <<Signore, vi prego, per amore di Dio, prendete il mio equipaggiamento e datelo a un fratello che possa adoperarlo al servizio della casa, poiché non sono più in grado di compiere il dovere io e della casa>>. E il maresciallo deve acconsentire, e assegnare al valoroso fratello un cavallo mite per il suo diletto, se il fratello lo desidera; ma prima di prendere l’equipaggiamento del fratello deve avvisare il maestro. Poiché né il maresciallo né nessun altro può prendere l’equipaggiamento di un fratello, indipendentemente dalla volontà di quest’ultimo, senza avvisare il maestro o chi ne fa le veci, in modo tale da liberarlo di tutto il suo equipaggiamento.

339. Ma se un fratello non è più in grado di servirsi del proprio cavallo per adempiere ai normali compiti della casa, può restituirlo al maresciallo, e il maresciallo può e deve prenderlo, senza avvisare il maestro o altri; se può deve darne un altro al fratello, se il fratello non ne ha altri. E sia noto a tutti che quanto detto vale per i fratelli anziani e per quanto non sono in grado di fare il proprio dovere per il bene delle loro anime e della casa. E sia noto a tutti altresì che gran danno viene alla casa da un fratello che tiene tre o quattro cavalli e tutto l’equipaggiamento senza potersene servire a vantaggio della casa stessa. Gli anziani devono essere di esempio agli altri e guardarsi con cura dal commettere qualunque mancanza, nel magiare, nel bere, nell’abbigliamento o in qualunque altra cosa, affinché i fratelli giovani, in particolare, possano rispecchiarsi in loro, e apprendere il giusto modo di comportarsi dal loro stesso comportamento.

L’ufficio divino

340. Ciascun fratello deve sforzarsi di vivere onestamente e dare il buon esempio in tutto e per tutto a coloro che vivono nel mondo e ai fratelli degli altri Ordini, dimodoché chiunque lo veda non possa scorgere nulla di male nella sua condotta, nel suo modo di cavalcare o camminare, nel suo modo di bere o mangiare, nel suo sguardo, nelle sue parole e nelle sue opere. E in particolare ciascun fratello deve sforzarsi di mantenere un contegno umile e onesto, mentre ascolta o recita l’ufficio di Nostro Signore, e deve dire le preghiere e genuflettersi secondo le usanze della casa.

341. Quando i fratelli sono in chiesa o altrove, e le ore canoniche sono cantate o recitate dai fratelli, ciascuno deve genuflettersi secondo quanto previsto dalle usanze della casa; ad eccezione dei giorni in cui vengono effettuate nove letture, o nelle ottave delle feste celebrate dalla casa del Tempio, e durante l’Avvento, quando si recitano le antifone dette dell’ “O”, i fratelli devono genuflettersi ad ogni funzione, tranne che ai vespri. Neppure alla vigilia dell’Epifania e di Natale la genuflessione va fatta ad ogni funzione; e non occorre genuflettersi alla vigilia delle feste comandate, quando all’ora nona vengono recitate nove letture.

342. Durante le messe cantate della grande quaresima, ogni qualvolta il sacerdote o il diacono dicono flectamus genua, tutti i fratelli che non sono infermi si devono inginocchiare, e quando il celebrante dice levate devono rialzarsi. Il primo mercoledì della grande quaresima, appena dopo il mattutino, il sacerdote e il chierico devono intonare i sette salmi della penitenza, e mentre i salmi vengono recitati, i fratelli devono rimanere in piedi; ma alla fine di ogni salmo, al momento del gloria patri, ciascun fratello deve genuflettersi e subito rialzarsi. E dopo i salmi il sacerdote e il chierico devono iniziare la litania e recitarla per intero, insieme alle preghiere prescritte, quietamente e a bassa voce; intanto i fratelli devono prosternarsi e ascoltare l’ufficio con grande devozione. I sette salmi e la litania devono essere recitati in tal modo ogni giorno, fino al mercoledì delle Ceneri, a meno che esso non coincida con una festività delle nove letture, ed ogni giorno i fratelli devono osservare le norme suddette.

343. Il primo mercoledì della grande quaresima, che viene detto mercoledì delle Ceneri, i fratelli devono avere il capo cosparso di cenere dal cappellano, oppure da un altro sacerdote se non possono avere un cappellano, affinché ricordino che cenere siamo e cenere ritorneremo.

344. Quando giunge il sabato di metà Quaresima, e si canta l’antifona che è detta media vita, che ogni volta si dice sancte Deus, sancte fortis, sancte et immortalis, i fratelli devono genuflettersi ad ogni sancte, sia che si tratti di un giorno di festa o meno.

345. Ma dal mercoledì santo, dopo nona, i fratelli non devono genuflettersi alla fine delle funzioni, fino al lunedì dopo l’ottava di Pentecoste, ad eccezione del venerdì santo alla fine delle funzioni, quando si recitano il Kyrieleison e il Miserere, poiché in tal caso ognuno deve prosternarsi fino al termine delle preghiere, ad ogni funzione; in quello stesso giorno, quando il celebrante durante la messa dice flectanus genua, ciascun fratello deve inginocchiarsi ogni volta che viene commemorata la resurrezione. E i fratelli devono genuflettersi solo nelle occasioni ricordate.

Ma sia noto a tutti che i fratelli infermi non sono tenuti a genuflettersi fintantoché non si siano rimessi al punto da poterlo fare senza aggravare le proprie condizioni di salute.

346. Il giovedì santo è usanza della casa suonare le campane per mattutino e per tutte le ore fino alla messa. Ma dopo che la messa ha avuto inizio le campane devono tacere fino alla vigilia di Pasqua; e quando viene intonato il Gloria devono suonare a distesa. Il giovedì santo il bacio della pace non viene scambiato; ma dopo la messa e il vespro l’elemosiniere deve riunire tredici poveri e procurare acqua calda, brocche, bacinelle e asciugamani.

347. E i fratelli devono lavare, asciugare e baciare umilmente i piedi ai poveri. Ma l’elemosiniere deve assicurarsi che quei poveri che devono essere lavati non abbiano su piedi e gambe laide malattie che potrebbero contagiare i fratelli. E mentre il rito viene celebrato, il sacerdote e il chierico devono indossare la cotta e portare la croce e recitare le preghiere prescritte dalla casa per quel giorno. Dopodiché il commendatore della casa, o un dignitario di grado più elevato, deve consegnare a ognuno dei poveri due pagnotte, un paio di calzature nuove e due denari, Tutto ciò deve avvenire prima della cena del giovedì santo.

348. Il giovedì santo, prima di compieta, verrà suonata la battola e a tale suono i fratelli si raduneranno come se avessero udito i rintocchi della campana; e il sacerdote e il chierico andranno da loro in convento, portando la croce. Quindi il sacerdote o il chierico leggeranno il brano del vangelo prescritto dalla casa per l’occasione, ma senza annunciarne il titolo; e se lo desidera potrà leggerlo seduto, ma dovrà avere indosso i paramenti sacri; e dopo aver letto per un po’ potrà riposare. E i fratelli sergenti porteranno vino per i fratelli cavalieri, e i fratelli lo berranno se lo desiderano; e quando avranno bevuto, il celebrante terminerà la lettura del vangelo. Dopodiché i fratelli, il sacerdote e il chierico si recheranno insieme in chiesa; quindi il sacerdote e il chierico laveranno l’altare e lo aspergeranno di vine e acqua. E tutti i fratelli si avvicineranno all’altare in preghiera e lo baceranno, secondo l’usanza della casa, accogliendo sulle labbra qualche goccia del vino annacquato versatovi dai celebranti e lo berranno. E dopo che tutti i fratelli avranno preso parte al rito, si darà inizio a cantare compieta.

349. Il venerdì santo tutti i fratelli devono pregare dinanzi alla croce con grande devozione e a piedi nudi. E in quel giorno devono digiunare a pane e acqua e mangiare senza tovaglia; inoltre le tavole devono essere lavate prima di porvi il pane; e in nessun’altra occasione i fratelli del Tempio devono mangiare senza tovaglia, a meno che non stiano scontando una penitenza, e in tal caso mangeranno per terra su una falda del loro mantello e senza tovagliolo, come diremo più avanti.

E sebbene i fratelli mangino al refettorio il giorno del venerdì santo, quelli della prima tavola possono alzarsi, se vogliono, senza permesso; e questo non è consentito in alcun altro giorno.

350. Gli altri giorni di digiuno che i fratelli del Tempio devono osservare sono i seguenti: tutti i venerdì, da Ognissanti a Pasqua, ad eccezione del venerdì che cade durante l’ottava di Natale. E se il Natale cade di venerdì, i fratelli mangeranno ugualmente carne per onorare il Natale. E i fratelli non sono obbligati a digiunare neppure per l’Epifania, la Candelora e il giorno di S. Mattia apostolo, se cadono di venerdì.

351. Inoltre, tutti i fratelli del Tempio hanno l’obbligo di digiunare in occasione delle due quaresime: dal lunedì che precede la festa di S. Martino che è in novembre, fino alla vigilia di Natale; dal lunedì che precede il mercoledì delle Ceneri fino alla vigilia di Pasqua.

352. Ciascun fratello deve osservare il digiuno la vigilia dell’Epifania; la vigilia di S. Matteo apostolo; il giorno di S. Marco; la vigilia di SS. Filippo e Giacomo apostoli; i tre giorni di S. Giovanni Battista; la vigilia dei SS. Pietro e Paolo apostoli; la vigilia di S. Giacono apostolo; la vigilia di S. Lorenzo; la vigilia di S. Bartolomeo apostolo; la viglia di S. Matteo apostolo; la vigilia dei SS. Simone e Giuda apostoli; la vigilia di S. Andrea apostolo; e la vigilia di S. Tommaso apostolo. – I fratelli del Tempio devono osservare altri quattro digiuni: il mercoledì, venerdì e sabato successivi al mercoledì delle ceneri; il mercoledì, venerdì e sabato successivi alla Pentecoste; il mercoledì, venerdì e sabato successivi all’esaltazione della Santa Croce, che avviene a settembre; il mercoledì, venerdì e sabato successivi alla festa di S. Lucia vergine.

353. E i fratelli del Tempio devono sapere che tutte le sere, dopo nona, vanno recitati i vespri per i fratelli defunti, e i fratelli devono ascoltarli, tranne la vigilia delle festività delle nove letture, quando i vespri possono essere tralasciati; e i vespri per le anime dei defunti possono essere tralasciati anche l’antivigilia di Natale, l’antivigilia dell’Epifania, per la Santissima Trinità e durante le ottave delle ricorrenze abitualmente celebrate dalla casa.

354. Ma sia noto a tutti che un fratello del Tempio può rendere la propria confessione solo a un fratello cappellano, a meno che non intervengano gravi motivi di necessità o in assenza del fratello cappellano, e dopo aver ricevuto il permesso.

355. E i fratelli del Tempio devono sapere che tutte le sere, dopo nona, vanno

recitati i vespri per i fratelli defunti, e i fratelli devono ascoltarli, tranne la vigilia delle festività delle nove letture, quando i vespri possono essere tralesciati; e i vespri per le anime dei defunti possono essere tralasciati anche l’antivigilia di Natale, l’antivigilia dell’Epifania, per la Santissima Trinità e durante le ottave delle ricorrenze abitualmente celebrate dalla casa.

356. E dovete sapere anche che la veglia in onore dei defunti deve avvenire ogni giorno al Tempio fra nona e vespri; ma dopo la prima domenica della grande quaresima deve avere luogo fra la cena e compieta, nei giorni di digiuno, e come si è detto prima negli altri giorni. Inoltre la veglia in onore dei defunti può essere omessa quando vengono tralasciati i vespri; e allora saranno il frate cappellano, i sacerdoti e i chierici a recitarla. E i fratelli non sono obbligati ad assistervi; ma sia noto a tutti che è preferibile assistervi, se non hanno incarichi più importanti da svolgere.

357. E’ usanza della casa recitare ogni giorno in chiesa, prima di mattutino, i quindici salmi, tranne che nelle feste delle nove letture, la vigilia di Natale e dell’Epifania. Ma i quindici salmi non vengano recitati recitati durante le ottave di Natale, Pasqua, Pentecoste, Assunzione e festa del santo cui è consacrata la chiesa della casa. – Le ore della Vergine devono essere recitate ogni giorno, tranne la vigilia e durante le ottave di natale e dell’Epifania; e viene celebrato un solo ufficio anche per la Candelora e durante le ottave, ad eccezione di Settuagesima.

358. Ma se Settuagesima cade durante le ottave, conviene che le ore siano recitate ogni giorno, e l’ufficio della Vergine e quello del giorno dopo Settuagesima e le ottave possono essere tralasciati. Nella casa del Tempio si celebra un solo ufficio il giorno dell’annunciazione di Nostro Signore, la Domenica delle Palme, il giorno di Pasqua e durante le ottave, il giorno dell’Ascensione, la vigilia di Pentecoste e durante l’ottava, il giorno dell’Assunzione della Vergine e durante l’ottava, il giorno della natività della Vergine e durante l’ottava, il giorno di Ognissanti, il giorno della festa del santo cui è consacrata la chiesa nella cui parrocchia si trova la casa e durante l’ottava.

359. E ciascun fratello deve prendere parte con assiduità alle funzioni sopra elencate, ed è tenuto a farlo, se non è infermo; ad eccezione delle veglie in onore dei defunti che possono essere tralasciate come si è detto sopra.

I fratelli infermi i quali non sono in grado di ascoltare l’ufficio, né di genuflettersi come i sani, devono sedere in disparte in chiesa dietro gli altri fratelli, e ascoltare l’ufficio con grande devozione, e rimanere in silenzio, e prendere parte alla funzione meglio che possono, ma senza aggravare la propria condizione.

360. Tutti i fratelli del Tempio devono sapere che nelle case in cui vi è una cappella o una chiesa si va in processione per Natale, l’Epifania, la Candelora, la Domenica delle Palme, pasqua, l’Ascensione, la Pentecoste, l’assunzione della Vergine, la natività della Vergine, Ognissanti, il giorno del santo cui è consacrata la chiesa, e il giorno della donazione della chiesa. E queste processioni sono dette generali, poiché tutti i fratelli in buona salute presenti nella casa in cui ha luogo la processione devono prendervi parte, e nessuno deve sottrarvisi senza permesso. E anche coloro che si trovano nelle vicinanze della casa, ovunque essi siano, se possono, devono partecipare alla processione.

361. E si fanno nel Tempio altre processioni che si dicono private, poiché sono compiute privatamente dal cappellano, dal sacerdote e dal chierico, senza gli altri fratelli. E gli altri fratelli non sono obbligati a prendervi parte, ma se lo desiderano possono farlo. Tuttavia se la processione attraversa luoghi che di norma sono preclusi ai fratelli, i fratelli possono andare in processione solo se hanno ricevuto il permesso.

362. Tutti i fratelli del Tempio devono portare alla loro chiesa grande compostezza e riverenza; e sia noto a tutti che è proibito togliere dalla chiesa qualunque oggetto necessario al celebrante o a coloro che assistono là dentro alle funzione, senza averne ricevuto l’ordine.

363. Durante la funzione, nessun fratello, ad eccezione del cappellano, deve trattenersi nei pressi del sacerdote e del chierico che celebrano l’ufficio di Nostro Signore, a meno che non sia autorizzato a farlo, poiché potrebbe ostacolare il loro ufficio.

E per quanto attiene a ogni altro aspetto dell’ufficio di Nostro Signore, ciascuno deve fare del suo meglio, a seconda delle possibilità della casa e di quanto stabilito dal nostro ordinamento, il quale deriva dalla regola del Santo Sepolcro.

364. E dovete sapere che i fratelli devono recarsi in chiesa e ascoltare la funzione nel modo suddetto quando risiedono nella casa; e anche quando sono nell’accampamento devono andare nella cappella o nel luogo dove è cantato il servizio divino, al suono della campana o quando si leva il richiamo. E sappiate che i fratelli sono tenuti ad obbedire al richiamo così come alla campana o a colui che ordinerà il richiamo.

365. E quando avviene che i fratelli sono chiamati a recitare mattutino o le altre ore nei loro alloggiamenti, devono alzarsi prontamente e iniziare a pregare; e ovunque si trovino, se non dispongano di un sacerdote o di un altro chierico che possa recitare le ore per loro, devono recitare per ogni ora i paternoster prescritti, in modo da rendere a Nostro Signore quanto gli è dovuto, nei termini prestabiliti. Infatti, se è possibile, non devono superare quei termini a loro discrezione; ed è meglio rendergli il dovuto in anticipo piuttosto che in ritardo; tuttavia, se uno dimentica di rendergli il dovuto all’ora prestabilita, deve farlo appena gli sarà possibile.

La disciplina nell’accampamento

366. Quando i fratelli sono accampati, devono avere un commendatore delle vettovaglie; egli è incaricato di suddividere e distribuire il cibo ai fratelli, in parti uguali, secondo le norme sottoscritte; e tale commendatore deve essere uno degli anziani della casa, deve avere riguardo per la propria anima e timor di Dio. Quando intendono accamparsi, i fratelli non possono erigere tre o più tende insieme senza permesso, ma possono erigerne due e non più anche senza permesso.

367. Quando sono accampati, fratelli del convento devono comportarsi nel mangiare, nell’alzarsi da tavola, nell’ascoltare la lettura e in ogni altra cosa così come si è detto più sopra a proposito delle altre dimore; e se mangiano nell’infermeria devono comportarsi come nella casa. E se accade che mangino in alloggiamenti esterni, tutti i fratelli devono assicurarsi che gli altri, e in particolar modo i loro compagni, si comportino come uomini onorati e secondo le norme stabilite, e che nessuno sia trattato peggio dei compagni, o dell’intera comunità, a meno che non sia la regola ad esigerlo, e che nessuno si comporti in modo sfrenato o arrogante e agisca in modo disonesto o contrario alle buone usanze della nostra casa.

368. Quando i fratelli vengono chiamati alla distribuzione dei viveri, vi si devono recare uno o due fratelli per ogni alloggiamento, portando con sé i domestici più adatti a recare il cibo; e il fratello vivandiere deve distribuire il cibo rispettando la fila in modo imparziale, senza favorire alcuno all’infuori degli infermi; poiché così vuole la regola, che non si abbiano riguardi per le persone, ma solo per l’infermità dei fratelli. Tuttavia egli deve avere riguardo per la persona del maestro e dargli il meglio del meglio; ma i compagni del maestro e i fratelli del suo seguito devono mettersi in coda con gli altri. E se al convento vengono donati viveri, vengano portati alla tenda della mensa e il vivandiere li distribuirà equamente fra tutti i fratelli.

369. E se il fratello vivandiere intende donare qualcosa ai fratelli deve farlo in modo equo. E sia noto ai fratelli che non devono fare richiesta di cibi diversi da quelli distribuiti a tutti, ad eccezione delle erbe dei campi,o dei pesci che essi stessi riescono a prendere, o della selvaggina che riescono a procurarsi senza cacciare, ovvero senza violare i comandamenti della casa. E se un fratello riceve in dono, o sotto qualunque altra forma, vino o cibarie, deve inviarli alla tenda delle vettovaglie e farlo sapere al commendatore; e se questi lo ritiene opportuno, può trattenerli, ma è preferibile che li restituisca al fratello cui sono stati donati.

370. Quando i fratelli sono accampati, i fratelli di un alloggiamento possono dare del cibo a quelli di un altro, ed è cosa buona che lo facciano.

E sia noto a tutti che quanto avanza della razione di carne di due fratelli deve bastare a nutrire due poveri; e la razione di due fratelli deve bastare per tre turcopoli; e la razione di due turcopoli deve bastare per nutrire tre domestici.

E sia chiaro che se le razioni sono tanto abbondanti non è per consentire a cavalieri e sergenti di rimpinzarsi (che potrebbero tranquillamente accontentarsi di meno), ma per amore di Dio e per la carità nei confronti dei poveri. Ed è per questo che nessun fratello, sia che mangi nel convento o nell’infermeria, deve dar via il cibo che ha di fronte, affinché le elemosine non rimpiccioliscano; poiché se diminuisce la razione di cibo distribuita ai fratelli diminuiscono le elemosine.

371. Ed è un comandamento della casa che, nel ricevere carne o formaggio, i fratelli taglino la porzione loro bastante, in modo da lasciare il pezzo da cui si servono il più intero possibile, salvo che ne abbiano comunque a sufficienza per le loro necessità. Dimodoché sia più degno di essere donato a un povero e più onorevole riceverlo per un povero vergognoso.e delle loro anime e della casa. E sia noto a tutti altresì che gran danno viene alla casa da un fratello che tiene tre o quattro cavalli e tutto l’equipaggiamento senza potersene servire a vantaggio della casa stessa. Gli anziani devono essere di esempio agli altri e guardarsi con cura dal commettere qualunque mancanza, nel magiare, nel bere, nell’abbigliamento o in qualunque altra cosa, affinché i fratelli giovani, in particolare, possano rispecchiarsi in loro, e apprendere il giusto modo di comportarsi dal loro stesso comportamento.

372. Nel distribuire la carne, il fratello vivandiere, o chi ne fa le veci, deve badare a mettere insieme due pezzi di prima scelta o due pezzi scadenti, come due cosce e due spalle; ma deve dare a ciascuno nel modo più equo possibile. E in tal modo devono essere serviti i fratelli del convento quando sono nella casa, affinché non ricevano insieme due pezzi di prima scelta, ma prima quello migliore e poi quello più scadente, in modo che ve ne sia sempre per tutti.

373. E ciascun fratello può offrire parte del cibo che ha di fronte ai fratelli che gli siedono accanto, ma solo a quelli cui può porgerlo allungando il braccio, e non di più; e ogni giorno chi ha avuto la parte migliore deve dividerla con chi ha avuto la più scadente. E se accade che in un alloggiamento vi sia qualche fratello che, infermo, mangia del cibo dell’infermeria, deve essere servito lo stesso cibo che ai suoi compagni, affinché non vi siano difficoltà. E sia noto a tutti che il fratello vivandiere deve dare all’infermo una razione bastante anche per i suoi compagni, se desiderano mangiarne.

374. E anche il cibo dell’infermeria deve essere distribuito come quello del convento, ai fratelli allineati in coda. Il vivandiere deve dare il cibo migliore di cui dispone agli infermi; e se i fratelli in buona salute ricevono due portate, gli infermi devono averne tre; e quando i sani hanno una sola portata gli infermi devono riceverne almeno due. E se lo desidera può favorirli e donare loro qualcosa; ma se lo fa con i sani deve farlo con tutti, senza distinzione alcuna. Se uno o due onorati uomini laici o religiosi si trovano a passare nei pressi dell’accampamento, ciascun fratello può invitarli nella propria tenda; e il fratello vivandiere deve dare al fratello che ha invitato quell’uomo valoroso tanto cibo, in suo onore, che tutti i fratelli della tenda ne abbiano in abbondanza.

375. Nessuno deve tenere nella tenda altro cibo oltre a quello distribuito dal vivandiere, a meno che non sia stato autorizzato a farlo.

E se avanzano del pane o del vino, i fratelli devono restituirli o farlo presente al vivandiere quando ritirano la razione. E sia noto a tutti che le razioni di carne, vino e di ogni altra cosa devono essere uguali. E durante i digiuni i fratelli devono avere vino, in ragione di quattro misure ogni due fratelli, e quando non digiunano cinque misure; e tre misure ogni due turcopoli; e lo stesso vale per l’olio, per tutto il territorio d’Oriente.

376. Quando accampati i fratelli non possono uscire per diletto, o per turnare alle loro dimore, né allontanarsi tanto da non essere più in grado di sentire la campana o il grido d’allarme. Né possono trasportare alcun bagaglio sui propri cavalli, né vicino né distante, senza permesso; e sarà considerato “bagaglio” tutto ciò che sarà rinvenuto fra gli arcioni della sella o appeso ad essi.

Prima di mandare i propri cavalli nella carovana delle salmerie, o caricare qualcosa sul loro dorso, ciascun fratello deve coprire le selle o le gualdrappe con una schiavina o con altra cosa.

377. In nessun caso (né nell’accampamento né altrove) è consentito prestare il proprio cavallo o altro animale a un fratello, né a chiunque altro che non esso si allontani per diletto dal campo. Né consentire ad altri di prestarlo, senza permesso. Nessuno deve lasciare la notte ai propri cavalli le pastoie e la musetta senza permesso.

378. Se un fratello riceve il permesso di strigliare e accudire i cavalli durante la notte, può lasciare la gualdrappa sul dorso dei cavalli solo se è stato espressamente autorizzato a farlo. E dovete sapere che quando un fratello chiede e prende un permesso, di qualunque genere, deve specificare nei particolari ciò per cui chiede il permesso al fratello cui lo chiede; e non deve nascondere alcunché. Ed è opportuno che il fratello che dispone dell’autorità per concederglielo, dopo aver ascoltato le sue ragioni, se la richiesta è ragionevole e non arreca danno alla casa, gli conceda il permesso.

379. Quando i cavalli mangiano la paglia, nessun fratello deve dar loro dell’erba senza permesso, in special modo a quelli che sono intenti a mangiare la paglia. Nessun fratello può porre i finimenti e le corde sul proprio cavallo, o altre cose per poterlo cavalcare all’ambio, senza permesso. E’ vietato salire in due su un solo cavallo.

380. Quando si leva il grido d’allarme, i fratelli accampati nei pressi del luogo da cui si leva il grido, devono andare da quella parte con scudo e lancia, ma senza allontanarsi dal campo, e rimanere in attesa di nuovi ordini; e tutti gli altri fratelli devono raggiungere immediatamente la cappella per ricevere eventuali istruzioni. Ma se l’allarme proviene dall’esterno dell’accampamento devono uscire, senza attendere il permesso, nella direzione da cui proviene il grido d’allarme, qualunque ne sia la causa.

381. Quando è il momento di levare il campo, e il maestro insieme agli altri dignitari ritiene opportuno congedare i fratelli, , il commendatore della terra deve indicare al maresciallo i fratelli da assegnare a ciascuna delle case del Tempio; e il maresciallo deve fidarsi di lui, poiché il commendatore sa meglio di chiunque altro quanti fratelli possano essere alloggiati in ciascuna casa del Tempio e quanti ogni casa possa accoglierne. Quindi il maresciallo ripartisce i fratelli, come si è detto sopra riguardo alle altre cose, in modo equanime ed imparziale; e se può assegna alle diverse case, secondo le indicazioni del commendatore. Dopo che il maresciallo ha ripartito i fratelli assegnandoli alla diverse case, ciascun fratello deve badare al proprio equipaggiamento e a quello del del suo alloggio, affinché nulla venga dimenticato nel lasciare l’accampamento, salvo ciò che è permesso.

382. E il maresciallo, o colui che farà la ripartizione, deve nominare un commendatore dei cavalieri, quando i fratelli saranno nelle case, deve assegnare a ciascuno una lettiera e un posto deve dormire, e un posto nelle stalle per i cavalli, in modo imparziale ed equanime. E spetta a lui tenere capitolo, in assenza di dignitari di più alto grado, e diramare gli ordini; e i fratelli devono obbedirgli come se fosse il maestro, poiché sono soggetti alla sua autorità, ed è a lui che devono chiedere quei permessi ch’egli potrà concedere.

E se i fratelli sono alloggiati in una commenda di campagna, spetta al commendatore della casa o del castello da cui la commenda dipende fornire loro ciò di cui abbisognano (allo stesso modo degli altri fratelli), ad eccezione delle coppe e delle scodelle che devono essere fornite dal fratello cantiniere.

383. E nelle loro case i fratelli devono sforzarsi di comportarsi in modo tale da fare onore a Dio e alla casa, per la salvezza delle loro anime; e ciascuno deve fare quanto è in suo potere per non suscitare l’ira dei fratelli.

E ciascuno deve prendersi cura con zelo degli altri, affinché nessuno dica o faccia cose proibite, o si comporti nei fatti e negli atteggiamenti in modo disdicevole.

384. E se un fratello si avvede che un altro fa qualcosa che non dovrebbe fare, o si comporta in modo malvagio, deve riprenderlo egli stesso a quattr’occhi la prima volta; e se quel fratello invece di accogliere il consiglio e l’ammonimento rifiuta di fare ammenda, il primo fratello deve chiamarne un altro e ripetere l’ammonimento insieme a lui. E se nemmeno dianzi all’invito di due fratelli rifiuta di fare ammenda, il fratello buono deve deferire quello malvagio al capitolo, e farlo comparire davanti all’intera confraternita e affidarlo alla giustizia della casa; poiché così vuole la regola.

E sia noto a tutti che i fratelli di quel capitolo devono condannare il fratello che ha commesso quella o un’altra mancanza; poiché nessun fratello deve consapevolmente perseverare nell’errore, soprattutto in capitolo; poiché la giustizia della casa ne sarebbe corrotta in modo infamante e quel fratello sarebbe perduto.

385. E dovete sapere che, secondo un comandamento della casa, ovunque si trovino riuniti quattro o più fratelli, si dovrà tenere capitolo, qualora lo si ritenga necessario, la vigilia di Natale, la vigilia di Pasqua e la viglia di Pentecoste; ed anche tutte le domeniche ad eccezione di quelle che cadono durante le ottave di dette feste; per quanto riguarda tali domeniche, spetta ai fratelli e a colui al quale sono sottomessi decidere se tenere capitolo o meno; in tutte le altre domeniche si può tenere capitolo per il bene e la convivenza della casa, ma sempre a discrezione dei fratelli che vi risiedono o di una parte dei più onorati.

I capitoli ordinari

386. Al momento di entrare nella sala dov’è riunito il capitolo, ogni fratello si deve fare il segno della croce, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e se non è calvo deve scoprirsi il capo; ma se è calvo può tenere il cappuccio; e rimanendo in piedi deve recitare un paternoster e quindi può sedersi, e ognuno deve fare così. E quando sono giunti tutti i fratelli, o la maggioranza, colui che tiene capitolo, prima di iniziare l’omelia, deve dire ai fratelli: «Signori e miei buoni fratelli, alzatevi e pregate Nostro Signore affinché invii oggi la sua santa grazia su di noi », al che tutti i fratelli devono alzarsi in piedi e ciascuno deve dire un paternoster.

387. E il cappellano, se è presente, deve anch’egli recitare una preghiera, ovvero un’omelia, prima che il capitolo abbia inizio. Dopodiché ognuno deve sedersi, ma occorre assicurarsi attentamente che nessuno, all’infuori dei fratelli del Tempio, ascolti ciò che viene detto in capitolo.

388. Dopo che la preghiera è stata recitata, colui che tiene capitolo dà inizio all’omelia in nome di Dio e lo pronuncia meglio che può, ammonendo, esortando e intimando ai fratelli di fare ammenda.

Dopo che l’omelia ha avuto inizio, nessuno può muoversi dal proprio posto senza permesso per andare verso il fondo, ma può andare davanti se lo desidera, anche senza permesso.

389. Al termine dell’omelia, ogni fratello che ritiene di aver peccato deve alzarsi in piedi, scoprirsi il capo e recarsi davanti a colui che tiene capitolo e dopo aver fatto una, due o più genuflessioni, con l’umiltà di chi sta per confessarsi, deve pronunciare le seguenti parole: «Mio buon signore, chiedo perdono a Dio e alla Vergine, a voi e ai fratelli per aver commesso questa mancanza e deve narrare la propria colpa per intero e in modo verace e non mentire, né per vergogna della carne né per paura della punizione della casa; poiché se vi è menzogna, non vi è confessione e tutti sappiano che il capitolo fu creato per consentire ai fratelli di confessare le proprie colpe e fare ammenda.

390. Quando il fratello avrà narrato per esteso la colpa che ritiene di aver connesso e si sarà interamente confessato, colui che tiene capitolo gli deve comandare di uscire; e deve ritirarsi in un luogo da dove non gli sia possibile udire quanto i fratelli del capitolo vanno dicendo; poiché quando un fratello è fuori dal capitolo, a causa del proprio peccato o per penitenza, non deve ascoltare ciò che viene detto e deliberato dai fratelli in capitolo. Quando è uscito, colui che tiene capitolo deve riassumere le colpe del fratello dinanzi all’assemblea, badando bene a non cambiare nulla; dopodiché deve consultare tutti i fratelli e attenersi al parere espresso dalla maggioranza.

391. Quando tutti i fratelli si sono pronunciati nel modo che ritengono più giusto, il commendatore, dopo aver preso atto del parere della maggioranza, deve richiamare il fratello nella sala, mostrargli la gravità della sua colpa, e riferirgli il parere e la decisione pronunciata dai fratelli del capitolo; ma non deve dire «il tale fratello ha espresso tale giudizio» o «si è detto favorevole a tale deliberazione», poiché così facendo rivelerebbe le singole decisioni del capitolo.

392. Quando un fratello chiede perdono per una colpa in capitolo, tutti coloro che ritengono di essersi macchiati della stessa colpa devono chiedere perdono insieme con lui; e nel chiedere perdono, ciascun fratello deve menzionare tutte le colpe che ritiene di aver commesso; e per quante colpe abbia commesso, gli verrà inflitta una sola punizione, poiché così ha chiesto perdono per tutte in una sola volta.

Nessun fratello deve alzarsi e chiedere perdono, mentre un altro lo sta facendo, a meno che non abbia commesso la medesima colpa. Se un fratello chiede perdono per dieci mancanze e merita il perdono per una di esse, sia perdonato per tutte e dieci.

393. Nel capitolo tutti i fratelli devono contrastare chi faccia o dica cose scorrette, e rimanere composti e in silenzio; ciascun fratello deve parlare solo se è interpellato, o se si tratta di censurare qualcuno che faccia o dica cose scorrette; poiché ognuno ha il dovere di contrastare chi si comporta o parla in modo non ragionevole. Ciascuno potrà censurarlo senza muoversi dal proprio posto e senza permesso; ma occorre intervenire subito quando viene commessa la scorrettezza e indurre il fratello a fare ammenda; questo è l’unico modo in cui un fratello può accusarne un altro, ad eccezione del maestro. E il maestro può e deve censurare qualunque altro fratello senza muoversi dal proprio posto.

394. Mentre prende parte al capitolo, ciascun fratello deve riflettere con cura e ricordarsi se ha violato sotto qualche aspetto i voti o i vincoli cui si è sottoposto: se ha partecipato correttamente alle funzioni, se non ha suscitato l’ira di qualche fratello, se ha osservato le regole della casa. E se gli pare di aver mancato in qualcosa, deve chiedere perdono e fare ammenda, prima di lasciare il capitolo. Infatti, quando l’omelia del capitolo è terminata non è consentito riportare le proprie colpe fuori del capitolo, ma conviene piuttosto fare ammenda nel capitolo stesso; e se un fratello nasconde le proprie colpe intenzionalmente, queste diverranno più gravi e ciò costituirebbe un grave disobbedienza.

395. Dovete sapere inoltre che né il maestro né qualunque altro fratello che tenga capitolo non deve fare nulla che comporti il consiglio del capitolo e il giudizio dei fratelli, senza prima aver detto la preghiera e l’omelia che ritiene più adatte; poiché, prima di dar inizio ad ogni riunione del capitolo, occorre implorare la grazia di Nostro Signore all’inizio.

396. Nessun fratello può mancare alle riunioni del capitolo senza permesso, a meno che non sia ricoverato nell’infermeria. Nessun fratello può lasciare il capitolo senza permesso, a meno che non sia certo di farvi ritorno prima che sia terminato. Al termine dell’omelia, nessun fratello può mostrare qualcosa a un altro senza permesso, alzandosi dal proprio posto o facendo alzare l’altro; ma quando un fratello si trova in piedi dinanzi a colui che tiene capitolo, chiunque può alzarsi dal suo posto senza permesso e accusare l fratello che è in piedi dei peccati di cui è a conoscenza.

397. Quando un fratello viene a sapere che uno dei suoi compagni ha fatto o detto qualcosa di scorretto, deve invitarlo a fare ammenda alla prima riunione del capitolo in cui si trovino ambedue, e non deve consentirgli di lasciare il capitolo prima di aver chiesto perdono; ma è buona cosa se il fratello rammenta all’altro la sua mancanza in separata sede, prima che il capitolo abbia inizio, ammonendolo dinanzi a uno o due fratelli, in questo modo: «Mio buon fratello, ricordate la tale cosa», dopodiché citerà il fatto, e gli dirà «Fate ammenda alla prima riunione del capitolo cui prenderete parte». I nostri confratelli onorati ritengono che devono essere sufficiente dire a un fratello, « ricordate la tale cosa»; e questi si deve con ciò già sentire accusato e indotto a fare ammenda dinanzi al primo capitolo cui prende parte.

398. Nessun fratello deve accusare un compagno dinanzi a uomini che non appartengono alla casa del Tempio; e nessun fratello può né deve accusare un fratello in capitolo o altrove, né imputargli una colpa, per sentito dire; ma può accusarlo o imputargli una colpa se ne è stato testimone; se si comporta altrimenti dà prova di grande malvagità e può essere accusato di aver fatto comunella.

399. Le accuse rivolte da un fratello ad un altro non devono essere fatte alla leggera; se il fratello non ha ripreso il compagno in privato, come si è detto più sopra, o ancora se l’ha ripreso ed egli rifiuta di fare ammenda, dovrà in tale maniera accusarlo dinanzi al capitolo: «Commendatore», oppure «Mio buon signore, lasciate che io parli a tale fratello», e gli deve essere concesso.

400. E, dopo aver ottenuto il permesso, l’accusatore si può alzare dal proprio posto e chiamare per nome l’accusato, e quello deve alzarsi in piedi e scoprirsi il capo e recarsi dinanzi a colui che tiene capitolo. Quindi l’accusatore deve fargli presente, con calma e serenità, la mancanza da lui commessa e di cui è venuto a conoscenza; poiché nessuno, per presunzione deve lanciare false accuse contro un fratello. E deve dire «Mio buon fratello, chiedete perdono per la vostra mancanza», e deve citare la cattiva azione commessa dal fratello con le parole o le opere. E l’accusato deve dire: «Mio buon signore, chiedo perdono a Dio e alla Vergine, a voi e ai fratelli per la cosa di cui sono accusato» e deve genuflettersi per ogni mancanza di cui è accusato.

401. E se sa che ciò di cui è accusato risponde al vero, deve ammettere la sua colpa davanti a tutti i fratelli, poiché nessuno deve mentire in capitolo. Ma se viene ripreso ingiustamente deve dire: «Mio buon signore, chiedo perdono a Dio e alla Vergine, a voi fratelli per la cosa di cui sono accusato» e inginocchiandosi, «ma dovete sapere che non risponde a verità». Oppure può dire: «No, mio signore, Dio mi scampi dal commettere un’azione simile». Oppure «La cosa è andata altrimenti». E deve esporre per esteso le proprie ragioni; poiché, come si è detto più sopra, non deve mentire per vergogna, né per paura della giustizia della casa.

402. E colui che è tenuto a difendersi non deve nominare coloro i quali vuol chiamare a testimoniare a suo favore senza permesso, ma deve dire a colui che tiene capitolo: «Signore, vi è un fratello che sa come sono andate le cose»; al che il commendatore deve affermare: «Se vi è qualche fratello ce sa qualcosa, si faccia avanti». E se qualcuno ha qualcosa da dire, si deve alzare e recarsi dinanzi al commendatore e giurare sul proprio onore la veridicità di quanto a visto o sentito; e non deve dire nient’altro che la verità, senza nulla nascondere o modificare, né parlerà per odio o per amore verso una delle due parti in causa, poiché se lo facesse commetterebbe un gravissimo peccato e potrebbe essere accusato di aver fatto comunella.

403. E se il fratello che sa come si sono svolte le cose non intende alzarsi per testimoniare, il commendatore, dopo averlo chiamato una o due volte nel modo suddetto, deve dire al fratello che intende chiamarlo a testimoniare a proprio favore: «Mio buon fratello, fatelo venire avanti». Allora il testimone può essere chiamato per nome e deve alzarsi e testimoniare secondo quanto detto sopra. E se il fratello sa qualcosa a proposito del fatto su cui è chiamato a testimoniare e si non alza immediatamente al richiamo del commendatore, deve essere considerato colpevole e punito duramente.

404. E se il fratello accusato intende riprendere a sua volta il proprio accusatore, poiché conosce una qualche sua colpa, può farlo senz’altro, senza richiedere altro permesso, mentre tutti e due si trovano in piedi dinanzi al commendatore; e deve accusarlo e indicarne la colpa nel modo suddetto.

405. Qualora uno dei fratelli, o entrambi, vengano riconosciuti colpevoli, il commendatore deve farli allontanare dalla sala; ma nessun fratello deve essere allontanato dal capitolo se non è provata la sua colpevolezza. Mentre i fratelli sono fuori, il commendatore riassume i fatti o le colpe per cui hanno chiesto perdono e che sono state attribuite loro, dopodiché consulta i fratelli del capitolo e si attiene al parere della maggioranza. E quando ognuno dei fratelli si è pronunciato, il commendatore deve trattare i fratelli che sono usciti secondo le norme già viste a proposito dei fratelli che chiedono spontaneamente perdono per le loro colpe.

406. E se i fratelli decidono che i fratelli riconosciuti colpevoli devono essere puniti subito, il commendatore deve farli punire, subito dopo aver comunicato loro il verdetto, può dire loro: «Andate a spogliarvi.», e infliggere loro la pena corporale e dare senz’altro corso alla punizione, se lo ritiene opportuno; e i fratelli devono acconsentire perché spetta a lui decidere.

407. E’ sufficiente un solo fratello per accusarne un altro, o due, tre o anche venti, nel modo suddetto; ma un fratello non può da solo stabilire la colpevolezza d’un altro, ma due fratelli possono stabilire la colpevolezza di un altro o anche di due o di cento, quando quei due o quei cento affermano che le cose non stanno così, fintantoché rimangono nel capitolo; infatti la testimonianza non è accolta nel nostro capitolo, a meno che non si possa condannare per altra via.

408. Tuttavia se uno o due fratelli dicono in capitolo ad un altro fratello: «Signore, domenica avete commesso al tale colpa presso Chateau-Pèlerin, chiedete perdono», e quel fratello risponde loro: «No, Dio me ne guardi, poiché domenica mi trovavo a Berito», e uno o più fratelli possono testimoniare che ciò corrisponde al vero, il fratello accusato dev’essere senz’altro prosciolto, e quelli che l’hanno accusato devono essere riconosciuti colpevoli di aver mentito contro di lui, e possono essere accusati di aver fatto comunella; e questo è l’unico modo in cui un fratello si possa proteggere, e non ve ne sono altri.

409. E se accade che due o più fratelli ne accusano un altro o due o più, e il maestro o colui che tiene capitolo sospetta che tale accusa sia malevola, può e deve fra uscire dal capitolo uno dei fratelli e chiedere all’altro di cosa accusi il compagno, in che modo è venuto a conoscenza della sua mancanza, se l’ha visto con i suoi occhi o udito con le sue orecchie; e dopo aver bene approfondito la questione deve farlo uscire e richiamare l’altro e interrogarlo allo stesso modo. Se le due versioni concordano, il fratello accusato verrà riconosciuto colpevole, ma se non coincidono dovrà essere assolto dall’accusa rivoltagli; e i due fratelli accusatori saranno condannati per la loro malvagità ed empietà nonché accusati di aver fatto comunella.

410. E tutti sappiano che nessun fratello del Tempio può essere accusato da un laico, o da un membro di un altro Ordine, ma solo dai fratelli del Tempio, secondo le procedure suddette, e per quanto attiene alla giustizia della casa.

411. ma se un uomo onorato, sia egli laico o religioso, degno di essere creduto, oppure un confratello del Tempio, dice in fede al maestro che un certo fratello ha disonorato la casa, il maestro, fidando nella parola d’onore di quei valentuomini, può trattarlo con durezza, senza bisogno di consultarsi con i fratelli e senza il loro giudizio. E tutti sappiano che il buon maestro deve allontanare il fratello malvagio dalla compagnia degli onesti, poiché così vuole la regola.

412. Nel consultare i fratelli, colui che tiene capitolo deve partire da quelli che meglio conoscono gli usi e le abitudini della casa, e poi sentire tutti gli altri, tenendo conto del valore, della sapienza e della rettitudine di ognuno.

Ciascun fratello, quando viene interpellato in capitolo, deve dire ciò che gli sembra più giusto, senza farsi influenzare dall’amore o dall’odio, e senza preoccuparsi di accontentare o irritare qualcuno; ma tenendo sempre Dio dinanzi agli occhi, operando e parlando per amore di Dio. Ogni accusa deve essere mossa per pura carità e con l’unico fine di salvare l’anima dell’accusato.

413. Quando un fratello viene ripreso per aver commesso una mancanza o per essersi macchiato di una colpa, non deve offendersi, ma anzi ringraziare colui che l’accusa; ma se un fratello riprende un compagno per cose di poco conto, gli può essere inflitta una punizione.

414. Quando un fratello è fatto uscire dal capitolo, perché accusato di una qualche mancanza o dopo aver volontariamente chiesto perdono, nel giudicarlo occorre tener conto della sua condotta abituale, oltre che del tipo e della gravità della sua colpa. Se la sua condotta abituale è buona e la colpa è lieve, anche il verdetto sarà lieve; ma se la sua condotta abituale è malvagia e la colpa è grave e spregevole, i fratelli dovranno infliggergli una punizione aspra e severa; e non di rado un uomo onorato è punito in modo lieve pur avendo commesso una grave mancanza, mentre il malvagio paga a caro prezzo la più veniale delle mancanze: poiché se l’uomo onesto deve trarre profitto e onore dalla propria rettitudine, l’empio deve essere ripagato con danno e infamia per la propria malvagità.

E tutti sappiano che la più piccola mancanza o disobbedienza nei confronti dei comandamenti della casa deve essere punita con due giorni interi nella prima settimana, a seconda della condotta abituale del fratello; non si devono applicare pene maggiori, a meno che la colpa non rientri fra quelle punibili con la perdita dell’abito o l’espulsione dalla casa, dal che Dio salvi i fratelli.

415. E dopo che colui che tiene capitolo ha allontanato dalla sala un fratello per decidere della sua colpevolezza, quel fratello non può tornare nel capitolo per riprendere un altro fratello, a meno che non sia stato autorizzato a farlo; ma può e deve tornare nel capitolo, anche senza permesso, per chiedere perdono per un’altra colpa di cui in precedenza non gli fosse sovvenuto.

Ciascun fratello deve assoggettarsi di buon grado alla punizione inflittagli dal capitolo.

Punizioni

416. Queste sono le punizioni che possono essere inflitte ai fratelli che le hanno meritate. La prima è l’espulsione dalla casa, che Dio salvi i fratelli. – La seconda è la perdita dell’abito. – La terza è quando a un fratello viene lasciato l’abito per amore di Dio. – La quarta sono due giorni o tre giorni la prima settimana. – La quinta è quando un fratello viene privato di tutto tranne l’abito, ovvero due giorni. – La sesta è un giorno. – La settimana è il venerdì. – L’ottava è a giudizio del cappellano. – La nona è l’assoluzione. – La decima è il deferimento ad un’altra autorità.

417. La prima è l’espulsione perpetua dalla casa.

Può essere comminata ad un fratello, per nove cause, di cui la prima è la simonia. Ovvero quando un fratello è accolto nella casa del Tempio, in seguito a regalie o promesse fatte da lui stesso o da un altro per suo conto; Dio non lo voglia, poiché chiunque venga riconosciuto colpevole di essere entrato nella casa i tal modo deve esserne scacciato; e colui che gli ha assegnato l’abito in quel modo lo perderà, e perderà la dignità del comando e la facoltà di assegnare l’abito del Tempio; e tutti quei fratelli che hanno acconsentito ad assegnare l’abito in tal modo, se lo hanno fatto in mala fede, perderanno l’abito e non potranno mai più nominare nuovi fratelli.

418. La seconda è se un fratello rivela le decisione del capitolo a una persona. Fosse anche un fratello, che non era presente alla riunione.

La terza è se un fratello uccide un cristiano o una cristiana.

La quarta è se un fratello si macchia del sordido e fetido peccato di sodomia, che è tanto sordido, fetido e orribile da non dover essere neppure nominato.

La quinta è se un fratello fa comunella con un altro fratello o con più d’uno; infatti un uomo non può fare comunella da solo.

419. La sesta è se un fratello fugge dal campo per paura dei Saraceni, quando sventola ancora lo stendardo bicolore, e abbandona il gonfalone. E ciò vale per i cavalieri e per i sergenti che portano la spada. Ma un sergente disarmato, laddove senta in cuor suo di non poter essere d’aiuto, né di alcuna utilità in quel luogo, può ritirarsi nelle retrovie senza nuocere alla casa. Ma un fratello cavaliere non può comportarsi in tal modo, armato o meno che sia; poiché non gli è consentito di abbandonare il gonfalone senza averne ricevuto l’ordine, neppure se è ferito, né per alcun altro motivo.

420. Tuttavia se un fratello cavaliere o sergente è ferito tanto da non essere in grado di fare il proprio dovere, può chiedere o far chiedere per suo conto, il permesso di ritirarsi; e il maresciallo, o chi ne fa le veci, deve concederlo al fratello ferito o a quello che lo domanda per suo conto, e avendo ottenuto il permesso il fratello ferito può ritirarsi senza nuocere alla casa. E se accade che un cavaliere o un sergente si ritrovino disarmati, anche in questo caso devono rimanere vicino al gonfalone, poiché nessuno deve abbandonare il campo fintantoché sventola lo stendardo bicolore. E chi lo fa deve essere espulso dalla casa, anche se si tratta di un sergente; poiché dal momento che prendono le armi insieme, insieme devono accettare ciò che Dio ha stabilito per loro.

421. Ma se accade che non rimanga alcun gonfalone, ed è visibile un’altra bandiera cristiana, i fratelli devono raggiungerla, armati o meno che siano, in particolare se si tratta di una bandiera dell’Ospedale. E se non rimane alcun gonfalone cristiano, ciascuno può far ritorno alla guarnigione che Dio gli indicherà, senza per questo nuocere alla casa; ma se è possibile, i fratelli devono rimanere insieme, con o senza gonfalone.

422. La settima è se un fratello è riconosciuto colpevole di eresia, ovvero se non crede agli articoli di fede prescritti dalla Chiesa di Roma.

L’ottava è se un fratello abbandona la casa per passare ai Saraceni.

423. La nona è se un fratello ruba qualcosa che appartiene alla casa; questo peccato può assumere diverse forme, e chiunque non se ne guardi con grande scrupolo può cadervi in più di un modo; ciononostante chiunque commetta tale peccato, in qualunque modo, se sarà riconosciuto reo confesso, verrà espulso dalla casa. E sia chiaro che sarà considerato ladrocinio la rimozione da parte di un fratello di qualunque cosa appartenga alla casa. E se un fratello nell’uscire di notte da un castello o da una fortezza non passa dal portone, verrà considerato un ladro. Se il maestro o un commendatore chiedono a uno dei propri sottoposti di mostrare loro le cose della casa di cui costoro sono responsabili, essi devono mostrale tutte; e se nascondono qualcosa e rifiutano di mostrarla verranno trattati alla stregua di ladri.

424. Se un fratello, nel lasciare la casa, prende qualcosa che non gli spetta e trascorre due notti fuori dalla casa, sarà considerato un ladro. Se un fratello pone le elemosine della casa fuori dalla casa stessa, affidandole a qualcuno, dandole in prestito o in pegno, non deve negarlo se qualcuno glielo chiede, ma deve anzi recuperarle. Poiché se nega di averlo fatto e in seguito viene provato il contrario, verrà considerato un ladro. E per quanto riguarda le cose suddette, ogni fratello che le compia sarà espulso dalla casa, senza rimedio possibile.

425. E tutti sappiano che se un fratello lascia la casa a causa delle proprie colpe o per sua grande disgrazia, spetta a ciascuno dei fratelli assicurarsi scrupolosamente che egli porti con sé solo le cose elencate qui di seguito. Infatti egli può portare con sé ciò che è consentito indossare per la funzione dell’ora prima, ma un solo capo per ogni abito e con l’esclusione del pugnale; può portare con sé camicia e brache, la tunica, l’usbergo e la casacca, cintura, calze e scarpe; ed anche un mantello o la cappa, ma se porta il primo non può portare la seconda. Inoltre, qualora gli venga richiesto, deve restituire il mantello e non tenerlo per nessun motivo. La seconda notte trascorsa fuori comporta l’espulsione perpetua dalla casa.

426. Dal momento che ha trascorso due o più notti fuori, un fratello deve essere espulso dalla casa e consegnare qualunque cosa gli venga chiesta e non tenerla per sé; e sarà espulso se trascorre fuori due notti come se ne trascorresse cento. E tuttavia è cosa buona e un atto di carità e misericordia privarlo del mantello. Ma può conservare il cappuccio e un paio di brache. E le cose suddette sono quelle che ha indosso quando lascia la casa, ma il fratello espulso non deve prenderle ad un altro fratello.

427. Le cose che non deve portare con sé sono: qualunque oggetto d’oro o d’argento, e le armature. Ovvero il cappello di ferro, la tunica d’armi, gli spallacci, l’usbergo, la cotta di maglie di ferro, la spada, la lancia e lo scudo, la mazza turca, il pugnale, la calzamaglia, la balestra, le armi turche e, per farla breve, qualunque cosa che faccia parte dell’armatura. E se un fratello porta con sé una qualunque delle cose suddette, sarà espulso in modo perpetuo dalla casa.

Ciascun fratello deve guardarsi dal mettere le mani nella bisaccia o nel baule di un altro, a meno che non sia stato autorizzato a farlo, e se lo fa verrà considerato un ladro, a maggior ragione qualora la sua condotta abituale sia malvagia.

428. E se un fratello si macchia di una colpa a causa della quale deve essere espulso per sempre dalla casa, prima di andarsene deve comparire dinanzi ai fratelli riuniti in capitolo, indossando solo le brache e con un cappio intorno al collo; e inginocchiarsi dinanzi al maestro e fare come quelli puniti per un anno e un giorno; quindi il maestro gli consegnerà la lettera di congedo, affinché possa andare ad espiare la sua colpa in un Ordine più severo.

429. Alcuni fratelli ritengono che i fratelli espulsi debbano entrare nell’Ordine di San Benedetto o di Sant’Agostino e non possono entrare in nessun altro Ordine; ma noi non lo concediamo, e riteniamo che essi possano espiare la propria colpa presso qualunque Ordine più severo del nostro, se i fratelli di quell’Ordine sono disposti ad accoglierli; ma, come prescrive l’accordo stipulato fra i fratelli del Tempio e quelli dell’Ospedale di San Giovanni, nessun fratello espulso dal Tempio può essere accolto fra i fratelli dell’Ospedale e nessun fratello espulso dall’Ospedale può essere accolto dai fratelli del Tempio. E nessun fratello espulso dal Tempio può entrare nell’Ordine di San Lazzaro, a meno che non divenga lebbroso; e nessun fratello espulso dalla casa del Tempio può entrare in un Ordine più indulgente, a meno che non abbia ottenuto la dispensa da qualcuno che ne ha il potere.

430. E occorre sapere che ci sono altre cose per le quali un fratello del Tempio può essere espulso dalla casa. Poiché è stabilito dalla casa che il maestro o qualunque altro dignitario dotato della prerogativa di assegnare l’abito, deve chiedere al postulante di giurare sul Santo Vangelo che dirà la verità su tutto ciò che gli verrà domandato; e dopo che il postulante ha giurato e promesso, colui che lo esamina deve dirgli: <<Mio buono e gentile amico, abbiate cura di dire la verità su quanto stiamo per chiedervi, poiché se mentirete e risulterà per certo che avete mentito, verrete messo in catene e coperto di infamia ed espulso dalla casa>>.

431. Dopodiché colui che lo esamina deve chiedergli: <<Mio buono e gentile amico, avete, personalmente o per mezzo di altri, donato o promesso qualcosa a qualcuno affinché vi aiutasse ad entrare nel nostro Ordine, il che equivale alla simonia e conduce alla dannazione? Siete cavaliere o figlio di cavaliere o discendente di cavaliere in linea paterna, dimodoché possiate e dobbiate essere accolto fra i cavalieri? Siete nato da unione legittima? Avete fatto voto o indossato l’abito di un altro Ordine? Avete una moglie, una promessa sposa o una fidanzata: rispondete secondo verità poiché se mentirete e risulterà per certo che avete mentito, vi verrà tolto l’abito e sarete coperto d’infamia, dopodiché sarete rimandato da vostra moglie. Avete contratto debiti tali da poter nuocere alla casa: poiché in tal caso l’abito vi verrà tolto, sarete coperto d’infamia e riconsegnato al vostro creditore. Soffrite forse di qualche segreto malanno? Siete stato ordinato sacerdote o avete preso gli ordini sacri?>>

432. E il postulante deve rispondere alle domande suddette in modo conciso, si oppure no; ma deve in ogni caso dire la verità, poiché se mente e in seguito risulta per certo che ha mentito e giurato il falso, deve essere messo in catene e coperto d’infamia ed allontanato dalla casa; e se ha moglie sia restituito alla moglie; e se ha contratto debiti sia consegnato al suo creditore.

433. Tuttavia i gentiluomini della nostra casa hanno stabilito che se uno dovrebbe essere espulso per tale motivo, riesce a far sì che la moglie entri a sua volta in un Ordine e si faccia sorella, o se muoia, ed egli, sotto ogni altro rispetto, ha condotto una vita onesta, senza trasgredire le usanze della casa, i fratelli possono, a loro discrezione, accoglierlo nuovamente fra loro senza infliggergli penitenza; ma deve prendere nuovamente i voti e sottoporsi al giuramento come la prima volta. E per quanto riguarda quello che è stato rimandato dal suo creditore, i gentiluomini hanno stabilito che ci si possa comportare allo stesso modo, purché egli si affranchi dal creditore e questi non possa esigere alcunché né da lui né dalla casa per lui.

434. Ma se sono sacerdoti i hanno preso gli ordini sacri, ovvero sono diaconi o sotto-diaconi, non saranno messi in catene, né trattati con infamia, ma solo privati dell’abito, e resi al patriarca o al vescovo. E a tali fratelli non sarà consentito di tenere il mantello bianco, poiché la regola vieta a quanti non sono cavalieri di portare il mantello bianco; e non è previsto dalle usanze della casa del Tempio che un fratello cappellano indossi il mantello bianco, a meno che non sia chiamato a servire nel vescovato o nell’arcivescovato. Tuttavia se un fratello cappellano viene eletto arcivescovo o vescovo di una chiesa, può indossare il mantello bianco; ma prima di indossarlo deve chiedere, in tutta umiltà e devozione, sia al maestro sia al convento, di assegnargli l’abito di fratello cavaliere; ed essi devono concederglielo senz’altro e di buon grado, per rispetto della dignità che egli ha acquisito, e per il grande onore che ne deriva all’Ordine.

435. Non occorre chiedere ad un cavaliere se è servo o schiavo di qualcuno, poiché se ha affermato che è figlio legittimo di un cavaliere, e se questo è vero, è naturalmente libero.

436. Ma se afferma di essere cavaliere, secondo quanto detto sopra, e questo non è vero, dev’essere privato dell’abito e cacciato dalla casa con grande infamia. Tuttavia i gentiluomini della casa hanno stabilito che se un fratello, dopo aver perduto il mantello bianco nel modo suddetto, chiede con sincera devozione che, per amore di Dio e della Vergine, per pietà e misericordia, gli venga assegnato l’abito da sergente, e si impegna a servire Dio e la casa del Tempio in qualità di sergente, con prontezza e umiltà e lealtà, come qualunque buon sergente deve fare, e giura di osservare le norme della casa, e mantenere fede ai voti e agli impegni assunti dinanzi a Dio, alla Vergine e alla casa, gli può essere concesso l’abito da sergente. E il maestro, o un altro che ha in quel momento i poteri del maestro, deve metterli e allacciargli il mantello da sergente, ma non prima di averlo invitato a giurare quanto si è detto sopra; e se quello acconsente a giurare può mettergli il mantello, e a partire da quel momento avrà diritto al pane e all’acqua della casa, e a tutte le cose spettanti ai fratelli. Tutto ciò può essere compiuto dai nostri gentiluomini, a loro piacimento, ma tenendo conto dell’opinione dei fratelli.

437. Ma dovete sapere che se i fratelli non ritengono opportuno che un fratello rimanga nella casa, possono congedarlo per sempre, e sia chiaro che se un fratello viene congedato dalla nostra casa deve entrare al più presto possibile in un altro Ordine, più severo del nostro. E se gli è possibile deve farlo entro quaranta giorni, e se rifiuta di entrarvi e i fratelli lo trovano devono metterlo in catene, e dargli di che sopravvivere fintantoché egli stesso, o qualcun altro, non provveda alla sua condizione, così come si è detto. E’ stato deciso in tal senso poiché, se un uomo malvagio espulso dalla casa è lasciato libero di girare per il mondo e vive in modo empio e indecoroso, è causa di grave danno e di infamia per la casa; pertanto si è stabilito che ciò non possa mai avvenire.

438. Quando al postulante viene chiesto se soffre di qualche segreto malanno, deve dire la verità; e se pur soffrendo di qualche malanno rifiuta di ammetterlo – dinanzi al capitolo – e in seguito, dopo che ha ricevuto l’abito, viene provato che ha mentito, può essere messo in catene ed espulso dalla casa, se l’infermità riguarda tutto il corpo o qualcuno degli arti, o se è incurabile. Tuttavia se soffre di un’infermità di poco conto (tale da poter migliorare in breve tempo), non è buona cosa espellerlo dalla casa, ma occorre piuttosto trattarlo con pietà e misericordia.

439. E se un fratello è ferito (o colpito da un difetto corporeo) i fratelli possono, a loro discrezione, accoglierlo nella casa e lasciargli l’abito, ma solo se è afflitto da un male che non comporti gravi mutilazioni: ma ciò deve essere fatto per giudizio dei confratelli. Tuttavia sia chiaro che ciò non deve diventare una consuetudine della casa, poiché se l’infermità pregiudica il corpo o uno qualunque degli arti, il fratello va considerato spergiuro. Inoltre tutti devono sapere che se uno è afflitto ad lebbra o dall’altro morbo maligno chiamato epilessia, o da qualunque altra malattia infettiva, deve essere allontanato per sempre dalla casa e dalla compagnia dei fratelli. La casa non è tenuta a dare giustificazioni, poiché il fratello ha negato, sotto giuramento, di essere infermo: pertanto è uno spergiuro.

440. Ma se uno che soffre di un’infermità di tal genere lo ammette dinanzi a colui che deve assegnargli l’abito e dinanzi all’intero capitolo, e nonostante ciò l’abito gli viene assegnato con il consenso di tutti i fratelli dinanzi ai quali il postulante ha confessato la propria infermità, non dovrà e non potrà essere privato dell’abito, né allontanato dalla casa, a meno che non sia egli stesso a chiederlo; ma dovrà essere tenuto in un luogo separato dal resto dei fratelli, e dovrà ricevere tutto ciò di cui necessita al pari degli altri fratelli malati.

441. Ma colui che gli ha concesso l’abito e tutti coloro che hanno acconsentito a concederglielo non possono ragionevolmente permettergli di indossarlo, poiché hanno concesso l’abito a un uomo indegno di riceverlo. E dovete sapere che quei fratelli hanno a tal punto e tanto gravemente macchiato le proprie coscienze che non dovranno mai più essere consultati quando si tratti di decidere dell’ammissione di un fratello; e colui il quale ha consapevolmente assegnato l’abito a quell’uomo, o a chiunque sia indegno di riceverlo, perderà per sempre tale potere.

442. E se un fratello contrae una grave malattia dopo aver ricevuto l’abito, deve essere tenuto in un luogo separato, come si è detto, e finché vive deve ricevere quanto gli occorre, a meno che non abbia contratto la lebbra, nel qual caso occorre comportarsi altrimenti.

443. Quando, per volontà di Nostro Signore, un fratello contrae la lebbra, e viene provato che le cose stanno così, gli uomini onorati della casa devono esortarlo a chiedere il congedo dal Tempio per entrare nell’Ordine di San Lazzaro e prendere l’abito di quell’Ordine; e se il fratello infermo è un uomo pio, dovrà obbedire, anzi sarà egli stesso, di sua spontanea volontà, a chiedere il congedo dalla casa, prima che venga esortato a farlo. E il maestro, o chi ne ha la prerogativa, deve concederglielo, ma solo dopo aver sentito i fratelli; dopodiché il maestro e i gentiluomini devono prendersi cura di lui fino al giorno in cui non prende l’abito di San Lazzaro. E devono prendersi scrupolosamente cura di quel nostro fratello, e fare in modo che venga accolto nell’Ordine di San Lazzaro, cosicché non manchi nulla alla sua povera esistenza finché vivrà.

444. Tuttavia, sia chiaro che se un fratello, che ha contratto la lebbra, rifiuta ostinatamente di chiedere il congedo e di abbandonare la casa, non potrà essere privato dell’abito né allontanato dalla casa, ma dovrà essere mantenuto in un luogo separato dalla compagnia dei fratelli, come si è detto a proposito dei malati gravi; e lì deve ricevere il suo sostentamento.

445. E tutte le cose che devono essere chieste a chi voglia farsi cavaliere, devono essere chieste anche a chi voglia farsi sergente; e nel caso che egli non dica la verità gli saranno inflitte le medesime punizioni. Inoltre a chi intende diventare sergente deve essere chiesto se è servo o schiavo di qualcuno; e se lo è, e lo ammette dinanzi ai fratelli, non gli verrà assegnato l’abito; e se lo nega dinanzi al capitolo e viene fatto sergente, ma in seguito la menzogna viene scoperta, gli deve essere tolto l’abito e deve essere riconsegnato al proprio signore.

446. Se al momento dell’accoglienza uno nega di essere cavaliere dinanzi al capitolo e si fa assegnare l’abito da sergente, e in seguito si viene a sapere che egli è un cavaliere, deve essere privato dell’abito e messo in catene e ricoperto d’infamia e allontanato dalla casa; poiché un cavaliere non può rimanere nella casa in veste di sergente; infatti così come uno che non ne ha diritto non può indossare il mantello bianco dei cavalieri, chi è cavaliere non può indossare il mantello bruno dei sergenti.

447. Alcuni ritengono che il maestro e gli altri fratelli potrebbero, per pietà e compassione, assegnargli lo stesso il mantello bianco, concedendogli così di restare nella casa; infatti senza il mantello bianco non potrebbe dimorarvi. Ma noi riteniamo che un tale uomo non debba rimanere nella casa, poiché tale condotta arreca delusione e danno alla casa e ai fratelli.

448. Nessun fratello del Tempio, per quanto nobile possa essere, se non è cavaliere prima che gli sia dato l’abito del Tempio, non può mai diventarlo e indossare il mantello bianco, a meno che non diventi vescovo o altro di più elevato, come si è detto sopra.

449. Al momento dell’accoglienza, al fratello cappellano devono essere rivolte le medesime domande poste a sergenti e cavalieri; ma non gli verrà mai chiesto se è servo o schiavo di qualcuno, poiché essendo un sacerdote deve per forza essere un uomo libero, né se ha una moglie, una fidanzata o una promessa sposa. E chiunque voglia essere accolto nella casa come cappellano deve rispondere in modo veritiero ad ogni domanda, come coloro che desiderano farsi sergenti o cavalieri. E se uno dice il falso e in seguito risulta per certo che ha mentito, deve essere trattato nel modo già visto a proposito di sergenti e cavalieri, tranne che non deve essere messo in catene, né ricoperto d’infamia, ma deve essere privato dell’abito e riconsegnato al patriarca o al vescovo.

450. Ma vi è ancora una cosa per cui un fratello può essere espulso dalla casa; infatti se un laico prende l’abito che gli spetta e in seguito prende i sacri ordini senza aver ricevuto l’autorizzazione da parte di chi ha il potere di concederla, può essere espulso dalla casa se il maestro e i fratelli sono d’accordo. Tuttavia gli si potrà consentire di rimanere in qualità di cappellano; ma se ha preso gli ordini nella nostra casa, non può vestire altro abito né ricoprire altro incarico. E comunque si proceda, occorre attenersi alle decisioni dei fratelli. E se il maestro e i fratelli gli concedono di restare nella casa, egli deve chiedere perdono per la mancanza che ha commesso, poiché ha preso gli ordini senza essere autorizzato a farlo, e gli deve essere inflitta una punizione aspra e severa, a discrezione dei fratelli e tenendo conto della sua condotta abituale. Ma è preferibile che venga espulso per sempre, affinché serva da lezione agli altri.

451. La seconda punizione che può essere inflitta a un fratello è la più dura e aspra dopo l’espulsione dalla casa ed è al perdita dell’abito, dal che Dio salvi ogni fratello; e questa punizione può essere inflitta a un fratello per varie disgrazie che possono capitargli. Giacché un fratello può perdere l’abito per aver, in un moto di collera o di furore, buttato a terra un altro fratello, o per averlo colpito facendolo vacillare, o per aver spezzato i lacci del suo mantello. E se un fratello agisce in questo modo viene scomunicato e deve farsi assolvere. Appena il fratello viene privato dell’abito, la sua armatura torna in selleria e viene consegnata ai fratelli che ne hanno bisogno, e i suoi cavalli vengono requisiti dal maresciallo che li assegna ai fratelli che ne hanno bisogno.

452. E se un fratello, in un m moto di rabbia, ferisce un cristiano o comunque gli inferisce un colpo che può ucciderlo o ferirlo, non può tenere l’abito.

Se risulta per certo che un fratello ha giaciuto con una donna, non può tenere l’abito e deve essere messo un catene. E non potrà più portare il gonfalone bicolore né il sigillo né avere fratelli sotto di sé né partecipare all’elezione del maestro, nel numero dei tredici elettori.

453. Se un fratello mente, non può tenere l’abito.

Se un fratello dice che un altro ha detto o fatto qualcosa per cui meriterebbe, qualora fosse provato, di essere espulso dalla casa, ma, per quanto si sforzi, non riesce a dimostrarne la colpevolezza, e ciononostante rifiuta di pentirsi né vuole ritrattare e persiste nella propria folle condotta, non può tenere l’abito.

454. Sappiate che se un fratello accusa un altro dinanzi al capitolo di aver commesso qualcosa che può costargli l’espulsione, dalla casa, ma non riesce a dimostrarne la colpevolezza, verrà privato dell’abito, a meno che non ritratti le proprie affermazioni dicendo: <<Miei buoni fratelli, dinanzi a tutto il capitolo, voglio che sappiate che la colpa di cui l’ho accusato era falsa, e in verità non posso dirne che bene>>. In tal caso spetta ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito. E sia chiaro che quando un fratello ha ritrattato una volta dinanzi al capitolo le proprie affermazioni, non dovrà mai più essere creduto, qualora accusi altri fratelli, per quanto riguarda colpe che comportino l’espulsione o la perdita dell’abito, e non si dovrà mai più tenere conto del suo parere, poiché si è rivelato malvagio, e la parola del malvagio non deve in nessun caso essere fatta valere contro l’onesto.

455. Se un fratello uccide o perde per negligenza uno schiavo, non può tenere l’abito.

Se un fratello afferma con convinzione, o in un moto di collera, che intende passare ai Saraceni, e le sue parole vengono udite da qualche fratello, e il fratello che le ha pronunciate è aduso a tenere una condotta scorretta, non può tenere l’abito; ma se la condotta del fratello è abitualmente corretta, sta alla clemenza dei fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito.

456. Se in un moto di collera, o per negligenza, un fratello uccide o ferisce un animale da sella, il suo abito è nelle mani dei fratelli.

Se un fratello si appropria dei possedimenti di un uomo secolare o di chiunque altro e dichiara che appartengono al Tempio e ciò non corrisponde a verità, cosicché il vero proprietario perderebbe ogni diritto e il pedaggio su quei possedimenti, non può tenere l’abito.

Se un fratello, senza averne l’autorità, fa uscire dalla casa un animale vivo a quattro zampe, che non sia un cane o un gatto, il suo abito è nelle mai dei fratelli.

457. Se un fratello si ribella contro i comandamenti della casa e rifiuta di osservarli, e invece di pentirsi persevera nel suo folle comportamento, e, ad onta delle suppliche e degli ammonimenti degli altri fratelli, rifiuta di fare ammenda, venga privato dell’abito e tenuto a lungo in catene. Tuttavia se avviene che un fratello, a causa dell’ira o della collera, afferma di non voler eseguire un ordine della casa, è meglio lasciare che la sua ira si plachi; dopodiché qualcuno andrà da lui e gli dirà con la massima calma e tranquillità: <<Mio buon fratello, per amor di Dio, eseguite l’ordine che vi è stato dato>>. E se egli lo esegue, e la casa non ha subito alcun danno, occorre essere comprensivi e clementi nei suoi confronti, per amore di Dio, e dare prova di magnanimità e misericordia; poiché è questa la condotta più cara al Signore. Ma se rifiuta di obbedire, venga privato dell’abito e messo in catene.

458. Se il maestro, o un altro commendatore che tiene capitolo, intima a un fratello soggetto alla sua autorità di chiedere perdono per una qualche colpa, e il fratello rifiuta di chiedere perdono ed anzi persevera nella propria folle condotta, non può tenere l’abito. Ma questa procedura non deve essere applicata se sono coinvolti due semplici fratelli; poiché se un fratello rifiuta di chiedere perdono ad un altro che non sia il suo commendatore, non deve essere privato dell’abito; ma gli deve comunque essere inflitta una punizione severa, aspra e dura. Poiché quando un fratello dice ad un altro: <<Chiedete scusa per la tale cosa>>, il fratello deve chiedere subito scusa e comportarsi nel modo suddetto.

459. Se il capitolo non concede ad un fratello il premesso di andare via, ed egli manifesta l’intenzione di andarsene e di abbandonare ugualmente la casa, venga privato dell’abito.

Se un fratello spezza il sigillo del maestro, non può tenere l’abito.

E alcuni dei nostri fratelli più anziani sostengono che se un fratello spezza il sigillo di chi fa le veci del maestro, deve comunque essere privato dell’abito, anche se la sua colpa è meno grave, a causa del minor danno che potrebbe derivare dal suo gesto.

460. Se un fratello ha ricevuto l’abito della casa in modo non dovuto, oppure l’ha ricevuto, ma non ne è degno, deve essere privato dell’abito; e colui che gliel’ha assegnato perderà per sempre il potere di ordinare nuovi fratelli.

Se un fratello presta a qualcuno o fa uscire dalla casa elemosine senza permesso e in modo tale che la casa non potesse rientrarne in possesso, non può tenere l’abito. Se un fratello che non è dotato dell’autorità per farlo dona beni della casa a un laico o a un Ordine diverso da quello del Tempio, senza averne ricevuto il permesso, non può tenere l’abito.

461. Se un fratello lascia la casa in preda alla collera e trascorre una notte fuori senza permesso, gli sarà tolto l’abito se così piace ai fratelli, ma se a loro piace potrà tenerlo. Ma si ricordi che occorre tener conto della condotta abituale del fratello colpevole: se essa è di norma buona ed egli conduce una vita retta e onesta, i fratelli possono mostrarsi magnanimi e, a maggior ragione, consentirgli di tenere l’abito, e più speditamente e agevolmente si accorderanno su tale decisione. Ma se dorme fuori per due notti, senza permesso, se ha riportato tutte le cose che aveva con sé e che doveva riportare e non ha portato con sé niente di ciò che non è consentito portare, potrà riavere l’abito dopo un anno e un giorno; e non potrà recuperarlo prima che sia passato un anno e un giorno. Ma se ha portato con sé qualcosa che non doveva ed ha trascorso due notti fuori della casa, senza permesso, deve essere espulso per sempre. E tutti sappiano che se un fratello non intende o non può far ritorno prima che siano trascorsi due gironi da quando ha lasciato la casa, il secondo giorno deve rimandare il proprio mantello nella casa del Tempio; poiché se lo tiene con se per due notti, verrà espulso per sempre, come si è detto.

463. Se, preso dalla rabbia, un fratello getta l’abito a terra in presenza di altri fratelli e quelli lo implorano di raccoglierlo, ma egli rifiuta di farlo, e qualcuno dei fratelli lo raccoglie in sua vece, non riavrà l’abito prima che siano trascorsi un anno e un giorno; ma se un fratello raccoglie l’abito invece di quello che ha gettato e glielo rimette sulle spalle, sarà lui a perdere l’abito, mentre quello cui l’ha restituito lo potrà conservare o perdere, a discrezione dei fratelli. E dovete sapere che chi restituisce in tal modo l’abito a uno che l’ha gettato viene punito, perché chi non ha la prerogativa di assegnare l’abito non ha neppure la facoltà di restituirlo, e chiunque lo faccia perde l’abito. Poiché l’abito è assegnato dal capitolo e solo il capitolo può restituirlo; pertanto ciascun fratello sappia che nessun commendatore può privarlo dell’abito perché ha disobbedito, benché quel fratello sia ai suoi ordini, poiché nessun commendatore può assegnare l’abito a un nuovo fratello né toglierlo a quelli che già l’hanno ottenuto.

464. Ma se accade che un commendatore il quale non può assegnare l’abito, viene disobbedito da uno dei fratelli soggetti alla sua autorità, è suo dovere ammonirlo, come si è detto più sopra; dopodiché, se quello si ostina a non eseguire l’ordine, deve immediatamente suonare la campana e radunare i fratelli. E quando i fratelli sono riuniti deve tenere capitolo, e intimare al fratello disobbediente di chiedere perdono per non aver eseguito l’ordine, quindi invitarlo ad allontanarsi; quindi il capitolo deve deferirlo, con verdetto unanime, dinanzi al maestro o a un commendatore che abbia l’autorità di privarlo dell’abito.

465. E le mancanze per cui un fratello può perdere l’abito non possono essere giudicate da uno che non ha il potere di privare dell’abito; e colui che tiene capitolo non può permetterlo, né i fratelli devono acconsentire; e se qualcuno lo consente, incorre in una grave mancanza e deve essere punito con severità, poiché non sarebbe ragionevole giudicare un fratello alla presenza di qualcuno che non sia dotato del potere di dare corso alla punizione decisa dai fratelli, sia essa lieve o severa. Pertanto si è stabilito nella casa che, a seconda della gravità della colpa, il giudizio deve avvenire alla presenza del maestro o di un commendatore dotato dell’autorità necessaria a fra eseguire la sentenza, sia essa lieve o severa.

466. E tutti sappiano che parecchie volte avviene che un commendatore può ordinare un sergente ma non un cavaliere, e se un commendatore non può assegnare l’abito a un fratello cavaliere non deve e non può neppure toglierglielo, perché solo chi può assegnare un certo abito può anche toglierlo. E così come bisogna guardarsi dall’assegnare l’abito in modo scorretto, occorre anche guardarsi dal toglierlo in modo scorretto; e chi lo fa subirà la medesima punizione. E per far s’ che un fratello non venga provato dell’abito in modo scorretto, si è stabilito che ne venga privato davanti al maestro, o davanti a un altro che svolge le funzioni del maestro. E nessuno ha l’autorità di ordinare un fratello né di prenderne l’abito privatamente, a meno che non occupi il posto del maestro, o abbia ricevuto dal maestro uno speciale permesso per farlo.

467. Se un fratello restituisce o fa restituire il proprio abito di sua spontanea volontà, non potrà recuperarlo prima di un anno e un giorno.

E dovete sapere che per quanto riguarda le cose suddette, le quali possono condurre alla perdita dell’abito, dipende dalla clemenza dei fratelli toglierglielo o lasciarlo, ma non per questi tre ultimi motivi: ovvero se uno lo getta a terra e un altro fratello lo raccoglie prima di lui, se uno lo restituisce di sua spontanea volontà e se uno dorme per due notti fuori della casa, senza permesso.

468. E tutti sappiano che fintantoché è privo dell’abito un fratello, durante le funzioni, deve rimanere fuori dalla porta della chiesa e ogni domenica, dopo il vangelo, deve recarsi dal fratello cappellano per ricevere la punizione corporale, e se non vi è un fratello cappellano, dovrà riceverla dal sacerdote che ricopre l’incarico, e dovrà recarvisi di buon grado, dinanzi a tutti coloro che si trovano in chiesa. E quando si reca a ricevere la punizione, un fratello deve indossare solo le brache, le calze e le scarpe. E dopo averla ricevuta, deve uscire dalla chiesa, rivestirsi e ascoltare l’ufficio di Nostro Signore, tranquillamente e in silenzio come tutti gli altri fratelli; poiché i fratelli puniti con la perdita dell’abito devono assistere a tutte le funzioni, come ogni buon fratello del Tempio; e se intendono assentarsi da una delle funzioni, devono ottenere il permesso, come tutti gli altri.

469. Ma se un fratello punito per un anno e un giorno è costretto a letto da una qualche infermità e trascorre l’intero periodo della pena o gran parte di essa nel suo letto, e non può quindi recarsi in chiesa, alla fine dell’anno riavrà comunque l’abito. E il tempo che avrà trascorso da infermo verrà contato come quello in chi ha subito per intero la punizione, come se si fosse recato ogni giorno in chiesa e ogni domenica avesse subito la punizione corporale; poiché non si è sottratto volontariamente alla punizione, e quando Dio decide di inviare salute o malattia, nessuno può tirarsi indietro. E se un fratello muore durante la penitenza, deve essere trattato come gli altri e gli deve essere cucita la croce sull’abito, come avviene per tutti gli altri.

470. I fratelli che scontano la penitenza devono dormire nell’infermeria, e se sono infermi l’elemosiniere deve far sì che abbiano tutto ciò di cui hanno bisogno; e fintantoché sono infermi possono mangiare nell’infermeria. Ma se sono in salute devono lavorare con gli schiavi e mangiare seduti per terra dinanzi alla servitù e mangiare il loro stesso cibo, e sempre devono indossare la cappa senza croce.

471. E se l’elemosiniere decide di aumentare la porzione di cibo del servi, non deve aggiungere nulla a quella di coloro che, per punizione, mangiano per terra, che abbiano l’abito o meno, poiché non ne hanno diritto. Tuttavia se il maestro mangia nel convento può inviare una parte del cibo che ha di fronte ai fratelli che mangiano per terra, ma a nessun altro è consentito farlo; e neppure il maestro può dare loro alcunché, se mangia nell’infermeria o in qualunque altro luogo al di fuori del convento.. E il maestro può comportarsi così solo nei confronti dei fratelli penitenti cui non è stato tolto l’abito.

472. E ciascun fratello penitente cui è stato tolto l’abito deve rimanere a pane ed acqua tre giorni alla settimana, finché Dio e i fratelli non decidono di alleviargli la pena; e se lo ritengono opportuno e il fratello sconta la propria pena diligentemente, i fratelli possono ridurgliela di uno o due giorni. E questi sono i giorni in cui deve digiunare fintantoché rimane privo dell’abito: il lunedì, il mercoledì e il venerdì. E se i fratelli decidono di diminuire i giorni di penitenza a un fratello privato dell’abito, se si tratta di un giorno, sarà il lunedì e se saranno due giorni, anche il mercoledì; ma nessuno può concedere a un fratello penitente di non digiunare il venerdì. Poiché è opportuno che i fratelli che mangiano per terra per decisione dei fratelli digiunino ogni venerdì, sia che abbiano l’abito o meno; ma appena gli è consentito di rialzarsi ognuno dei fratelli è esonerato dal venerdì e da tutte le altre punizioni che gli erano state inflitte durante quella penitenza.

473. Tuttavia quando l’abito viene restituito a un fratello che era stato punito con la perdita dell’abito, egli non può alzarsi subito da terra, ma deve mangiare per terra con l’abito ancora una volta e anche più. E se l’abito gli viene restituito di venerdì deve rimanere a terra con l’abito; ma dopo aver mangiato una volta per terra con l’abito può alzarsi secondo la volontà di Dio e dei fratelli; poiché se un fratello non ha scontato la propria pena con diligenza può essere lasciato a terra ancora per molti giorni, a discrezione dei fratelli.

474. Nessun fratello deve lasciare la casa per entrare in un altro Ordine senza il permesso del maestro e del convento, e se desidera far ritorno nella casa, non potrà rientrarvi prima di un anno e un giorno, e nel frattempo sarà soggetto alla penitenza testé descritta, secondo l’usanza della casa. Tuttavia alcuni affermano che, se un fratello ottiene dal maestro e dal convento il permesso di entrare in un altro Ordine, ed entra in tale Ordine, non può mai più far ritorno nella casa, né il convento deve consentirglielo.

475. E tutti sappiano che se il Santo Padre, il papa, che è padre e maestro dell’Ordine, prima di ogni altro, all’infuori di Dio, intercede presso la casa a favore di qualcuno che ha lasciato il convento in questo o in un altro modo, lo fa nel rispetto della giustizia della casa; infatti egli non intercede alla leggera mettendo a repentaglio la giustizia della casa, anzi vuole e ordina che la punizione vada a chi la merita, secondo la nostra usanza.

476. E quando un fratello viene privato dell’abito, per verdetto del capitolo, deve essere prosciolto da ogni altra punizione; si è voluto così a causa della durezza della pena, e della grande sventura, e dell’infelicità e vergogna che colpiscono chi viene privato dell’abito e di tutti gli onori cui non avrà più diritto nella casa. Ma se uno punito per un anno e un giorno lascia la casa anzitempo, non gli sarà condonata alcuna penitenza; anzi, dovrà scontare il resto della pena dopo aver ripreso l’abito, poiché ha evitato l’infamia di essere privato dell’abito dinanzi ai fratelli, e, a causa della propria malvagità, ha infamato in primo luogo il suo corpo e poi Dio e i fratelli e la del Tempio; infatti ha abbandonato una compagnia tanto virtuosa come la casa del Tempio e si è sbarazzato di una cosa tanto preziosa e onorevole come l’abito del Tempio. E non trarrà alcun beneficio da tanta empietà e follia, ma solo sofferenza.

477. E se un fratello è stato privato dell’abito per verdetto dei fratelli, o in qualunque altro modo, a causa della propria follia, non potrà mai parlare in capitolo contro un altro fratello, a proposito di una colpa punibile con l’espulsione o la perdita dell’abito, né colui che tiene capitolo deve interpellarlo a tale proposito. Se un fratello è stato privato dell’abito a causa della propria empietà, non deve e non può mai accusare un altro fratello di una colpa punibile con la perdita dell’abito o della casa, e nessuno deve prestargli fede; ma se uno è stato condannato ad una pena più lieve, come la penitenza dei due o tre giorni, o meno ancora, può sollevare accuse ed essere interpellato in capitolo.

478. Se un fratello è stato privato dell’abito a causa della propria empietà non può portare il sigillo né la borsa, né essere nominato commendatore dei cavalieri, né reggere il gonfalone bicolore, né avere alcuno sotto di sé; e il maestro non deve chiedere il parere, circa questioni sottoposte al giudizio dei fratelli, di un fratello che abbia giurato il falso in capitolo.

479. Né il maestro, né alcun altro uomo dotato di senno può assolvere alcun fratello da una colpa che comporti l’espulsione o la perdita dell’abito, né consentire che venga assolto; poiché in tal caso agirebbe contro la volontà di Dio e violerebbe il proprio giuramento; infatti ogni mancanza deve essere punita, e le punizioni devono essere comminate tanto al grande quanto al piccolo; poiché quanto più è elevata la posizione che il fratello occupa, tanto più odioso è il suo atto, qualora agisca in modo scorretto, e quanto più grave e odiosa è la mancanza, tanto più opportuna sarà la punizione.

480. Ma se un fratello si macchia di una colpa punibile con l’espulsione, ed è riconosciuto colpevole, anche se la sentenza viene sospesa, non può testimoniare contro un altro fratello per una mancanza lieve o grave, fintantoché è in attesa del verdetto.

481. E se un fratello si macchia di una colpa punibile con l’espulsione dalla casa, viene giudicato colpevole in base alla testimonianza di un altro fratello, anche se la sentenza viene sospesa, il che non può e non deve accadere, non può sollevare accuse, lievi o gravi che siano, nei confronti di alcun fratello; né chi tiene capitolo deve domandargli alcunché; né può accusare un fratello di aver commesso una mancanza, anche se l’ha visto con i propri occhi. Poiché non si deve prestare fede alle parole da lui rivolte contro un fratello; infatti se uno a ha fatto qualcosa per cui deve espulso dalla casa, non è più un fratello del Tempio, specialmente se due o più fratelli sono testimoni della sua colpa.

482. E tutti sappiano che se un fratello sa per certo che un altro fratello ha fatto qualcosa che comporti l’espulsione dalla casa, commette una grave mancanza se lo nasconde, poiché se uno ha fatto qualcosa che conduce all’espulsione dalla casa, non può rimanervi come un buon fratello, e la sua presenza non può arrecare giovamento, ma solo danno alla casa. – E una mancanza che conduca all’espulsione dalla casa non può essere punita in altro modo, a meno che non si tratti di uno dei casi suddetti, in cui un fratello mente circa la propria condizione al momento di entrare nella casa.

483. Se il maestro o un altro, che tenga o meno capitolo, sospende la condanna di un fratello reo di una colpa che conduce all’espulsione dalla casa, anche se lo fa alla presenza del convento, quel fratello non è comunque libero, poiché ognuno dei fratelli che sappia come sono andate le cose può e deve riprenderlo nuovamente nei capitoli successivi; e se è riconosciuto colpevole, deve essere colpito dalla giustizia della casa. E se un fratello non può ordinare nuovi fratelli, non può neppure tenere capitolo laddove si tratti di mancanze punibili con la perdita della casa o dell’abito.

484. E tutti i fratelli del Tempio devono sapere che se un fratello è privato dell’abito in capitolo, e quello stesso capitolo, dopo che egli è uscito dalla sala, decide di restituirglielo, in virtù della clemenza dei fratelli e del sincero pentimento del colpevole, questi rimarrà comunque senza l’abito per due giorni, poiché il terzo giorno gli sarà condonato e l’abito gli verrà restituito, per la grande umiliazione e mortificazione che ha subito dinanzi ai fratelli. E anche se l’abito gli viene restituito, per intercessione dei fratelli, prima che abbia varcato la soglia del capitolo (ma quando l’abito gli sia già stato tolto), rimarrà senza l’abito per due giorni e il terzo gli sarà condonato, come testé riportato. Ma di norma l’abito non deve essere restituito in questo modo, senza che il fratello esca dalla porta; quando l’abito viene tolto per sentenza unanime di tutti i fratelli presenti in quel capitolo.

485. Tuttavia gli anziani della nostra casa ritengono che se un fratello viene condannato alla perdita dell’abito, può conservarlo se si mostra sinceramente pentito e se la sua condotta abituale è onesta; ma sappiate che, secondo le norme della casa, se uno viene condannato alla perdita dell’abito, l’abito gli deve essere tolto; dopodiché se i fratelli, mostrandogli egli sinceramente pentito, desiderano lasciarglielo, è opportuno che lo facciano nuovamente uscire dalla sala e che tutti manifestino ancora una volta la propria volontà; e se tutti i fratelli sono d’accordo, l’abito non gli sarà tolto. E se il fratello privato dell’abito per una volta senza l’abito il giorno stesso, quando gli viene restituito deve fare penitenza per un solo giorno, poiché i due giorni gli vengono condonati a causa dell’umiliazione subita dinanzi ai fratelli in capitolo e dinanzi ai fratelli stessi e ai laici. E anche se ha già mangiato venti o trenta giorni così, dopo che gli è stato restituito l’abito, dovrà fare un giorno di penitenza, poiché solo il capitolo tenuto da qualcuno dotato dell’autorità per punirlo, può condonargli quel giorno. E se uno non ha l’autorità di assegnare o togliere l’abito non può neppure costringere un fratello a fare penitenza senza l’abito; infatti per potere costringere un fratello a fare penitenza senza l’abito occorre avere anche l’autorità di concedergli, a nome proprio e del capitolo, di andare a fare penitenza in un altro Ordine, per salvare la propria anima, se il fratello ne fa richiesta.

486. E se l’elemosiniere vuole sottoporre il suo caso al giudizio dei fratelli deve parlare in questo modo: <<Signori, quest’uomo, o questo sergente, o questo cavaliere>> – e ne fa il nome – <<che era un nostro fratello, si trova dinanzi al portone e chiede di essere riammesso nella casa che ha lasciato a causa della propria follia, e sta in attesa della clemenza della casa>>. E colui che tiene capitolo aggiunge: <<Signori, miei buoni fratelli, se c’è fra voi qualcuno che sappia se quest’uomo, il quale era un nostro fratello, ha fatto qualcosa o sottratto qualcosa alla casa, per cui non possa tornare ad essere ammesso nella casa?>> E se vi è un fratello che ha qualcosa da dire deve prendere la parola, ma ognuno deve dire quello che sa per certo.

487. Se quel fratello è conosciuto per la sua cattiva condotta e si sa che non si sottoporrà volentieri alla penitenza, colui che tiene capitolo deve parlargli in questo modo: <<Mio buon fratello, voi sapete che vi aspetta una penitenza lunga e pesante, e se chiedeste di essere congedato per andare a cercare la salvezza della vostra anima presso un altro Ordine, sarebbe meglio per voi>>. E se quello chiede di essere congedato, colui cui spetta infliggergli la punizione ha il potere di congedarlo, come si è detto, con il consenso dei fratelli del capitolo. E se non chiede di essere congedato, non potrà essergli vietato di rientrare fra i fratelli, poiché in verità non ha fatto nulla per meritare l’espulsione dalla casa; ma prima che venga in capitolo per chiedere perdono, la sentenza dovrà essere sospesa ed egli dovrà attendere lungamente dinanzi al portone per meglio rendersi conto della propria stoltezza e disgrazia.

489. Ma se un fratello che chiede di essere riammesso nella casa è noto per la rettitudine del suo comportamento, i fratelli devono immediatamente farlo uscire dalla sala del capitolo e farlo rivestire e dargli una cappa senza croce, che a partire da quel momento gli apparterrà. E colui che tiene capitolo ordinerà all’elemosiniere di prendersi cura di lui e di dargli alloggio presso di lui, poiché così è stabilito dalla casa, e istruirlo su ciò che deve fare. E dal momento che è sottoposto alla penitenza, l’elemosiniere deve istruirlo su ciò che deve fare, e annotare il giorno in cui la penitenza ha avuto inizio, in modo che possa essere ricordato. E quando il tempo è trascorso, ovvero dopo un anno e un giorno, gli sarà restituito subito l’abito, per disposizione del capitolo, come già si è detto. E ciascun fratello penitente, se è stato privato dell’abito è esonerato anche dagli obblighi militari e non deve toccare nessun’arma.

490. E tutti sappiano che se un fratello ha lasciato una delle case del Tempio che si trovano da questa parte del mare e chiede di essere riammesso nella casa, deve essere rimandato nella casa di appartenenza, e punito secondo la procedura riguardante coloro che chiedono di essere riammessi non avendo commesso nulla di punibile con l’espulsione. Ma se egli lascia una casa posta al di là del mare e viene da questa parte a implorare perdono e a chiedere di essere riammesso nella casa, se i fratelli lo ritengono opportuno e se non ha fatto nulla e non ha sottratto alcunché alla casa per cui possa essere punito con l’espulsione, può scontare la penitenza da questa parte del mare.

491. Inoltre dovete sapere che quando un fratello abbandona la casa, l’elemosiniere deve recarsi con un altro fratello o due gentiluomini nel luogo dove quello che se n’è andato teneva il suo equipaggiamento e mettere per iscritto tutto quello che vi trova, né più, né meno; dimodochè quando il fratello, secondo la volontà di Nostro Signore, tornerà per chiedere di essere riammesso nella casa, sia possibile stabilire se aveva portato con sé qualcosa che non è consentito portare, e in particolare se aveva portato o meno con sé il proprio equipaggiamento; dopodiché si procederà come si è detto più sopra a proposito di quanti lasciano la casa, o punendo o restituendogli l’abito.

492. E nel restituire l’abito a un fratello, colui che glielo restituisce deve parlare in questo modo: <<Mio buon fratello, se mentre scontavate la pena avete violato, in qualunque modo, le norme della casa, chiedete perdono al primo capitolo cui prenderete parte>>. E il fratello che è rientrato in possesso dell’abito deve obbedire a tale comando. Poiché ogni fratello punito con la perdita dell’abito deve guardarsi dal violare le norme della casa, e fare al meglio il suo dovere, come se avesse ancora l’abito; e se manca in qualcosa, appena rientrato in possesso dell’abito deve fare ammenda come ogni altro fratello, al primo capitolo cui prende parte. E si deve discutere o deliberare circa l’abito di un fratello solo se quel fratello si è macchiato di una colpa punibile con la perdita dell’abito; poiché sarebbe molto grave infliggere a un fratello una punizione che non ha meritato, o amministrare la giustizia in contrasto con le norme della casa.

493. La terza punizione, in ordine di gravità, che può essere inflitta è quando a un fratello viene consentito di tenere l’abito, per amore di Dio, e quel fratello viene punito per tre giorni la settimana, fintantoché Dio e i fratelli non vogliono perdonarlo e gliene condonino qualcuno; e occorre dar corso alla punizione senza indugio, sia che si tratti di condurre l’asino o di svolgere qualcun’altra delle più unili mansioni della casa, come lavare le scodelle in cucina, pelare l’aglio e le cipolle, o accendere il fuoco – e quello che conduce l’asino deve anche aiutare a caricarlo e scaricarlo – e il fratello penitente deve tenere il mantello ben allacciato e andare in giro con la massima umiltà.

494. Nessuno deve vergognarsi della pena che gli viene inflitta né mancare di espiarla fino in fondo; piuttosto occorre vergognarsi del peccato commesso, ed espiarlo di buon grado. E il fratello cui, per amore di Dio, viene concesso di tenere l’abito deve subire la punizione corporale prima d’ogni altra cosa. E se cade malato, l’elemosiniere può offrirgli il brodo dell’infermeria; e se è tanto infermo da dover essere ricoverato nell’infermeria, il fratello deve comunicarlo all’elemosiniere, e quest’ultimo deve dirlo al maestro o a chi ne fa le veci, vale a dire al maresciallo o al commendatore dei cavalieri. Ed essi devono convocare il capitolo e mettere tutti al corrente dell’infermità del fratello e, avvalendosi del consiglio dei fratelli, stabilire se è il caso di farlo alzare e di farlo ricoverare nell’infermeria; e se il fratello è tanto infermo da averne bisogno, devono concederglielo.

495. Allora il fratello può essere ammesso nell’infermeria e colà deve comportarsi non diversamente da ogni altro fratello infermo, e ristorarsi e mangiare i cibi che gli paiono più idonei, così come ogni altro fratello. Ma non appena gli viene ingiunto deve riprendere la penitenza, senza parlare con i fratelli, e se mangia nel palazzo deve mangiare per terra, fino a che Dio e i fratelli non gli dimostrino la loro clemenza facendolo alzare; però può rimanere nell’infermeria finché non è in grado di tollerare il cibo del convento.

496. E tutti sappiano che così come il fratello penitente può essere levato da terra solo per decisione dei fratelli, allo stesso modo, qualora si ammali, può ricoverarsi nell’infermeria solo per decisione del capitolo, poiché se i fratelli non lo consentono deve continuare ad espiare la propria pena senza che gli sia concesso di alzarsi da terra, per amore di Dio e a causa della propria infermità; per cui il fratello deve scontare almeno in parte la propria pena, vale a dire tre giorni interi, o due giorni più il terzo, oppure due giorni o un solo giorno. E tale punizione che consente al fratello di conservare l’abito, per amore di Dio, viene inflitta a chi si macchi di una colpa punibile con la perdita dell’abito, e se lo ritengono opportuno e ragionevole, i fratelli possono toglierglielo in qualunque momento. E le mancanze punibili con la perdita dell’abito non devono essere punite con pene troppo leggere, poiché grande è la magnanimità mostrata a un fratello che, pur avendo commesso una mancanza per cui l’abito dovrebbe essergli tolto, viene invece autorizzato a tenerlo; e se gli viene lasciato per amore di Dio, non meno di un fratello rimane alla mercé del capitolo. Solo le mancanze che possono portare alla perdita dell’abito devono essere punite con tre giorni di penitenza.

497. La quarta punizione, in ordine di gravità, che può essere inflitta ai fratelli è due giorni, e un terzo giorno la prima settimana, se è nominato; ma se il terzo giorno non è nominato, la pena non deve eccedere di due giorni, ed essa colpisce i fratelli per la più piccola mancanza che infranga la regola della casa. E se il terzo giorno è nominato senza ulteriori specificazioni va inteso come il lunedì successivo. Ma se i fratelli dichiarano: <<Vi diamo due giorni aumentati di un terzo giorno la prima settimana, corrispondente a quello in cui avete peccato; il fratello penitente deve digiunare il terzo giorno, qualunque esso sia, ad eccezione della domenica. E se ha peccato di domenica, digiunerà il lunedì; e anche se ha peccato di mercoledì o venerdì deve digiunare il lunedì come terzo giorno; e se ha peccato in qualunque altro giorno digiunerà il giorno corrispondente a quello in cui ha peccato>>.

498. La quinta punizione, in ordine di gravità, che può essere inflitta a un fratello è di due soli giorni; e quando un fratello è punito per due soli giorni, o con l’aggiunta del terzo la prima settimana, o per tre giorni interi, deve condurre l’asino e svolgere le mansioni più umili della casa. E deve espiare la propria colpa nel modo suddetto, e subire la punizione corporale, ogni domenica, all’inizio del capitolo, prima che venga recitata la preghiera. La punizione che comporta la perdita di qualunque cosa fuorché dell’abito, deve durare di norma due giorni e non di più; e questa soleva essere di norma la pena più grave inflitta ai fratelli, dopo la perdita dell’abito. Tuttavia in seguito, a causa della malvagità di alcuni fratelli, fu aggiunto il terzo giorno della prima settimana, per quanti rifiutavano di fare ammenda e perseveravano nell’errore.

499. E i fratelli e sergenti puniti per due giorni, o con l’aggiunta del terzo giorno, per tre giorni interi, o per un solo giorno, possono continuare ad occuparsi del proprio equipaggiamento e i fratelli artigiano possono continuare a svolgere le loro mansioni.

500. La sesta punizione è un solo giorno, e il fratello che ne è colpito non deve condurre l’asino o lavorare come si è detto a proposito di quelli puniti con due giorni, due giorni più il terzo o tre giorni interi.

501. E quando un fratello è punito a terra non deve toccare il proprio armamento, a meno che esso non necessiti di riparazioni urgenti e che egli non possa fare altrimenti. E tutti sappiano che ciascun fratello sottoposto a penitenza deve rimanere quietamente al suo posto fin dal sorgere del sole; ma se è carpentiere o in genere artigiano deve svolgere la propria mansione. E ciò vale per tutti i fratelli che devono espiare le proprie colpe.

E i fratelli puniti non devono rispondere alle convocazioni né agli ordini diramati durante le riunioni, ma possono essere consultati privatamente, qualora sia necessario. Se quando viene dato l’allarme c’è bisogno di uno, due o più fratelli penitenti, il capitolo può assegnare loro temporaneamente armi e cavalli, senza per questo sollevarli dalla punizione a terra e senza concedere loro alcuna clemenza; e quando l’allarme sarà cessato, essi devono far ritorno al loro posto e continuare come prima ad espiare le loro colpe. Ma nessuno, neanche il maestro, può prestare loro armi e cavalli né permettere loro di prenderli, senza il consenso del capitolo; infatti fintantoché sono puniti non possono disporre delle loro cose più di quanto possano disporre delle cose degli altri.

502. Nel punire un fratello, il maestro o chi ne fa le veci deve dirgli: <<Mio buon fratello, se siete in buona salute andate a spogliarvi>>. E se il fratello è in buona salute deve andare a spogliarsi e poi tornare nella sala e inginocchiarsi dinanzi a colui che tiene capitolo. E colui che tiene capitolo o è incaricato di comminare la punizione deve dire: <<Signori e miei buoni fratelli, vedete qui un vostro fratello che viene per essere punito; pregate il Signore affinché perdoni i suoi peccati>>. E ogni fratello deve recitare un paternoster, e se vi è un cappellano deve anch’egli pregare il Signore per il fratello che ha peccato, nel nodo che ritiene più opportuno. Dopo le preghiere, colui che tiene capitolo deve punire il fratello con uno scudiscio, se lo ritiene opportuno, e se non ha lo scudiscio può servirsi della propria cintura.

503. E tutti sappiano che, in capitolo o altrove, i fratelli devono recitare le preghiere in piedi, tranne che nei giorni in cui è prescritta la genuflessione in chiesa; in tali giorni i fratelli devono recitare in ginocchio le preghiere che aprono il capitolo e tutte le altre; e in particolare, nel giorno delle nove letture, i fratelli devono recitare in ginocchio la preghiera che conclude il capitolo, ma colui che tiene capitolo deve recitarla in piedi; ma poi deve inginocchiarsi solo quando il cappellano impartisce l’assoluzione o mentre recita il paternoster. Ed è stabilito che i fratelli recitino tale preghiera in ginocchio, poiché il maestro o colui che tiene capitolo li affranchi dal potere che aveva prima di dare inizio alla preghiera.

504. E dopo che colui che tiene capitolo ha recitato la preghiera, ciascun fratello deve rendere la propria confessione, dopodiché il fratello cappellano, dopo la confessione dei fratelli, può impartire l’assoluzione generale. In mancanza del fratello cappellano, ciascun fratello reciterà un paternoster, rimanendo in ginocchio, quindi, se non ci sono altri ordini, ognuno sarà libero di andare.

505. Se il fratello punito afferma di non essere in salute, il maestro o il commendatore non devono dar corso immediatamente alla punizione, a meno che non si tratti di un fratello cui è stato lasciato l’abito per amore di Dio, poiché in tal caso occorre dare immediatamente corso alla punizione, sia egli sano o malato, purché l’infermità non sia tanto grave da mettere a repentaglio la sua vita; e in tal caso dovrà essere subito ricoverato nell’infermeria, per decisione dei fratelli, e appena si sarà rimesso si darà senza indugio alla punizione. E se il fratello afferma di essere affetto da un’infermità che non gli consente di subire la punizione corporale in capitolo, verrà inviato dal fratello cappellano che si incaricherà di punirlo egli stesso; e ogni fratello che risulta affetto da un male segreto, verrà trattato allo stesso modo, anche quando sia stato condannato alla pena del venerdì. E il periodo di penitenza deve avere inizio con la pena corporale.

506. E tutti sappiano che le penitenze devono essere compiute l’una dopo l’altra, secondo l’ordine in cui sono state comminate; prima quella inflitta per prime e di seguito le altre; ad eccezione del fratello cui l’abito non ‘ stato tolto per amore di Dio, al quale deve essere inflitta immediatamente quella che sostituisce la perdita dell’abito, anche se deve subirne altre, e nel suo caso occorre dare corso senza indugio alla punizione, a meno che il capitolo non stabilisca espressamente che venga inflitta per prima la punizione comminata per ultima. Poiché spesso, quando un fratello è condannato a causa della propria cattiva condotta, o per una grave mancanza, o perché è aduso a peccare, il capitolo stabilisce che gli venga inflitta per prima la punizione che gli è stato comminata per ultima. E occorre attenersi alle disposizioni del capitolo.

507. E se è in buona salute si dia immediatamente corso alla punizione; ma se è infermo, si dovrà attendere che sia migliorato. Tuttavia colui che tiene capitolo non può sospendere l’esecuzione della pena, a causa di infermità o per altri motivi, senza il consenso dei fratelli; tuttavia i fratelli devono prorogare la punizione fintantoché non stia meglio. Ma non appena si sente meglio, il fratello deve comunicarlo a colui cui spetta di dar corso alla punizione; e questi deve riunire i fratelli dopo la funzione dell’ora prima in qualche luogo appartato, a meno che non sia un giorno in cui si tiene capitolo, e il fratello si deve vestire come se si trovasse dinanzi al capitolo e inginocchiarsi dinanzi a colui che ha il potere di infliggergli la punizione, il quale deve dire, rivolgendosi ai fratelli: <<Signori, vedete qui un fratello che viene per essere punito, pregate il Signore affinché lo perdoni>>. Dopodiché si reciteranno le preghiere e si darà corso alla punizione corporale, come se ci si trovasse in capitolo.

508. E nel ricevere la punizione corporale da maestro o da colui che tiene capitolo, i fratelli dovranno tenere il mantello allacciato ma con gli alamari lontani dal collo. E la punizione di norma viene inflitta alla fine del capitolo, tranne i casi in cui segue immediatamente la sentenza, come si è detto più sopra.

509. Dopo che la preghiera è stata recitata, il maestro o chiunque abbia l’autorità di infliggere la punizione corporale, prima di eseguirla deve dire al fratello: <<mio buon fratello, siete pentito per aver peccato in questo modo?>>, e quello deve rispondere: <<Grandemente, mio signore>>. E il maestro o chi ne fa le veci deve dirgli: <<Vi guarderete, d’ora in avanti, dal peccare?>> e il fratello: <<Sissignore, a Dio piacendo>>. A quel punto il maestro gli infliggerà la punizione corporale, nella misura che ritiene opportuna, e secondo le usanze della casa.

Dopodiché gli dirà: <<Andate a vestirvi>>. E quando si sarà vestito il fratello tornerà davanti a lui, e il maestro gli dirà: <<Potete andare>>. E se lo ritiene opportuno, il commendatore può consentirgli di badare al proprio equipaggiamento, se è un fratello del convento, o di tornare al suo lavoro, se è un fratello artigiano.

510. poiché il fratello penitente non deve di norma badare al proprio equipaggiamento né al proprio lavoro, a meno che non gli venga ordinato, bensì deve dire al fratello: <<Mio buon fratello, mio buon fratello, abbiate cura del nostro equipaggiamento>>. E quel fratello deve averne cura come se si trattasse del suo equipaggiamento; e ciò vale per ogni fratello cui un altro affidi il proprio equipaggiamento. Ed è meglio per un fratello punito affidare il proprio equipaggiamento ad un altro, piuttosto che averne cura personalmente; poiché se il maresciallo o il commendatore dei cavalieri necessitino di qualcosa per le esigenze della casa, e mettano in fila i fratelli per attingere dall’equipaggiamento dei fratelli infermi, il fratello cui è stato affidato l’equipaggiamento di un fratello punito deve presentare quell’equipaggiamento che gli è stato affidato: pertanto, se gli viene richiesto, quel fratello deve presentare l’equipaggiamento affidatogli come se fosse il suo. E quando i fratelli chi è affidato l’equipaggiamento degli infermi ricevono l’ordine di allinearsi, anche i fratelli puniti devono farlo, dimodochè si possa disporre tanto del loro equipaggiamento quanto di quello dei fratelli che sono nell’infermeria.

511. E tutti sappiano che colui che tiene capitolo deve infliggere la punizione corporale a tutti i fratelli penitenti, e nessuno deve faro prima di lui, a meno che non vi siano fratelli malati; e se vi sono dei fratelli malati colui che tiene capitolo deve inviarli dal fratello cappellano come si è detto più sopra. E i fratelli che devono scontare la penitenza durante le ottave di Natale, Pasqua e Pentecoste, devono ricevere la punizione corporale dal fratello cappellano, in privato. E se un fratello cappellano merita la punizione corporale, essa gli deve essere inflitta da un altro fratello cappellano. E in ogni caso il fratello cappellano deve infliggere ogni punizione corporale in privato, ad eccezione di quelle che infligge la domenica, dopo il Vangelo, ai fratelli privati dell’abito.

512. E ciascun fratello che è punito per terra, con tutto il suo abito, deve mangiare su un lembo del mantello; e se mentre mangia gli si avvicinano cani o gatti deve scacciarli. Ed è per tale motivo che si è deciso di porre una panca o qualche altra cosa davanti a loro quando mangiano per terra, mentre un sergente è incaricato di proteggerli, in modo che non debbano essere infastiditi dalla servitù, dagli animali o da altri tormenti. E i fratelli che mangiano per terra devono rimanere tranquilli e dar prova della massima umiltà, senza ridere o scherzare.

513. La condotta dei fratelli penitenti va attentamente studiata; e se durante la penitenza, nonché al di fuori di essa, si comportano con rettitudine, i fratelli mostreranno maggior clemenza nei loro confronti prima che nei confronti di quanti si comportano altrimenti.

Ma dovete sapere che né il maestro né chiunque altro abbia il potere di comminare le punizioni deve infliggere la punizione corporale durante l’ottava di Pentecoste; ma se accade che si tenga capitolo durante le ottave delle feste suddette, e che un fratello venga condannato alla pena del venerdì, il maestro, o chi ne fa le veci, dopo aver comunicato a quel fratello il responso del capitolo, deve invitarlo a recarsi dal fratello cappellano per ricevere la punizione corporale, non appena siano trascorse le ottave.

514. E se i fratello comminano a un fratello la pena di un giorno, o quella di due giorni con l’aggiunta del terzo, o anche se decidono che la punizione deve avere corso immediatamente, essa sarà rimandata al primo lunedì dopo l’ottava, e colui cui spetta di giudicarlo deve attenersi a tale criterio. E deve convocare i fratelli dopo la funzione dell’ora prima e deve infliggere la punizione al fratello secondo la procedura relativa ai giorni in cui non si tiene capitolo. E se si è voluto così in onore del venerato corpo di Nostro Signore che i fratelli hanno ricevuto.

515. Tuttavia, si il fratello al quale è stata inflitta una penitenza, è aduso a tenere una condotta scorretta, o se la mancanza da lui commessa è molto grave, o gli è stato consentito di tenere l’abito per amore di Dio, qualora i fratello lo ritengano opportuno, può subire la punizione corporale anche durante le ottave suddette; ma in tal caso la punizione deve essere inflitta dal cappellano in privato, poiché i fratelli malvagi devono essere costretti alle penitenze nei giorni di festa come in ogni altro giorno, affinché possano essere distolti al male e dalla loro cattiva condotta.

516. E tutti sappiano che quando un fratello chiede perdono per i propri peccati dinanzi al capitolo, colui che tiene capitolo non può rimandarlo al proprio posto né trattenerlo là dentro, ma deve invitarlo ad uscire come si è detto; poiché la regola stabilisce che nel caso di mancanze veniali, oppure qualora si tratti di evitare l’insorgere di una disputa, un fratello può essere giudicato anche dal solo maestro o da chi ne fa le veci; e in tal caso il fratello potrà essere rimandato al suo posto, benché questo non sembri ragionevole.

517. Ma sappiate che anche qualora il maestro o colui che tiene capitolo intenda rimandarlo al suo posto, i fratelli possono intimargli di lasciare la sala, e colui che tiene capitolo, foss’anche il maestro o un altro, deve obbedire a loro. Ma quando un fratello è davanti al maestro per ricevere la punizione nessun altro può farlo rialzare da terra, salvo il maestro, e fintantoché il maestro si trova nella casa nessuno può condonare la punizione di un fratello, senza l’autorizzazione del maestro stesso. Ma quando il maestro lascia la casa, il fratello che ne fa le veci può condonare le pene lavorative e i digiuni, eccetto quello del venerdì, quando i fratelli devono digiunare stando per terra; ma senza il permesso del maestro nessuno può far alzare da terra un fratello.

518. E quando i fratelli sono accampati e non mangiano nel refettorio, i fratelli penitenti devono mangiare nella tenda del maestro, se è presente nell’accampamento; e se la tenda del maestro non è stata piantata devono mangiare in quella del maresciallo; e se la tenda del maresciallo non è stata piantata devono mangiare in quella del commendatore della terra.

519. E i fratelli penitenti devono pranzare e cenare alla stessa ora del convento, tranne che nei giorni in cui devono digiunare e in quelli in cui il convento prende due pasti, poiché in quei giorni i fratelli penitenti non devono mangiare prima di nona. E i fratelli penitenti devono recarsi in refettorio per tempo e trovarsi al loro posto quando inizia la benedizione. E se un fratello penitente desidera bere a nona o a compieta, può bere come gli altri e avrà la stessa misura di vino dei fratelli che non sono in penitenza; ma durante i pasti deve bere il vino della servitù. E i fratelli penitenti devono bere in due da una coppa, a meno che uno dei due non sia un turcopolo; ma se uno dei due non regge il vino quanto l’altro, potrà essere data una coppa per ciascuno.

520. E se un fratello sopporta di buon grado la punizione per un periodo che appaia ragionevolmente lungo, o se mantiene una buona condotta, o un gentiluomo intercede in suo favore, o per qualunque altro buon motivo, colui che ha l’autorità per farlo, quando lo ritiene opportuno, può convocare i fratelli e dir loro: <<Signori, il tale fratello ha subito la punizione per un certo periodo, e mi pare opportuno farlo alzare, se a voi aggrada>>. E se la grazia è stata richiesta da un gentiluomo deve farne il nome. <<Tuttavia la giustizia della casa dipende sempre da Dio e da voi, fintantoché vi mantenete saldi in essa, Dio vi sosterrà; vi interpellerò e voi mi direte ciò che vi pare più opportuno>>. Quindi chiederà il parere di ognuno, a partire dai notabili e dai più sapienti; e la maggior parte è favorevole a farlo alzare, tutti devono inginocchiarsi e, prima che il fratello venga convocato, devono recitare una breve preghiera per lui, affinché Dio gli conceda la grazia di mai più peccare d’ora in poi.

521. E dopo che si sono alzati, colui che ha l’autorità per farlo convocherà il fratello e gli dirà davanti a tutti: <<Mio buon fratello, i fratelli si mostrano magnanimi con voi, poiché se lo avessero ritenuto opportuno avrebbero potuto tenervi a lungo in penitenza, secondo le usanze della casa, ma hanno deciso di farvi alzare ora da terra, e voi, per amor di Dio, guardatevi dal peccare, come se aveste subìto una più lunga penitenza>>. Allora il fratello liberato dalla penitenza deve rendere grazie a tutti i fratelli, e a partire da quel momento deve riprendere il proprio equipaggiamento e le altre sue cose e comportarsi come prima della punizione, e se può anche meglio. E se un fratello è levato da terra per l’intercessione di un valoroso cavaliere laico, o di un vescovo, o di qualche altro gran personaggio, gli può essere chiesto di andare a rendergli grazie; e sta al fratello decidere se farlo o meno, ma mi pare più onorevole non farlo.

522. Si rammenti però che né il maestro né nessun altro può cancellare la penitenza di un fratello, senza consultare gli altri; e se i fratelli sono d’accordo, venga fatto alzare, per amore di Dio, ma se tutti o la maggioranza dei fratelli non sono d’accordo, il fratello deve rimanere in penitenza finché piace a Dio e ai fratelli; e non può essere fatto alzare in alcun altro modo.

523. La settima è il venerdì e la punizione corporale; e il fratello condannato alla punizione del venerdì deve subire la punizione in quello stesso luogo, non appena colui che tiene capitolo gli ha comunicato la decisione dei fratelli, quindi può tornare al suo posto; ma se il fratello è infermo oppure si è nelle ottave di Natale, Pasqua o Pentecoste. Colui che tiene capitolo deve inviarlo dal fratello cappellano e il fratello cappellano deve infliggergli senz’altro la punizione. E se uno viene condannato dal capitolo alla punizione del venerdì, il primo venerdì deve digiunare a pane e acqua, se è in grado di farlo, e deve mangiare nel refettorio lo stesso pane che mangiano gli altri fratelli, tranne il venerdì delle ottave delle festività suddette; in tal caso digiunerà il venerdì successivo, se è in grado di farlo. E se si trova in un luogo diverso dal refettorio deve mangiare il pane e bere l’acqua nell’ora prescritta per i penitenti.

524. E se un fratello deve essere inviato dal cappellano, ma il cappellano non è presente, il fratello che ricopre la carica più elevata deve riunire i fratelli prima della funzione dell’ora prima e deve infliggere, davanti a loro, la punizione corporale al fratello condannato, quando quest’ultimo starà meglio. E il commendatore e tutti i fratelli presenti devono infliggere la punizione e dire il paternoster e seguire in tutto e per tutto la procedura precedentemente descritta, con la differenza che in questo caso il fratello deve digiunare solo il venerdì. E tutti sappiano che le punizioni inflitte dal maestro o da un altro fratello diverso dal cappellano devono essere inflitte davanti a tutti i fratelli, a meno che non siano destinate a un fratello affetto da una infermità nascosta; ma anche in questo caso, se il cappellano non è presente, la punizione può essere inflitta dal maestro o da un altro commendatore, purché in privato.

525. E alcuni ritengono che nessun prete secolare,il quale preti servizio nella casa per amore di carità, possa infliggere la punizione corporale a un fratello, a meno che non sia cappellano; per quanto ciò sia corretto, ci pare preferibile che la punizione venga inflitta dal maestro o da un altro commendatore, in privato, così come farebbe il cappellano, a meno che si tratti d’un cavaliere; la punizione che deve essere inflitta dal cappellano, in sua assenza, deve essere inflitta da un altro prete di pari dignità, in privato, dopo mattutino o nel momento che gli pare più opportuno.

526. L’ottava punizione è a giudizio del cappellano; e qualora il capitolo incarichi il cappellano di punire un fratello, questi deve sottomettersi alla giustizia del cappellano e fare, per quanto gli è possibile, ciò che il cappellano gli ordina; e se agirà altrimenti, non darà corso alla sentenza dei fratelli del convento.

527. La nona è quando un fratello viene deferito davanti al maestro o ad un altro dignitario della casa. E tutti i fratelli del Tempio devono sapere che quando la colpa sottoposta al giudizio del capitolo riguarda l’abito, oppure è inusitata, o particolarmente grave, o è tale che i fratelli siano incerti sulla procedura da seguire, allora devono sospendere la decisione e rimettersi al giudizio del maestro o di un altro dignitario della casa, il quale sia dotata dell’autorità e della competenza necessarie per affrontare il caso secondo la volontà di Dio e le usanze della casa.

328. E tutti sappiano che quando un fratello mantiene un comportamento abitualmente scorretto, deve essere deferito al maestro o ai dignitari della casa, anche per una lieve mancanza, in modo che più grande sia la sua vergogna e più profondo il suo pentimento e possa meglio rendersi conto della sua colpa. Poiché sia chiaro che spetta al maestro, prima che a chiunque altro, far rimarcare, soprattutto ai fratello stolti o avventati, le mancanze commesse, e dare il massimo peso anche alla colpa più lieve, aumentando la punizione fino a due giorni, con l’aggiunta del terzo; ma se uno non ha commesso mancanze che conducano alla perdita dell’abito, il maestro non deve infliggergli punizioni più gravi, né andare al di là dei propri poteri.

529. E quando la condanna di un fratello viene sospesa dai fratelli e quel fratello viene deferito davanti al maestro, egli deve chiedere perdono per le proprie colpe nel primo capitolo cui prenderanno parte sia lui sia il maestro. E tutti sappiano che dopo aver preso allo della mancanza del fratello, sia essa lieve o seria, il maestro deve farlo uscire dalla sala, poiché non può rimandarlo al suo posto senza che i fratelli si siano pronunciati: infatti è per loro volere che è stato deferito al maestro; e si potrà dare corso alla sentenza che hanno pronunciato solo quando la colpa del fratello sarà stata esaminata che colui davanti al quale l’hanno deferito, per poterlo giudicare.

530. E se la condanna di un fratello viene sospesa e quel fratello è deferito per una mancanza commessa nelle terre di Tripoli o Antiochia, davanti al gran commendatore di quella medesima regione, egli non può essere giudicato da un balivo del Tempio ma solo dal maestro, o da colui dinanzi al quale il fratello è stato deferito per volontà dei fratelli; e lo stesso vale per i fratelli deferiti ai balivi, i quali, per quanto riguarda la provincia loro affidata, svolgono le funzioni del maestro.

531. La decima è quando un fratello viene prosciolto; questa sentenza può essere pronunciata quando colui cui spetta di giudicare il fratello, o al quale il fratello ha chiesto perdono, ritiene che egli non abbia commesso alcuna mancanza, né piccola né grande. In tal caso non potrà essere prosciolto il fratello che l’aveva accusato, ma anzi dovrà essere inviato dal fratello cappellano, poiché nessuna colpa, grande o piccola che sia, deve rimanere impunita; ma si dovrà senz’altro assolvere colui che non risulta colpevole di alcuna mancanza, poiché non sarebbe cosa buona punirlo senza che abbia peccato, dal momento che è risultato innocente.

532. Dopo che i fratelli hanno fatto ammenda per i propri peccati nel modo suddetto, e i colpevoli sono stati puniti secondo le usanze dalla casa, e il capitolo è prossimo alla conclusione, prima di prendere congedo, il maestro, o colui che tiene capitolo, deve istruire i fratelli sul giusto modo di vivere; e deve esporre e spiegare loro una parte delle regole e delle consuetudini della casa, ed esortarli dal guardarsi dai cattivi pensieri e ancora più dalle cattive azioni e a comportarsi, nel cavalcare e nel parlare, nel giudicare e nel mangiare e in ogni altra attività, in modo da evitare eccessi e stravaganze, a tenere puliti e in ordine i capelli e l’abbigliamento, in modo che non vi sia alcun disordine.

533. Dopo aver istruito nel modo che egli ritiene più opportuno, prima di prendere congedo, il maestro può infliggere la punizione ai fratelli che l’hanno meritata, ma se vuole e se ha necessità di quei fratelli, può omettere di farlo; ma sia chiaro che la penitenza è comunque cosa assai buona.

534. E se intende infliggere la punizione ai fratelli, deve parlare in questo modo: <<Tutti coloro che devono subire tre punizioni o due>> o quante egli ritiene più opportuno <<si facciano avanti, se sono in grado di subire la punizione>>. E coloro che devono subire il numero di punizioni da lui indicato devono recarsi dinanzi a colui che tiene capitolo; e colui che tiene capitolo deve dire loro se giudica opportuno punirli tutti immediatamente o rimandare la punizione di alcuni, se sono troppo numerosi o se sono utili per il bene della casa, quindi ordina loro di andare a spogliarsi, ed essi devono obbedire. E quando si sono spogliati, nel modo previsto dalle usanze della casa, devono tornare davanti a colui che tiene capitolo e inginocchiarsi con umiltà e grande devozione; e subito il commendatore deve recitare insieme ai fratelli la preghiera, e infliggere le punizione corporale ai fratelli che sono in penitenza.

535. E se colui che tiene capitolo vuole trattenere tutti i fratelli che si sono fatti avanti per subire la punizione, può farlo; e se il commendatore della casa o un altro che ha autorità sui fratelli, dice a colui che tiene capitolo: <<Signore, per amor di Dio, vogliate rimandare la punizione del tale fratello, poiché mi è necessario per il bene della casa>>, colui che tiene capitolo può acconsentire alla richiesta, ma se lo ritiene opportuno può anche procedere alla punizione. E tutti sappiano che ciascuno deve fare ogni sforzo per il bene della casa, ma senza dannare la sua anima, per nessun motivo un fratello deve consapevolmente arrecare danno alla propria anima.

536. E tutti sappiano che in ogni caso coloro che devono subire più punizioni devono essere sempre puniti per primi, purché siano in buona salute; e dopo che il capitolo ha avuto inizio non si devono infliggere ulteriori punizioni, a meno che i fratelli non stabiliscano di procedere alla punizione subito dopo la lettura della sentenza, come si è detto più sopra.

537. E tutti sappiano che quando un fratello si reca oltremare, per ordine della casa, prima di radunare le sue cose, deve pregare il maresciallo, o colui che ne fa le veci, di convocare i fratelli; e quando i fratelli sono riuniti, colui che deve recarsi oltremare deve chiedere loro umilmente perdono, per amore di Dio e della Vergine, per qualunque mancanza commessa nei loro confronti, ed essi, per amore di Dio e in segno di carità, devono condonargli le penitenze che dovrebbero essergli inflitte, a causa dei pentimenti e dell’angoscia che dovrà sopportare durante la traversata e ovunque lo porti la sua missione: E gli anziani dicono che i fratelli possono e devono esonerare tale fratello dalle penitenze che gli spetterebbero; e aggiungono che egli è prosciolto da ogni penitenza, ma solo se i fratelli gli concedono il perdono.

538. E dopo che ha comminato le punizioni, nel modo suddetto, se non resta altro da dire o da fare, colui che tiene capitolo può congedare i fratelli dicendo: <<Signori, possiamo sciogliere il nostro capitolo, poiché per grazia di Dio, non vi è che bene; piace a Dio e alla Vergine che così facciamo, e il bene non potrà che crescere per ogni giorno di Nostro Signore>>. E deve aggiungere: <<Signori, amati fratelli, ben conoscete la clemenza del nostro capitolo, e di coloro che vi partecipano, e di coloro che non vi partecipano, e sapete che chi vive fuori della giustizia della casa, e non confessa le proprie colpe né fa ammenda nel modo prescritto, e chi si appropria delle elemosine della casa, o fa espellere qualcuno dalla casa, senza motivo, in mala fede e senza regione, non beneficerà della clemenza del capitolo né della carità della casa>>.

539. <<Ma coloro che confessano le proprie colpe, e non nascondono le proprie mancanze per vergogna o per paura della punizione, e coloro che sono sinceramente pentiti del male che hanno commesso, tutti hanno diritto alla clemenza del capitolo e alla carità della casa; e a costoro io concedo il perdono, per quanto mi riguarda, in nome di Dio e della Vergine, e dei santissimi Pietro e Paolo apostoli, e in nome del nostro Santo Padre, il papa, e in nome di tutti voi, che mi avete conferito l’autorità; e prego Dio affinché, per sua misericordia e per amore della sua dolce madre, e per i meriti suoi e di tutti i santi, perdoni i vostri peccati, così come Egli perdonò la gloriosa Santa Maria Maddalena>>.

540. <<Ed io, amati signori, chiedo perdono a voi tutti e a ciascuno di voi, affinché se ho fatto o detto qualcosa che non avrei dovuto fare o dire contro di voi, o se ho per caso suscitato la vostra collera, vogliate perdonarmi, per amore di Dio e della sua dolce madre; e perdonatevi l’un l’altro, per amore di Dio, affinché non restino fra di voi ira o astio>>. – E ciò conceda Nostro Signore per la sua misericordia, e i fratelli devono fare quanto viene loro chiesto e comandato.

541. Quindi deve proseguire dicendo: <<Signori, amati fratelli, dovete sapere che, ogni volta che sciogliamo il capitolo, dobbiamo pregare il Signore di concederci la pace>>. E deve iniziare a recitare la preghiera, dando ascolto all’ispirazione di Dio, e pregare in primo luogo per la pace della Chiesa, e per il santo Regno di Gerusalemme, e per la nostra casa, e per le altre case religiose, e per tutti gli uomini di religione, e per i confratelli e consorelle, e per tutti i benefattori della nostra casa, vivi o trapassati; e infine deve pregare per tutti coloro che hanno lasciato questo mondo e attendono la misericordia del Signore, e in particolare per coloro che riposano nei nostri cimiteri, e per le anime dei nostri padri e delle nostre madri, affinché il Signore, nella sua bontà, perdoni i loro peccati e conceda loro la pace. E queste preghiere dovranno sempre essere recitate alla fine del capitolo; e spetta a colui che tiene capitolo decidere se sia opportuno aggiungerne delle altre.

542. dopodiché, se è presente fra loro, il cappellano dovrà dire: <<Amati fratelli, rendete dopo di me la vostra confessione>>. Ed essi dovranno dire quello che il cappellano insegnerà loro; e dopo che ognuno avrà reso la propria confessione, il cappellano concederà l’assoluzione a tutti i fratelli, secondo la sua volontà e in base alle usanze della casa. Poiché sappiate che il fratello cappellano ha ricevuto dal Santo Padre la grande autorità di assolvere i fratelli, sempre in base al genere e alla gravità dei loro peccati. Ma se il cappellano non è presente fra loro, dopo la preghiera, ciascun fratello reciterà un paternoster e un’avemaria.

543. Abbiamo già detto in che modo debbano essere recitate le preghiere durante il capitolo e in che modo i fratelli debbano comportarsi mentre le recitano, ovvero quando debbano inginocchiarsi e prosternarsi: per tale motivo, d’ora in avanti, non ne diremo oltre.

Altri particolari sulle punizioni

Cose che conducono all’espulsione perpetua

544. La prima cosa che può portare all’espulsione perpetua di un fratello dalla casa è la simonia, poiché chi entra nella casa mediante simonia non può salvare la propria anima e perde la casa; e colui che lo accoglie perde il proprio abito. Commette simonia chi fa doni o promesse ai fratelli del Tempio o ad altra persona, affinché lo aiutino ad entrare nella casa.

545. Avvenne così, durante il magistero di Armando di Périgord, che alcuni onorati fratelli, esaminando la loro coscienza e consultandosi con i fratelli più saggi, si avvidero di essere entrati nell’Ordine mediante simonia. In preda allo sconforto, si recarono dinanzi al maestro Armando di Périgord e gli rivelarono quanto avevano scoperto, fra le lacrime e con il cuore gonfio d’angoscia. E detto maestro fu preso da grande imbarazzo, poiché si trattava di gentiluomini che vivevano nella rettitudine, nella devozione e nella purezza. Allora riunì segretamente gli anziani e i sapienti della casa, e i fratelli più esperti nella materia, e ordinò loro, in virtù dell’obbedienza che gli dovevano, di non far parola con nessuno della cosa e di consigliarlo in buona fede e per il bene della casa.

546. Ed essi gli fecero presente che se uomini tanto saggi e valorosi fossero stati espulsi, ne sarebbe nato un grande scandalo, con grave danno per la casa. Decisero quindi di non procedere oltre e inviarono un fratello a Roma dal papa per metterlo al corrente della questione, e supplicarlo di affidarla all’arcivescovo di Cesarea, il quale era un amico fidato della casa. E il papa accolse di buon grado la richiesta e consegnò all’inviato della casa alcune missive.

547. Quando il maestro ebbe fra le mani le lettere del papa, le inoltrò all’arcivescovo di Cesarea insieme ai fratelli colpevoli di simonia, e insieme a loro andarono anche una parte dei fratelli del consiglio ristretto; e nominò uno di loro commendatore e gli conferì l’autorità di assegnare l’abito, con il consenso dei colleghi. E quando furono dinanzi all’arcivescovo gli consegnarono la lettera del papa; e nella lettera il pontefice invitava l’arcivescovo ad assolvere i fratelli secondo la procedura prevista per il peccato di simonia; e per prima cosa fu ritenuto opportuno privarli dell’abito.

548. Così i fratelli rimisero i loro abiti nelle mani del commendatore. E l’arcivescovo li assolse, e il commendatore e gli altri fratelli del consiglio entrarono in una stanza e si riunirono in capitolo. I fratelli che avevano restituito l’abito si presentarono dinanzi a loro e chiesero di essere riammessi nella casa, per amore di Dio e della Vergine; e il commendatore li fece uscire dalla sala e, dopo aver sentito i fratelli del consiglio, accettò la richiesta da loro avanzata e caldeggiata dall’arcivescovo. E li fece di nuovo fratelli, come se non lo fossero mai stati.

549. Fu seguita questa procedura perché essi erano da lungo tempo fratelli della casa, ed erano saggi e valorosi e vivevano con rettitudine e devozione; e in seguito uno di loro divenne maestro del Tempio. – Questa vicenda mi è stata narrata da anziani dignitari che ne furono testimoni, e l’ho conosciuta solamente attraverso le loro parole. E se quei fratelli fossero stati malvagi, non sarebbero stati trattati con tanta bontà. E la medesima cosa accadde in seguito ad un gentiluomo della casa, in ragione della sua bontà.

550. La seconda è quando un fratello rivela i lavori del capitolo a un fratello del Tempio o a chiunque non abbia preso parte al capitolo. Si può tuttavia citare un’accusa giudicata in capitolo, ma senza fare il nome di alcun fratello; se uno fa il nome dell’accusato o dell’accusatore, sarà espulso dalla casa; ma se si tratta di fratelli morti o espulsi dalla casa, se ne potrà fare il nome senza che ne derivi alcun danno. E quando il capitolo procede all’elezione del balivo, le preferenze espresse dai diversi fratelli non si devono risapere, poiché la rivelazione delle decisioni segrete del capitolo potrebbe causare aspri rancori.

551. E il segreto deve coprire anche le riunioni del consiglio privato del maestro, laddove si decida la nomina di un balivo; ma possono essere nominati i gentiluomini che hanno preso la parola, purché la discussione non riguardi la colpevolezza di un fratello. Ma se una cosa nuova viene fatta in capitolo e il maestro la viene a sapere, il maestro deve dire in capitolo: <<Ho saputo che si è verificata tale cosa nuova e vi ordino che queste cose vengano spiegate>>. E in questo modo può essere riferito; tuttavia neppure il maestro può farsi dire fuori dal capitolo quanto è avvenuto nel capitolo, ma può ordinarlo in capitolo e si può far dire se vi sono state cose nuove.

552. E avvenne a Château Pèlerin che il fratello Pietro di Montagu, che era maestro del Tempio, aveva punito dei fratelli e si era quindi recato ad Acri. Durante la sua assenza i fratelli del castello fecero alzare da terra i fratelli puniti e quando il maestro ne fu informato, tornò indietro e riunì il capitolo e accusò tutti i fratelli che avevano concesso la grazia ai penitenti, ed essi furono giudicati colpevoli di una grave mancanza, in quanto non avevano l’autorità per levare da terra i fratelli puniti dal maestro.

553. La terza è se un fratello uccide un cristiano o una cristiana o la fa uccidere: venga espulso dalla casa.

554. Avvenne ad Antiochia che un fratello di nome Paride e due altri fratelli che erano con lui, fecero uccidere alcuni mercanti cristiani; quando la cosa si riseppe, fu chiesto ai fratelli perché l’avessero fatto e i fratelli risposero di aver ceduto al peccato. E il commendatore impose loro di chiedere pietà e li deferì davanti al capitolo; e furono condannati a lasciare la casa e ad essere flagellati nelle strade di Antiochia, Tripoli, Tiro e Acri. E mentre li flagellavano si gridava: <<Guardate in che modo la casa del Tempio punisce i fratelli malvagi>>; dopodiché vennero rinchiusi per sempre nelle segrete di Château Pèlerin, e vi rimasero fino alla morte. Ed anche ad Acri accadde ad un fratello una sciagura simile.

555. La quarta è il ladrocinio che può essere intaso in svariati modi: ladro è chi ruba, ma anche chi lascia un castello o una fortezza, di notte o di giorno, senza passare dal portone principale, come è prescritto, ma in qualunque altro modo. Oppure chi ruba le chiavi del portone o ne fa dei duplicati; poiché nessun fratello può aprire il portone se non nei casi previsti dalle usanze della casa. E qualora il commendatore chieda ad un sergente posto ai suoi ordini di mostrargli le cose di cui è responsabile, il sergente deve mostrarle senz’altro o indicare il luogo in cui sono riposte, e se non lo fa e tiene per sé più di quattro denari deve essere espulso dalla casa.

556. E avvenne a Château Blanc che il fratello responsabile dell’ovile, essendogli stato ordinato dal commendatore di mostrargli ogni cosa, gli mostrò tutto tranne che un orcio di burro, e disse di non avere nient’altro. Ma il commendatore sapeva dell’esistenza dell’orcio e il fratello fu costretto ad ammettere di aver mentito; e a causa di ciò fu espulso dalla casa.

557. Se un fratello, in un moto di collera, esce dal convento portando con sé cose che non è consentito prendere, deve essere espulso dalla casa, poiché è un ladro. – E tutti i fratelli del Tempio che lasciano la casa devono sapere che non possono portare con sé due pezzi di ogni capo di vestiario. E non devono portare fuori né oro né argento né cavalli né alcuna armatura, come il cappello di ferro, l’usbergo, la calzamaglia, la balestra, la spada, il pugnale, la cotta di maglia di ferro, gli spallacci, la mazza, la lancia e le armi turche. In breve, chi porti con sé qualunque parte dell’armatura, a causa di ciò, verrà espulso dalla casa.

558. Queste sono le cose che un fratello può invece portare con sé: una cotta e una casacca, foderata di pelliccia, una tunica e una camicia e un paio di brache, un paio di calze e un paio di calzari, o la calzamaglia senza il piede, una cappuccio e una calotta, una cintura e un coltello per tagliare il pane; e fra teli cose andranno incluse quelle che si indossano per la funzione dell’ora prima. Può portare la cappa o il mantello, ma se un fratello riceve l’ordine di restituire il mantello deve obbedire, pena l’espulsione dalla casa; e anche se non gli viene chiesto deve restituirlo alla casa, poiché se lo tiene per più di due notti verrà in ogni modo espulso dalla casa: Infatti vi furono fratelli che abbandonarono la casa portando con sé il mantello del Tempio in postriboli e taverne e in altri luoghi di perdizione, o se lo giocarono, o lo vendettero a malfattori, con grave danno ed infamie e scandalo per la casa: è per tale motivo che il convento e i gentiluomini della casa hanno voluto riconoscere al mantello un valore più grande dei calzari, del pugnale e della mazza; infatti, se chi porta l’abito perdesse una di tali cose, sarebbe espulso dalla casa.

559. Con tutto ciò non bisognerà infrangere la norma secondo la quale chi trascorre due notti fuori della casa, riavrà l’abito dopo un anno e un giorno. Infatti se colui cui spetta di giudicare procede all’espulsione di un fratello che torna nel convento, o vi fa portare il proprio mantello, dopo l’ora prima, o, a maggior ragione, dopo un giorno o dopo i vespri, viola la prima legge, che nessuno può ignorare fintantoché il convento non li annulli. Tuttavia, secondo quanto ci dato di capire, chi tiene il mantello per due notti e per tutto il giorno successivo, fin dopo compieta, anche se poi ritorna in convento o vi fa riportare l’abito, può essere condannato a lasciare la casa per sempre; infatti in tal caso si può dire che la ha tenuto fuori due notti e un intero giorno. Così si potrà salvare la propria coscienza e la prima legge non sarà stata violata; ma si tratta di una questione che non è chiara e non lo è mai stata, per cui ciascuno segue i dettami della propria coscienza. L’opinione che abbiamo riferito non è la nostra, anche perché quel che sappiamo non ci consente di pronunciarci con certezza; quanto abbiamo detto più sopra ci è stato riportato dagli anziani della casa; in ogni caso ognuno è responsabile della propria coscienza.

560. Un fratello di nome Ugo si congedò dalla casa di Acri, restituendo ogni cosa tranne il mantello, che tenne per due notti, e il giorno seguente lo fece restituire al convento; poco tempo dopo si pentì e venne a chiedere perdono dinanzi alla porta, come è prescritto dalle usanze della casa, e i fratelli lo condannarono all’espulsione. E alcuni fratelli dissero che non era giusto, perché non aveva tenuto il mantello troppo a lungo. Tuttavia non furono in grado di dire per quanto tempo avrebbe potuto tenerlo. Così fu giudicato colpevole, poiché nessuno fu in grado di stabilire con precisione a quale ora avesse restituito il mantello; e a causa di ciò la maggior parte dei fratelli stabilì che non gli fosse consentito di rientrare nella casa, poiché aveva tenuto il mantello più a lungo di quanto non sia consentito, aveva trascorso due notti fuori ed era impossibile stabilire il momento esatto in cui aveva restituito il mantello. Ma sia chiaro che non di rado in casi di questo genere ci si è dovuti pentire delle decisioni prese. E nei casi controversi non è opportuno aderire rigidamente alla legge, ma attenersi piuttosto al giudizio del maestro e del convento.

561. Accadde che un fratello si congedò dalla casa di Château Pèlerin, restituendo per intero il proprio equipaggiamento, ma poco dopo tornò a chiedere perdono dinanzi al portone; e fu interrogato dal maestro, e alcuni fratelli lo accusarono di aver portato con sé parecchie cose di proprietà della casa, e siccome non furono ritrovate fu espulso per sempre dalla casa. E quando un fratello lascia la casa la parola di qualunque altro fratello si può levare contro di lui, soprattutto quando vi è chi perde parte del proprio equipaggiamento per colpa del fratello che ha lasciato la casa.

562. Un fratello si congedò dalla casa di Alba e si recò a Crac, e durante il viaggio perse l’arco che aveva portato con sé; un sergente lo trovò e lo riconsegnò al proprio commendatore; interrogato il fratello disse di aver lasciato una spada al posto dell’arco, ma il commendatore non ne trovò traccia; poi il fratello tornò nella casa e chiese perdono, e fu deferito davanti al maestro e al convento, e fu chiamato a presentarsi dinanzi al capitolo generale e implorò clemenza. E dal momento che era costato alla casa la perdita di una spada e di un arco – infatti non era stato lui a recuperarlo – i fratelli decisero che, a causa di ciascuna mancanza, fosse espulso per sempre dalla casa.

563. Mentre si recava via mare da Tripoli a Berito, un fratello cappellano cadde malato e morì prima che giungere a destinazione; e quando il commendatore seppe che era giunto in porto, andò a cercarlo e dette disposizioni per la sua sepoltura. E lo fece rivestire con un vecchio abito e ne prese uno per sé fra quelli che trovò nelle sue bisacce; quindi fece inviare al maestro tutte le cose del cappellano, ad eccezione di una spada. Quando, in seguito, gli venne detto che non avrebbe dovuto (era infatti un uomo semplice), chiese perdono al maestro. E dal momento che il commendatore poco sapeva delle usanze della casa e aveva agito in buona fede, senza peraltro nuocere alla casa, il maestro chiese ai gentiluomini del suo convento di occuparsi della cosa in modo che non andasse avanti, poiché se fosse andata avanti il commendatore sarebbe stato espulso: poiché quando un cappellano muore da questa parte del mare, i suoi libri e suoi preziosi devono essere consegnati al maestro, mentre le sue vesti da giorno e da notte e le armature devono andare dove devono andare; e se un cappellano nuore oltremare le sue cose devono essere consegnate al commendatore del convento in cui si trova. E se un fratello prende una delle cose suddette, deve essere considerato un ladro.

564. Se un fratello spezza una chiave o forza un serratura di cui non è responsabile e prende qualunque cosa, senza il permesso del responsabile, e può essere provato che ha preso quelle cose, sarà considerato un ladro.

565. Se un fratello dichiara di aver perduto qualcosa e può dimostrarlo, e può dimostrare che un altro ha frugato nelle sue bisacce, quest’ultimo sarà considerato come un ladro.

566. Se alla morte di un fratello del convento viene rinvenuto oro o argento nelle sue bisacce o nel suo equipaggiamento, oppure se si scopre che ha fatto uscire qualcosa dalla casa o l’ha nascosta senza il permesso del responsabile,e prima di morire non lo ha confessato al proprio commendatore o a un altro fratello, non dovrà essere sepolto nel cimitero, ma dato in pasto ai cani; e se è già stato sepolto il suo cadavere dovrà essere riesumato, come è già avvenuto più di una volta in passato.

567. La quinta cosa è la comunella, che è fatta da due o più fratelli. Se due fratelli si accordano per picchiare un altro fratello, o per accusarlo falsamente, e risultano colpevoli di averlo fatto di comune accordo, saranno condannati per aver fatto comunella ed espulsi dal convento.

568. La sesta è se un fratello lascia la casa per passare ai saraceni: sarà espulso per sempre dalla casa.

569. Accadde che il fratello Ruggero l’Alemanno fu fatto prigioniero a Gaza, e i saraceni lo indussero a fare abiura, alzando il dito e prestando giuramento; poi chiese perdono ai fratelli che erano stati presi con lui affermando di non sapere cosa gli avevano fatto giurare; quando fu liberato fu deferito davanti al maestro e al convento e fece appello al capitolo generale e implorò clemenza, ma fu ugualmente espulso dalla casa.

570. E a Saphet un fratello che lavorava nella fonderia uscì dal castello con il proprio equipaggiamento, con l’intenzione di lasciare la casa e si rifugiò per la notte in un casale degli Alemanni, che era stato occupato dai saraceni; il giorno dopo si pentì e si recò ad Acri dopo la funzione dell’ora prima, venne direttamente alla nostra casa e al primo capitolo chiese perdono ai fratelli. Ma i fratelli lo condannarono alla perdita dell’abito, poiché, si disse, aveva trascorso una notte con i saraceni; ma se il casale non fosse appartenuto ai cristiani e il balivo non fosse stato cristiano, sarebbe stato espulso dalla casa.

571. La settima è se un fratello ha scarsa fede e non crede nella parola di Gesù Cristo.

572. L’ottava è se un fratello pecca contro natura e contro la legge del Signore: sarà espulso per sempre dalla casa.

573. A Château Pèlerin vi erano fratelli che praticavano l’immondo peccato e durante la notte mangiavano nel dormitorio; furono visti da alcuni che ne rimasero profondamente turbati e riferirono l’accaduto al maestro e a un parte dei gentiluomini del convento. E il maestro fu dell’avviso di non portare la cosa in capitolo, poiché si trattava di una colpa troppo ignobile, e convocò i fratelli di Acri; e quando essi giunsero li inviò nel dormitorio insieme ad altri fratelli e a un dignitario ed essi tolsero l’abito ai fratelli malvagi e li incatenarono con pesanti catene. Ma uno di loro, di nome Luca, riuscì a fuggire nottetempo e passò ai saraceni. Gli altri due furono inviati a Château Pèlerin e imprigionati; uno tentò di evadere, e morì, mentre l’altro rimase a lungo in prigionia.

574. La nona è se un fratello abbandona il gonfalone e fugge, per paura dei saraceni: sarà espulso per sempre dalla casa. Alcuni degli anziani dicono che deve essere espulso dalla casa chi abbandona il proprio commendatore durante la battaglia e fugge per la paura dei saraceni, che se si tratta di un commendatore che non porta il gonfalone. Poiché, altri dicono, se uno è disposto ad abbandonare il proprio commendatore non esiterà certo ad abbandonare il gonfalone, per cui dovrà essere a ragione espulso dalla casa.

575. Se alcuni cavalieri vanno al servizio della casa e non hanno alcun commendatore, in un frangente pericoloso a causa delle insidie dei saraceni, possono eleggere uno fra loro commendatore, dopodiché devono obbedirgli e proteggerlo in battaglia con se fosse stato nominato dei superiori.

576. Al tempo dell’invasione dei Tartari, il maestro, su consiglio dei dignitari, inviò dodici fratelli a Gerusalemme. E quattro di loro lasciarono la città e non vi si trattennero. Poiché aveva saputo che erano in pericolo, il maestro inviò al commendatore a agli altri fratelli una lettera con l’ordine di ripiegare su Giaffa, in modo da essere al riparo dalle insidie dei Tartari. Il commendatore dei cavalieri però non lo volle fare; al che i quattro fratelli si recarono da lui e lo invitarono a dare corso agli ordini del maestro, ma egli affermò che non se ne sarebbe andato senza i fratelli dell’Ospedale che si erano uniti al drappello. Allora i quattro fratelli chiesero al commendatore che ordinasse loro di restare con lui, ma il commendatore rifiutò di farlo. Al che il più anziano della casa osservò che avrebbero potuto andarsene, dal momento in cui era stato il maestro ad ordinarlo, senza temere la giustizia della casa, poiché non avrebbero commesso alcuna mancanza: i quattro tornarono dunque dal maestro e quando furono davanti a lui chiesero perdono da questo per loro spontanea volontà.

577. E alcuni affermarono che avrebbero dovuto essere espulsi dalla casa, poiché avevano abbandonato il loro commendatore e il gonfalone alle insidie dei saraceni. Ma la maggioranza decise che il fratello anziano aveva avuto ragione nel dire che non avrebbero arrecato alcun danno alla casa facendo ritorno al convento; infatti il maestro aveva ordinato al commendatore e a tutti i fratelli di tornare indietro e il commendatore non aveva voluto ordinare loro di restare con lui; se non avessero ricevuto la lettera o avessero agito senza criterio, avrebbero dovuto essere espulsi dalla casa. Un dei quattro disse di essere stato autorizzato a tornare quando gli aggradava, e il maestro confermò le sue parole; gli altri furono privati dell’abito, poiché non avevano aspettato il loro commendatore. E quello che aveva preso la decisione fu punito con un giorno.

578. Quando Dio chiama a sé uno dei commendatori delle province, colui che prende il suo posto deve prendere possesso del suo equipaggiamento, avvalendosi dei consigli dei gentiluomini della casa che sono al suo fianco, e sigillare le bisacce con i sigilli dei commendatori della casa. E il sigillo del commendatore defunto deve essere riposto in una delle bisacce, poiché le stesse devono essere inviate al maestro, insieme allo scrigno, anch’esso sigillato, che contiene i gioielli, l’oro e l’argento del defunto; occorre informare il maestro che il suo ordine è stato eseguito, poiché le cose suddette devono giungere intatte nelle mani del maestro, senza togliere nulla. Ma i cavalli e gli abiti da giorno e da notte, e le armature rimangono a disposizione del nuovo commendatore; ed egli non deve tenere nient’altro per sé, pena l’espulsione.

579. E, allo stesso modo, se un fratello visitatore mentre si trova in missione al di là del mare, per conto del maestro e del convento, i gioielli di piccole dimensioni che aveva con sé dovranno essere riposti, insieme al sigillo, nelle sue bisacce sulle quali si dovrà apporre il sigillo del commendatore e degli altri dignitari, dopodiché dovranno essere inviate al maestro. E tutte le altre cose, l’oro e l’argento e quanto si trova nel suo altarino e anche i cavalli, devono essere restituiti al maestro nelle terre al di qua del mare. Poiché, in breve, tutte quelle cose appartengono al maestro e al convento, tranne gli abiti da giorno e da notte, i quali possono essere donati ai poveri, per amore di Dio.

580. Avvenne che il fratello Martino Sanchez, commendatore del Portogallo, morì mentre era al di fuori dal suo baliato. Il suo sostituto prese alcune delle sue cose e le donò di sua iniziativa, nella convinzione di agire per il bene del Tempio; quel fratello era da poco entrato a fra parte del nostro Ordine e non sapeva della proibizione. Quando il maestro ne fu informato, lo mandò a chiamare e lo invitò a fare ammenda; e siccome non era a conoscenza delle usanze della casa, il maestro, sentito il parere di un largo numero di dignitari, decise di non procedere oltre contro di lui, poiché aveva una scarsa conoscenza delle norme della casa.

581. Solo in punto di morte, il commendatore di una provincia deve indicare il nome del suo sostituto. E quando Dio lo chiama a sé, quello che ha preso il suo posto deve comunicare ai commendatori delle altre provincie dell’avvenuto decesso del proprio commendatore; es essi devono recarsi in quella provincia ed eleggere fra loro un gran commendatore, nel luogo e nel giorno indicato dal sostituto del commendatore defunto. E il sostituto deve essere in grado di dimostrare ai commendatori e al gran commendatore di essere stato prescelto come sostituto dal commendatore defunto, fino a quando il maestro non avrà presa la sua decisione; e deve informare il maestro della morte del proprio commendatore e fare tutte le cose suddette.

582. Avvenne infatti che, essendo malato, Guglielmo Fouque, commendatore della Spagna, aveva scelto come proprio sostituto un fratello Adamo. In seguito qualcuno gli fece notare che aveva fatto male a non scegliere il fratello Raimondo di Lunel; ed egli esclamò: <<In nome di Dio, lascio il mio posto a lui!>> e spirò. Allora fratello Adamo affermò di essere il sostituto del commendatore, ma fratello Raimondo di Lunel disse che la carica spettava a lui, e ne sorse una disputa; i fratelli di Castiglia e Leòn presero le parti di Adamo, mente quelli del Portogallo sostennero Raimondo di Lunel; e ognuno se ne andò per la sua contrada, e ognuno dei due teneva capitolo e nominava balivi ed esercitava tutte le funzioni che spettano a chi prenda il posto di un commendatore.

583. Quando ne fu informato, il maestro inviò in Spagna un commendatore e convocò i due fratelli in Terrasanta; ed essi vennero a chiedere perdono per l’accaduto davanti al maestro e al convento. Ed il maestro e il convento presero atto della loro espulsione da parte del capitolo, ma la sentenza non fu eseguita poiché erano due uomini onorati che vivevano nella rettitudine e nella devozione, e anche perché il caso era senza precedenti. Nel frattempo a Gaza i cristiani davano battaglia ai saraceni e i nostri si trovavano ad Ascalona. Dopo mattutino, il maestro riunì i fratelli e sottopose al loro giudizio il caso dei due gentiluomini; e i due fratelli furono senz’altro perdonati. Ma sia chiaro che erano stati giustamente espulsi dalla casa in conformità alle nostre leggi, poiché si erano attribuiti un’autorità cui non avevano diritto. E i dignitari della casa dissero che quanti li avevano sostenuti avrebbero potuto essere accusati di aver fatto comunella.

584. La decima è se un fratello che è entrato nella casa in veste di laico prende gli ordini religiosi senza l’autorizzazione del dignitario competente: sarà espulso dalla casa. E se è stato ordinato sotto-diacono o qualcosa di più elevato e, al momento di entrare nella casa, non lo dichiara, qualora venga scoperto verrà espulso dalla casa.

585. Infatti il commendatore di Francia inviò da questa parte del mare un fratello del suo baliato che si era fatto ordinare sotto-diacono; e quel fratello si presentò dinanzi al capitolo generale di Cesarea. E insieme a numerosi altri gentiluomini erano presenti nel capitolo fratello Giraldo di Braies e fratello Ugo di Monlo e molti altri fratelli anziani, e lo condannarono all’espulsione perpetua poiché si era fatto ordinare senza permesso.

586. Per ognuna delle cose suddette si può essere espulsi dall’Ordine, ma ce ne sono altre.

Vi era con noi un certo fratello cavaliere, e alcuni fratelli suoi conterranei affermarono che non era né figlio né discendente di cavalieri, e le loro affermazioni erano tanto gravi per la casa che si stabilì di portare la questione davanti al capitolo. E quegli stessi fratelli si dissero certi di poter provare la sua colpevolezza se fosse stato presente; così lo si mandò a chiamare, poiché si trovava ad Antiochia. E quando si trovò dinanzi al maestro e al capitolo, si alzò e disse di aver ciò che si diceva sul suo conto. E il maestro ordinò a coloro che lo avevano accusato di alzarsi, ed essi dichiararono e poterono provare che non era figlio né discendente di cavalieri: così gli fu tolto il mantello bianco, gli fu dato un mantello bruno e divenne cappellano. Colui che gli aveva tolto l’abito da cavaliere era oltremare, quando tornò chiese perdono per quello che aveva fatto e affermò di aver agito in conformità alla disposizioni del commendatore del Poitu, il quale era deceduto, il che risultò vero. Ma se non fosse stato in grado di provare che aveva agito per ordine altrui, e se, oltre a ciò, non si fosse sempre comportato rettamente nel proprio baliato e non fosse stato un uomo onorato, avrebbe perduto l’abito, poiché nessuno può assegnare l’abito a chi non sia degno di riceverlo; e nessun sergente può vestire il mantello bianco. E ciò vale anche per il maestro, se incorre in un errore del genere.

Queste sono le cose che possono portare i fratelli a perdere l’abito dal che Dio li salvi

587. La prima è se un fratello rifiuta di eseguire gli ordini della casa e persiste nella propria indisciplina e non esegue gli ordini assegnatili: venga privato dell’abito e messo in catene. Ma sarebbe troppo severo dar subito corso alla punizione, per cui si dovrà aspettare che la sua ira si plachi, dopodiché qualcuno dovrà dirgli quietamente: <<Fratello, eseguite l’ordine della casa>>; infatti tale comportamento è più prossima alla carità divina. E se il fratello obbedisce, in nome di Dio, e non è derivato alcun danno per la casa, spetta ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito. Ad un ordine della casa non si deve rispondere <<No>>, ma piuttosto <<In nome di Dio>>, e chi non lo fa può essere privato dell’abito e trattato nel modo suddetto.

588. Avvenne a Tortosa che un commendatore dette un ordine a un fratello e questi rispose: <<Forse lo farò>>. Il commendatore riunì il capitolo e gli intimò di chiedere perdono ed egli disse che avrebbe eseguito l’ordine; ma i fratelli non poterono esimersi dal togliergli l’abito, poiché non aveva obbedito immediatamente.

589. La seconda è se un fratello, in un moto di collera, alza le mani su un altro fratello e lo fa vacillare, o gli strappa i lacci dell’abito: venga privato dell’abito. E se gli assesta un colpo forte o rovinoso, dovrà essere messo in catene; e dopo che un fratello è stato messo anche una sola volta in catene, non può più reggere il gonfalone bicolore né partecipare all’elezione del maestro. E prima che abbia chiesto perdono per la propria colpa deve essere assolto. Ed anche se ha colpito un uomo di religione o un chierico deve essere assolto prima che la sua colpa possa essere esaminata.

590. La terza è se uno colpisce un cristiano o una cristiana con un oggetto aguzzo, con una pietra, con un bastone, o con qualunque altra cosa in modo tale da poterlo uccidere o ferire: spetta ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito.

591. Avvenne ad Acri che due chierici presero alcune colombe dorate che appartenevano alla colombaia della casa, e il fratello Ermanno, commendatore del bestiame, intimò loro di non farlo mai più, ma i due chierici non le vollero lasciare. Allora Ermanno pose un fratello a sorvegliare la colombaia e quando li sorpresero di nuovo li presero a bastonate, ferendone uno alla testa. I chierici si appellarono al legato pontificio e questi informò il maestro; il maestro in un primo momento li assolse, ma poi fece chiedere loro perdono dinanzi al capitolo, il quale li privò dell’abito, li fece mettere in catene e li trasferì a Cipro, poiché avevano colpito il chierico molto duramente.

592. Una volta nel convento di Giaffa venne dato l’ordine di alzarsi e preparare i bagagli verso mezzanotte; in un dormitorio uno dei fratelli venne a male parole con un altro, lo prese per i capelli e lo gettò a terra; ma fu visto da alcuni. Il giorno seguente i fratelli giunsero ad Arsuf e colà furono celebrate la messa e le ore. Il fratello Ugo di Monlo, che era maresciallo, venne informato di quanto era avvenuto; decise di tenere capitolo nella cappella e, fra la meraviglia di molti, espose quanto gli era stato raccontato. Uno dei fratelli si alzò e confermò di essere stato colpito e disse che alcuni avevano visto. Allora il maresciallo li esortò a farsi avanti.

593. E il fratello che aveva commesso il fatto si alzò e chiese perdono, e fu subito mandato fuori con il cappellano per ricevere l’assoluzione; dopodiché tornò davanti al capitolo e il cappellano affermò di avergli impartito l’assoluzione. Quindi dovette chiedere nuovamente perdono e fu nuovamente allontanato dal capitolo; e fu condannato alla perdita dell’abito e messo in catene. Ma gli anziani ne discussero a lungo, poiché il colpo non era stato assestato con forza e non vi era stato spargimento di sangue; e tuttavia si sottolineò che aveva alzato le mani su un fratello, in un moto di collera, per cui la decisione del capitolo era legittima, e fratello Ugo di Monlo affermò che era conforme alle usanze della casa; e la maggioranza si disse d’accordo con lui, per cui l’accusato fu messo in catene e trasferito a Château Pèlerin.

594. La quarta è se un fratello risulta colpevole di aver giaciuto con una donna, e noi riteniamo colpevole il fratello che viene trovato in un luogo di malaffare o in un postribolo, con una peccatrice, non può tenere l’abito e deve essere messo in catene, né potrà mai più reggere il gonfalone bicolore o partecipare all’elezione del maestro; ed è già avvenuto diverse volte in passato.

595. La quinta è se un fratello accusa un altro di una colpa che potrebbe condurlo all’espulsione dalla casa, ma non è in grado di addurre alcuna prova a sostegno dell’accusa: venga privato dell’abito; tuttavia se chiede perdono in capitolo e ritira l’accusa i fratelli possono decidere di lasciarli l’abito o meno.

La sesta è se un fratello, pur non avendo ottenuto il permesso di lasciare la casa o di passare ad un altro Ordine, dichiara di essere intenzionato a lasciare la casa: spetta ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito.

La settima è se un fratello accusa se stesso per una colpa non commessa per poter lasciare la casa: l’abito gli verrà tolto.

596. L’ottava è se un fratello manifesta l’intenzione di passare ai saraceni, anche se lo fa in preda alla collera: spetta ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito.

La nona è se un fratello fa morire o smarrisce o ferisce un cavallo o un mulo, a causa della propria negligenza: spetta ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito.

La decima è se un fratello si appropria dei possedimenti di un laico o di un altro che non fa parte della casa, e dichiara, contro verità, che detti possedimenti appartengono alla casa del Tempio, cosicché i signori delle terre e dei mari perdoni i diritti e i pedaggi derivanti da quei possedimenti: dipende dalla misericordia di Dio e dei fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito.

L’undicesima mancanza è se un fratello che non ha l’autorità per farlo dà via un animale a quattro zampe, a meno che non sia un cane o un gatto: spetta ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito.

597. La dodicesima è se un fratello uccide o ferisce uno schiavo, o lo perde a causa della propria negligenza: spetta ai fratelli decidere le privarlo o meno dell’abito.

La tredicesima è se un fratello costruisce una nuova casa di pietra e calce, senza il permesso del maestro o del proprio commendatore: spetta ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito; tuttavia non occorre nessun permesso per riparare altre case che si trovino in cattive condizioni.

La quattordicesima è se un fratello assegna l’abito della casa a uno che non ne abbia diritto, o non ne sia degno, sarà privato dell’abito.

598. La quindicesima è se un fratello dà in prestito elemosine della casa in modo che la casa rischi di perderle: non può tenere l’abito.

La sedicesima è se un fratello spezza il sigillo del maestro o di chi ne fa le veci senza essere stato autorizzato a farlo: non può tenere l’abito.

La diciassettesima è se un fratello che non ha l’autorità per farlo fa sono delle elemosine della casa a un laico o a chiunque non appartenga alla casa: non può tenere l’abito.

La diciottesima è se un fratello entra in possesso in modo scorretto delle rendite di un laico e afferma che esse appartengono alla casa, e in seguito risulta colpevole di aver mentito: non può tenere l’abito.

La diciannovesima è se un fratello prende qualcosa da un laico con l’intenzione di aiutarlo a diventare fratello del Tempio: non può tenere l’abito, in quanto ha commesso simonia.

599. La ventesima è quando un fratello rifiuta ad un altro, che venga o vada, il pane e l’acqua del convento, non consentendogli di mangiare con gli altri fratelli: non può tenere l’abito, poiché ogni fratello ha diritto al pane e all’acqua del convento, e nessuno può negarglieli, a meno che questo fratello non abbia commesso un grave peccato.

La ventunesima è se un fratello spezza una serratura senza essere stato autorizzato a farlo, ma non ne derivi alcun danno per la casa: spetta ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito.

600. La ventiduesima è se un fratello presta, senza permesso, il proprio cavallo ad un altro fratello, affinché si rechi in un qualche luogo dove è vietato andare senza permesso, e il cavallo va perduto, oppure rimane ferito, o muore: spetta ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito; ma può prestarlo per un po’ di divertimento nella città in cui si trova.

La ventitreesima è se un fratello arreca alla casa, deliberatamente o per negligenza, una perdita di quattro o più denari: dipende dalla clemenza dei fratelli se l’abito gli verrà tolto o meno, poiché non ci è consentito causare alcuna perdita. E se il danno è ingente, il fratello può essere messo in catene.

601. La ventiquattresima è se un fratello va a caccia e arreca con ciò danno alla casa: dipende dalla clemenza dei fratelli se l’abito gli verrà tolto o meno.

La venticinquesima è se un fratello mette alla prova le proprie armi e ne deriva un qualche danno: spetta ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito.

602. La ventiseiesima mancanza è quando un fratello varca il portone con l’intenzione di lasciare la casa e poi se ne pente: può essere privato dell’abito. E se si reca presso l’Ospedale o in qualunque luogo fuori della casa spetterà ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito; ma se giace una notte fuori, sarà privato dell’abito.

603. Il fratello Giorgio il Muratore lasciò Acri e passò ai saraceni; venutolo a sapere, il maestro lo mandò a cercare e fu trovato dai fratelli, e sotto gli abiti aveva indossato vesti secolari; così fu mandato a Château Pèlerin e rimase in prigione fino alla morte.

604. Fratello Ugo era nella calzoleria di Saphet, e il suo commendatore era Guglielmo di Chartres, e venne un sergente a chiedere delle scarpe all’inserviente della calzoleria, ma l’inserviente gliele rifiutò; allora il fratello ordinò all’inserviente di dare le scarpe al sergente oppure di consegnargli le chiavi dell’armadio, ma l’inserviente rifiutò. Allora il fratello forzò l’armadio, prese le scarpe e le consegnò al sergente. Il commendatore la prese male e riprese il fratello, il quale chiese perdono e ammise ogni addebito dinanzi al capitolo, e il capitolo gli tolse l’abito; ma se avesse portato fuori qualcosa che era sotto chiave sarebbe stato espulso, come ladro.

605. Una volta mentre il convento si trovava a Casal Brahim, durante una gita di piacere, un fratello lanciò la mazza per colpire un uccello che si trovava in riva all’acqua, ma la mazza cadde dentro l’acqua e andò perduta. Il fratello chiese perdono e gli fu detto che avrebbe potuto perdere l’abito a causa del danno che aveva arrecato, ma gli fu consentito di tenerlo per amore di Dio.

606. Avvenne a Cipro che un uomo ricco affidò un suo cavallo che si era ammalato, alle cure della casa; dopo che l’animale fu guarito, il commendatore lo montò, scorse una lepre e si dette a cacciarla, ma il cavallo cadde e si ferì mortalmente. Allora il fratello si recò ad Acri a chiedere perdono dinanzi al capitolo generale, il quale discusse circa il suo abito; alcuni si dissero favorevoli a lasciarglielo, poiché, dissero, il cavallo non apparteneva alla casa, ma altri replicarono che non aveva importanza, e che il cavallo era stato affidato loro affinché lo curassero e invece era morto: e nessuno deve recare danno ad altri. Così il fratello perse l’abito e vi fu anche chi disse che avrebbe dovuto finire in catene, perché aveva causato una grave perdita.

607. Un fratello di Montpellier stava provando la propria spada, quando la lama si spezzò, venne dunque da questa parte del mare a chiedere perdono, e i fratelli discussero se privarlo o meno dell’abito, ma poi gli lasciarono l’abito per amore di Dio.

608. A Tiro, a un fratello che aveva una pila di coppe e gli caddero di mano; una si ruppe e il fratello prese tutte le altre e le frantumò, maledicendo Dio e la Vergine; poi si pentì e chiese perdono. E i fratelli lo condannarono alla perdita dell’abito, a causa del grave danno che aveva deliberatamente arrecato alla casa, ma poi gli lasciarono l’abito, per amore di Dio.

609. Una volta il commendatore della Volta d’Acri acquistò un carico di grano da un nave e ordinò che fosse trasferito nel granaio; il fratello del granaio gli disse che il grano era umido a causa dell’acqua del mare e sarebbe stato meglio metterlo a seccare al sole prima di immagazzinarlo, altrimenti correva il rischio di marcire, e se ciò fosse accaduto egli non ne avrebbe avuto colpa. Ciononostante il commendatore gli ordinò di far portare il grano nel granaio, e qualche tempo dopo lo fece stendere sulla terrazza, ma ormai era in gran parte deteriorato; il commendatore chiese perdono ma fu privato dell’abito poiché aveva deliberatamente causato un grave danno alla casa.

610. Una volta fratello Giacomo di Ravanne, commendatore del castello di Acri, prese con sé cavalieri, turcopoli e sergenti, del Tempio e della città e fece una scorreria fino a Casal Robert; i saraceni di quella regione uscirono gridando e li sconfissero e fecero prigionieri alcuni dei suoi uomini; egli chiese perdono, ma fu privato dell’abito e messo in catene poiché aveva fatto quella scorreria senza permesso.

611. La ventisettesima è se un fratello del Tempio che porta il gonfalone, lo abbassa durante la battaglia per andare alla carica e ne deriva qualche danno: spetta ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito. E se un fratello abbassa il gonfalone per andare alla carica o per qualunque altro motivo e arreca danno, non può tenere l’abito; e se ne deriva un grave danno deve essere messo in catene, e non potrà più portare il gonfalone bicolore, né essere comandante in battaglia, poiché si tratta di un gesto rigorosamente proibito dalla casa, a motivo della sua estrema pericolosità. Infatti se il gonfalone viene abbassato, coloro che sono distanti non possono sapere perché ciò avvenga; inoltre è facile per i Turchi impadronirsene quando è abbassato; e la perdita del gonfalone fa sbandare le truppe e le espone al rischio di subire una grave disfatta, ed è causa di ciò che è severamente proibito abbassarlo.

612. La ventottesima è se un fratello che porta il gonfalone va alla carica senza permesso, a meno che non sia in difficoltà o si trovi nell’impossibilità di chiedere il permesso di caricare, come recitano gli statuti: spetta ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito. Ma se il suo gesto è fonte di grave danno non può tenere l’abito; e può anche finire in catene, e allora perderà per sempre la prerogativa di portare il gonfalone, e non potrà mai più essere comandante in battaglia né partecipare all’elezione del maestro; nessuno lo può fare, poiché è in catene.

613. La ventinovesima è se, durante la battaglia, un fratello va alla carica senza permesso, nuocendo ai fratelli: spetta ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito; ma se il suo gesto è fonte di grave danno, verrà privato dell’abito. Tuttavia, se vede che un cristiano è in pericolo di morte e confida in cuor suo di poterlo aiutare senza perciò nuocere ai fratelli, può farlo, come recitano gli statuti; ma se un fratello va alla carica per qualunque altro motivo, rischia di perdere l’abito.

614. Una volta, mentre il convento si trovava a Giaffa, i turchi corsero avanti e predisposero due imboscate nei pressi di Fontaine Barbe; fratello Margot incaricò tutti e dieci i cavalieri della sua scorta di proteggere il turcopolerio che era stato mandato in avanscoperta; ad un certo punto il turcopolerio venne a trovarsi in mezzo alle sue postazioni turche e ai dieci fratelli incaricati di proteggerlo parve che i Turchi intendessero assalirlo, sicché quattro di loro, uno dei quali non portava peraltro il cappello di ferro, si staccarono dagli altri senza il permesso del comandante e caricarono i nemici. E due di loro persero i cavalli; allora i compagni, dopo aver chiesto il permesso al comandante, caricarono e sgominarono le imboscate, mentre il turcopolerio, caricando a sua volta, sgominò le altre e le distrusse.

615. Fu riunito il capitolo e fratello Margot, essendo adirato con coloro che avevano caricato senza permesso, li accusò davanti al maresciallo e davanti a tutti i fratelli, e quelli si alzarono e chiesero perdono; e si discusse se privare o meno dell’abito i due fratelli che non avevano perso alcunché, mentre gli altri due che avevano perso i cavalli furono privati senz’altro dell’abito. Ma dal momento che le cose erano andate bene, e il turcopolerio sarebbe stato in pericolo se i fratelli non fossero andati alla carica, i due che avevano perso i cavalli poterono tenere l’abito, per amore di Dio, e agli altri due fu inflitta la penitenza di due giorni; e fratello Ugo di Monlo affermò che la sentenza rea giusta.

616. Il nostro maestro Rinaldo di Vichier aveva proibito ai fratelli ortolani di mangiare o bere in compagnia. Ma poco tempo dopo i fratelli dell’orto di Acri decisero insieme ai fratelli vignaioli di andare a cenare nella vigna grande; la cena si protrasse fino a notte fonda, e i fratelli vignaioli accompagnarono per un tratto i fratelli ortolani. Due fratelli se ne andarono insieme, il tesoriere e quello della Chaene. Dopo che ebbero attraversato il fiume di Acri, furono sorpresi dai saraceni che ne uccisero uno, impossessandosi del suo ronzino, e ferirono gravemente l’altro. La questione fu discussa in capitolo e deferita al capitolo generale. Davanti al quale gli accusati chiesero perdono. E uno degli anziani disse che non erano colpevoli in quanto non potevano essere ritenuti responsabili del danno.

617. Ma quando fu interpellato, il commendatore della terra di Tripoli chiese al maestro se avesse per caso abolito la norma che vietava ai fratelli ortolani di mangiare e bere insieme ad altri, e il maestro rispose di no; allora il commendatore della terra di Tripoli disse che erano responsabili del danno, poiché avevano violato un ordine del maestro e il danno era stata una conseguenza di ciò. Infatti se non avessero cenato insieme e ognuno si fosse ritirato nel proprio alloggiamento tranquillamente e in silenzio, non ne sarebbe derivato alcun danno; per tale motivo e per altre ragioni addotte dal commendatore si pensò di privarli dell’abito; e fratello Goffredo di Fos si dichiarò pienamente d’accordo. Tuttavia, siccome i fratelli superstiti erano feriti e alcuni in modo assai grave, si volle mostrare clemenza nei loro confronti e fu concesso loro di tenere l’abito, per amore di Dio.

618. A Cipro due fratelli furono privati dell’abito; uno si chiamava Giovanni labbro di lepre e l’altro Matteo. Giovanni, che era commendatore dei Bapho, disse al suo commendatore, fratello Baldovino di Benrage, di aver bisogno di denaro per costruire una nuova casa. Baldovino lo infitò a vendere grano per un valore di seicento bisanti d’argento e di impiegarne quattrocento per costruire la casa conservando gli altri duecento. Dopo qualche tempo inviò un fratello a ritirare il denaro avanzato, ma fratello Giovanni disse di averlo utilizzato per coprire le spese della casa. Allora Baldovino gli ordinò di renderne conto e gli impose di restituire i bisanti; ma Giovanni dichiarò di averli spesi e non fu in grado di dire come. Baldovino andò in collera e lo deferì al capitolo di Recordane, (dove anche un altro fratello fu condannato all’espulsione, in conformità alle leggi della casa). Giovanni godeva però di una buona reputazione, e il convento si rese conto che non aveva speso il denaro in luoghi di malaffare, né lo aveva inviato fuori della casa; inoltre non aveva mai negato di aver avuto tra le mani i duecento bisanti, per cui gli fu consentito di tenere l’abito. Ma se si fosse conosciuta anche una sola sua malefatta, o si fosse nutrito il minimo sospetto nei suoi confronti, non avrebbe potuto conservare l’abito.

619. L’altro fratello, che portava il nome di Matteo, si trovava a Casteria; una sera il suddetto fratello, Giovanni labbro di lepre, che era il suo commendatore, gli intimò di spegnere la candela, ma al ritorno della funzione si accorse che la candela stava ancora ardendo, allora accusò il fratello di continuare a tenere la candela accesa contravvenendo ai suoi ordini. E poiché il fratello non volle chiedere perdono dinanzi al commendatore e ai sei fratelli del capitolo che si erano riuniti per giudicarlo, dovette chiedere perdono dinanzi all’intero convento. E fu condannato alla perdita dell’abito nel medesimo capitolo di Recondane dove fu punito Giovanni labbro di lepre.

620. Per tale ragione il maestro, fratello Piero di Montagu, disse che il fratello Anselmo di Borgogna poteva essere privato dell’abito e messo in catene perché si era ribellato al capitolo, rimanendo in piedi; in tal modo si deve procedere nei confronti di un fratello che rifiuti di chiedere perdono davanti al capitolo in conformità alle leggi della casa. E la medesima procedura andrà applicata ogniqualvolta a un fratello viene ingiunto di chiedere perdono per una qualsivoglia mancanza da colui che tiene capitolo. Ma se un fratello viene ripreso da un altro fratello del convento e rifiuta di chiedere perdono non perderà l’abito, poiché un fratello non deve sottostare al comando di un altro fratello, ma la sua colpevolezza deve essere accertata. E quando un fratello ne accusa un altro, egli deve chiedere perdono in conformità alle norme della casa e se non lo fa gli sarà imposto da colui che regge il capitolo. Ma nessuno potrà essere creduto se le sue accuse non vengono confermate dalla testimonianza di altri fratelli (infatti sia l’uno sia l’altro sono semplici fratelli); e se uno fa il nome ma non è in grado di produrre testimoni, quel fratello non potrà essere privato dell’abito a prescindere dalla gravità della mancanza di cui è accusato; tuttavia egli può dire:<<Vi fu un fratello…>>.

621. La trentesima mancanza è se un fratello abbandona la casa e dorme due notti fuori: sarà privato dell’abito e potrà riaverlo solo dopo un anno e un giorno. Ma se tiene con sé quanto non è consentito tenere per più di due notti, sarà espulso per sempre dalla casa.

622. La trentunesima è se un fratello restituisce deliberatamente il proprio abito, o lo getta per terra in un momento di collera e, sordo alle preghiere e ai moniti sei fratelli, rifiuta di raccoglierlo, e un altro fratello lo raccoglie al posto suo: non potrà riavere l’abito prima di un anno e un giorno; ma se si affretta a raccoglierlo, spetta ai fratelli decidere se lasciarglielo o meno. E se accade che egli non intende raccoglierlo e un altro fratello lo raccoglie e glielo pone sulle spalle, quello che lo ha raccolto perderà l’abito, poiché nessuno può assegnare o restituire l’abito al di fuori del capitolo; e per quanto riguarda colui al quale l’abito è stato restituito in siffatto modo, spetterà ai fratelli decidere se lasciarglielo o meno.

623. E in tutti i casi suddetti, ad eccezione degli ultimi due, ovvero quando un fratello dorme fuori per due notti e quando restituisce l’abito di sua spontanea volontà, i quali sono puniti con la perdita dell’abito per un anno e un giorno, spetta ai fratelli decidere4 se privare o meno un fratello dell’abito, in base alla gravità della colpa e della sua condotta abituale.

624. Se un fratello del Tempio viene accusato di una colpa punibile con l’espulsione o la perdita dell’abito, non potrà accusare un fratello, né essere chiamato a testimoniare a proposito di mancanze punibili con l’espulsione o la perdita dell’abito.

625. Una volta i fratelli erano accampati e il commendatore aveva proibito loro di entrare in un vicino casale. Uno dei fratelli entrò nella casa di una donna per passarvi la notte di nascosto, e giacque con lei. E chiese perdono e si discusse se privarlo o meno dell’abito; ma gli fu lasciato, per amore di Dio, poiché fino a quel momento aveva avuto una buona reputazione.

626. Una volta mentre il convento si trovava ad Ascalona e tutti erano intenti a riporre l’equipaggiamento nella selleria, un fratello prese la gualdrappa di un altro e, pur non sapendo che non era suo, lo portò via. E avvenne che il maresciallo riunì i fratelli e ordinò di controllare l’equipaggiamento e di restituire ai legittimi proprietari le cose prese in prestito; ma quel fratello tenne la gualdrappa per tre mesi, dopodiché chiese perdono davanti al capitolo per la sua mancanza. Gli anziani discussero il caso e alcuni dissero che quel fratello era un ladro, ma altri lo negarono. E alla fine, siccome era un buon fratello e non volevano espellerlo, decisero di lasciargli l’abito per amore di Dio.

627. Se un fratello del Tempio varca, per qualsivoglia motivo, il portone, con l’intenzione di abbandonare la casa, è disonorato e non può più portare il gonfalone bicolore né prendere parte all’elezione del maestro; e se si reca presso l’Ospedale o in qualunque altro luogo e ritorna lo stesso giorno, spetta ai fratelli decidere se privarlo o meno dell’abito; ma se dorme la notte fuori non può tenere l’abito; e se rimane fuori due notti riavrà l’abito solo dopo un anno e un giorno.

628. Se un fratello penitente, il cui abito sia nelle mani di Dio e dei fratelli, lascia la casa e dorme fuori una notte, dopodiché torna e riprende la penitenza, al termine della penitenza, gli si dovrà ricordare che ha lasciato la casa; e se dorme fuori due notti, oltre a perdere l’abito per un anno e un giorno, dovrà implorare il perdono dei fratelli dinanzi al portone della casa. Ma non avrà pene aggiuntive poiché deve già scontare un anno e un giorno di penitenza; ed è affrancato da ogni altra punizione. E se uno si allontana mentre sta scontando la penitenza di un anno e un giorno e torna in giornata, l’elemosiniere deve fargli riprendere nuovamente la punizione, ma si deve tener conto della penitenza e ha già scontato; e quando avrà scontato l’intera pena, e riavrà l’abito, e verrà fatto alzare da terra, l’elemosiniere gli dovrà rammentare che ha lasciato la casa. Ma se dorme fuori una notte non dovrà essergli inflitta una punizione aggiuntiva, poiché la penitenza già scontata non avrà più valore e dovrà ricominciare la penitenza da capo; ovviamente a costui non verrà mosso alcun appunto, poiché dovrà ricominciare la penitenza da capo.

629. Se un fratello è nell’infermeria e i suoi cavalli vengono assegnati ad un altro quando si reca alla funzione dell’ora prima, egli non deve più occuparsene.

Se un fratello penitente viene ricoverato nell’infermeria, quando si è ristabilito tanto da essere in grado di assistere alle funzioni, prima di riprendere la penitenza, se lo desidera, può fare ancora una volta tre pasti, ma non può cavalcare. E può uscire quello stesso giorno dall’infermeria senza permesso e fare ancora tre pasti. Non occorrono ulteriori deliberazioni del capitolo per infliggere una ulteriore punizione ad un fratello che è in penitenza: basta comminargli al punizioni davanti agli altri fratelli.

630. Se un fratello lascia la casa e prende moglie, o entra in un altro ordine religioso, può chiedere di essere riammesso nella casa del Tempio, e non ne avrà alcun danno; purché non abbia preso qualcosa che non avrebbe dovuto prendere, e non sia legato a quella donna, o a quell’ordine, e neppure a noi, poiché si è già verificato in passato.

Se un commendatore nominato dal capitolo lascia la casa, può essere punito solo dal maestro e dal convento.

Se a un fratello vengono dati i cavalli di un altro fratello, e il fratello trova i suoi cavalli in battagli, e in nessun altro luogo, può prenderli come suoi.

631. Il fratello che sostituisce il commendatore dei cavalieri non ha il potere di dare posti per dormire, né di distribuire i cavalli nelle stalle, ma può assegnare quanto è necessario.

I fratelli penitenti devono ricevere la punizione corporale ogni domenica prima che il capitolo abbia inizio; e dopo aver ricevuto la punizione, devono dire: <<Signori, pregate Dio affinché ci venga in aiuto>>.

E se un fratello chiede in capitolo di essere autorizzato ad entrare in un altro ordine, perdere il diritto di portare il gonfalone bicolore e di partecipare all’elezione del maestro.

632. Se un uomo chiede di essere accolto tra i fratelli, in punto di morte, colui cui spetta di assegnarli l’abito non deve dire nulla, ma quando sarà convinto del valore di quell’uomo, dovrà metterglielo addosso. Ma può riprenderglielo se vede che torna in salute; e se quello muore con l’abito addosso, non sarà necessario recitare i paternoster prescritti per la morte di un fratello.

633. In battaglia i fratelli cappellani sono soggetti all’autorità del commendatore dei cavalieri che porta il gonfalone; ma non lo sono all’interno dei castelli e possono disporre dei fratelli posti sotto la loro autorità senza il permesso del commendatore dei cavalieri.

Se un fratello si reca nelle terre di Tripoli o Antiochia, e viene trovarsi a Tiro o a Tripoli, sarà sottoposto all’autorità del commendatore della casa in cui si trova. Ma in battaglia e durante le incursioni, il commendatore della casa è soggetto all’autorità del commendatore dei cavalieri.

634. Quando, in occasione delle riunioni del capitolo generale, i fratelli, di qua o di là del mare, si trovano al seguito del loro commendatore, in una casa come quella di Tortosa o comunque altrove, sono soggetti all’autorità del commendatore di quella casa. Ma se il commendatore della provincia dice ad uno dei commendatori presenti: <<Voi sarete il commendatore della casa>>, il commendatore di quella casa è sollevato dal proprio incarico e gli ordini vengono dati dal nuovo commendatore.

Allorché si ricoverano nell’infermeria, i balivi devono consegnare il sigillo e la borsa del commendatore nominato dal capitolo. E coloro che sono nominati dal maestro e dal convento devono rendere conto solo al maestro ed al convento.

635. Se il commendatore dei cavalieri del convento e il commendatore di Château Pèlerin e di Saphet o di altre case di ritrovano insieme fuori dai loro conventi, e ciascuno ha il suo seguito dei cavalieri, quello che ha con sé più fratelli comanderà su tutti gli altri.

636. Se un fratello cappellano commette una mancanza, deve chiedere perdono in capitolo, come gli altri fratelli, ma senza inginocchiarsi, e deve attenersi alla sentenza del capitolo.

Se un fratello cappellano lascia la casa e poi ritorna, pentito, dinanzi alla porta per chiedere di essere riammesso, deve spogliarsi fuori della sala del capitolo, o nella stanza più vicina, e presentarsi davanti ai fratelli per implorare perdono, ma senza inginocchiarsi. E se non ha commesso una mancanza tanto grave da meritare l’espulsione, verrà punito e la punizione gli verrà inflitta dal fratello cappellano, e sarà privato dell’abito per un anno e un giorno; e mangerà al tavolo della servitù senza tovaglia, e osserverà i digiuni previsti per i fratelli penitenti, fintantoché i fratelli non vorranno dispensarlo.

637. E ogni domenica riceverà la punizione corporale in privato, dal fratello cappellano, e durante la settimana potrà cantare gli uffici religiosi, ma in forma privata e senza musica. E invece di lavorare insieme agli schiavi come gli altri fratelli penitenti, reciterà il salterio. E se il fratello cappellano conduce una vita malvagia o semina la discordia e lo scandalo all’interno dell’Ordine, dovrà essere deferito al capitolo ancora più prontamente di un altro fratello, perché così ha stabilito il pontefice quando ci concesse i cappellani. E se fa la penitenza con l’abito mangerà al tavolo dei turcopoli, ma sempre senza tovaglia.

638. Abbiamo scritto gli esempi summenzionati per due ragioni: in primo luogo affinché i fratelli che li ascoltano vogliano eseguire gli ordini che vengono loro impartiti o trasmessi, poiché dall’inosservanza degli ordini ha origine gran parte delle sventure che si abbattono sui fratelli. – Infatti coloro che non eseguono gli ordini e non rispettano i divieti, e così facendo diventano causa di danno, mettono a repentaglio il loro abito. – L’altra ragione è che, esaminando le mancanze dei fratelli, s’impara a giudicarli meglio, senza eccedere nelle punizioni, e a meglio amministrare la giustizia della casa.

639. poiché siamo adusi a considerare lieve una grande mancanza se a commetterla è un uomo onorato, stimiamo grave anche la mancanza più lieve sa e commetterla è un uomo dalla condotta dissennata. E se un gentiluomo della casa, che vive nell’amore e nella devozione, fa qualcosa che potrebbe condurlo all’espulsione o alla perdita dell’abito, può esserne dispensato, senza contravvenire alla giustizia della casa; infatti chi, valutando la sua colpa, si pronunciasse a favore dell’espulsione, in conformità alle usanze della casa, sappia che non potrà valutare altre mancanze. Poiché se si tratta di un gentiluomo l’espulsione dalla casa gli può essere risparmiata, ovvero la sentenza può essere sospesa ed egli può essere trasferito, discretamente, in un altro possedimento della casa. E chiunque rifiuti con decisione di concedergli la propria clemenza, potrà comunque accettare che la pena dell’espulsione venga commutata nella pena della perdita dell’abito, anche se molti potrebbero sostenere che dar corso alla sentenza aiuterebbe i fratelli più giovani a meglio intendere la gravità del peccato. Sia chiaro, in ogni caso, che chiunque sia stato giudicato meritevole dell’espulsione merita di perdere l’abito. Ed esistono altri modi di dar prova di clemenza senza contravvenire in modo grave alla legge della casa.

640. Fratello Baldovino di Borrages era commendatore dei cavalieri di Château Pèlerin, quando i Turchi si presentarono sotto le mura del castello. Baldovino uscì e sebbene gli esploratori, che avevano avvisato i Turchi, lo avessero invitato a tornare indietro perché i nemici erano troppo numerosi per essere affrontati, non diede loro ascolto, anzi volle avanzare fino a Mirla, e i Turchi lo circondarono. Quando si rese conto di non avere scampo, abbassò il gonfalone e caricò le linee turche, e insieme a due fratelli gli riuscì di raggiungere la costa, mentre tutti gli altri furono uccisi o fatti prigionieri e tutto l’equipaggiamento andò perduto. Alcuni amici di Baldovino fecero sì che egli si recasse al di là del mare e vi rimanesse fintantoché l’episodio non fosse stato dimenticato; e con lui andò uno dei suoi compagni, mentre l’altro rimase in Terrasanta, mo non ricoprì mai più alcuna carica nel Tempio: così andarono le cose.

641. Se un fratello è condannato alla perdita dell’abito la pena non gli può essere commutata in nessun’altra, ma può essergli lasciato l’abito, per amore di Dio. Se un fratello è condannato alla pena dei due giorni più il terzo, gli può essere condonato il mercoledì, ma il venerdì e un altro giorno deve andare dal fratello cappellano. E queste cose ci sono state riferite dai fratelli più anziani.

642. Chiunque lo desideri e chiunque non voglia appesantire la propria coscienza, dal che ognuno deve guardarsi bene, può prendere ad esempio gli episodi sopra ricordati. E possa ognuno, nel giudicare i fratelli, essere libero dall’odio e dalla collera, né alcuno venga meno alla giustizia della casa per amore di un fratello; seguendo i nostri nobili antenati, ognuno giudicherà il fratello nel rispetto delle buone tradizioni e delle giuste usanze della casa. E in tal modo la coscienza di ognuno sarà salva.

Dio è l’inizio di tutte le cose.

In che modo vadano comminate le punizioni della casa

643.La prima è l’espulsione dalla casa, dal che Dio salvi ogni fratello.

La seconda è la perdita dell’abito, dal che Dio salvi ogni fratello.

La terza è quando a un fratello viene consentito di tenere l’abito, per amore di Dio, e viene punito con tre giorni interi, a meno che Dio e i fratelli non gli concedano la grazia di un giorno; e la punizione deve avere corso immediatamente, ovvero senza alcuna dilazione. E se cade ammalato, l’elemosiniere può dare anche a lui il brodo dell’infermeria. E se è ammalato, prima di ricoverarsi nell’infermeria deve avvisare l’elemosiniere e il maestro o chi ne fa le veci. E questi deve comunicarlo ai fratelli, e se i fratelli sono d’accordo possono farlo possono farlo alzare, in nome di Dio; e se i fratelli non sono favorevoli, egli deve chiedere loro di lasciarlo entrare nell’infermeria, e se il fratello ne ha bisogno, essi devono concederglielo. Ma appena si è ristabilito deve riprendere la penitenza senza parlare con i fratelli. E così come un fratello penitente può essere fatto alzare da terra solo in seguito a una decisione dei fratelli, allo stesso modo nell’infermeria qualora sia infermo, solo in seguito a un giudizio dei fratelli, in conformità alle usanze della casa.

644. Sia noto a tutti che se un fratello viene privato dell’abito in capitolo e nel medesimo capitolo l’abito gli viene restituito, su preghiera dei fratelli e grazie al suo sincero pentimento, dal momento in cui è uscito dal capitolo senza l’abito, deve scontare due giorni di penitenza e il terzo gli verrà condonato, poiché ha riavuto l’abito ed ha patito una grande umiliazione davanti ai fratelli.

645. Tuttavia gli anziani della casa sostengono che quando un fratello viene privato dell’abito, e a causa del sincero pentimento e della buona condotta, ottiene che gli sia restituito l’abito, dopo aver mangiato un giorno senza l’abito, dovrà scontare un solo giorno di penitenza. E i due altri giorni gli dovranno essere condonati per l’umiliazione patita di fronte ai laici della casa. E dovrà essere affrancato da tutte le punizioni che avrebbe dovuto subire secondo le usanze della casa. Di norma i fratelli penitenti non vengono fatti alzare subito da terra quando l’abito viene loro restituito; ma dopo che il fratello ha mangiato una volta per terra con l’abito, chiunque può farlo rialzare, a patto che egli abbia scontato scrupolosamente la penitenza; e se non l’ha scontata scrupolosamente e in umiltà può essere lasciato per terra anche a lungo. – E tutti i fratelli del Tempio devono sapere che se un fratello muore prima di aver scontato la penitenza di un anno e un giorno, deve essere trattato come chiunque altro fratello.

646. La quarta è due giorni con l’aggiunta del terzo la prima settimana, se il terzo è nominato; e se non è nominato la penitenza dovrà essere di due soli giorni, ma se il terzo è nominato, si dovrà digiunare nel giorno corrispondente a quello in cui è stato commesso il peccato, eccezion fatta per la domenica; e se il peccato è stato commesso di domenica si digiunerà il lunedì. E questa penitenza di due giorni colpisce i fratelli privandoli di qualunque cosa tranne l’abito. E può essere inflitta per la più lieve delle mancanze, se essa infrange le norme della casa.

647. La quinta è due soli giorni. E se un fratello cui vengono inflitti due giorni di penitenza è un cavaliere o un sergente, può essere autorizzato a badare al proprio equipaggiamento, e se è un artigiano a continuare la propria attività. I fratelli puniti con due o tre giorni di penitenza devono condurre l’asino e svolgere le mansioni più umili della casa; e ogni domenica, prima che il capitolo abbia inizio, verrà loro inflitta la punizione corporale; e allo spuntar del sole devono rimanersene tranquillamente nella camerata, ma se esperti nella carpenteria o in un’altra arte possono lavorare. In questo modo si devono comportare i fratelli puniti per due, tre o quattro giorni; e non devono toccare le armatura a meno che non necessitino di essere riparate e non si possa fare altrimenti.

648. La sesta è un solo giorno, e se un fratello è punito per un solo giorno non deve condurre l’asino, né lavorare come quelli puniti per due o tre giorni.

La settima è il venerdì e la punizione corporale, ma il digiuno del venerdì deve essere sospeso durante le ottave di Natale, Pasqua e Pentecoste; e la punizione corporale deve essere inflitta solo dal cappellano. E se un fratello è infermo, colui che tiene capitolo deve dirgli di ricevere la punizione del cappellano.

649. L’ottava punizione è quando un fratello viene deferito davanti al maestro o agli anziani della casa per essere giudicato su qualcosa che lasci incerti i fratelli.

La nona è quando un fratello riceve l’ordine di presentarsi dinanzi al cappellano.

La decima è l’assoluzione.

650. Tutti i fratelli del Tempio sappiano che può privarli dell’abito solo che gode dell’autorità di assegnarlo. Neppure il maestro può far alzare un fratello da terra senza parlarne con gli altri fratelli, e un fratello penitente può essere fatto alzare solo con l’approvazione degli altri fratelli.

651. Se un fratello che ha abbandonato la casa torna per chiedere di potervi rientrare, deve andare dinanzi al portone o ogni volta che passa un fratello deve inginocchiarsi e chiedere pietà, per amore di Dio, e deve farlo numerose volte. E l’elemosiniere gli porterà del cibo alla porta e gli darà alloggio e rammenterà il suo caso a colui che tiene capitolo e che ha il potere di imporgli la penitenza. E dirà dinanzi a tutti i fratelli: <<Questo nostro fratello è davanti alla porta e chiede di essere riammesso nella casa che ha abbandonato per sua colpa, e confida nella misericordia della casa>>.

E colui che tiene capitolo parlerà in questo modo: <<Signori, e miei buoni fratelli, vi risulta che quest’uomo, il quale fu nostro fratello – e deve farne il nome – abbia fatto o preso qualcosa per cui non possa essere riammesso nella casa?>>E se non è così deve essergli concesso di rientrare nella casa.

652. Colui che desidera rientrare nella casa deve denudarsi e rimanere con le sole brache, stando sempre fuori dal portone, quindi presentarsi in capitolo con una corda intorno al collo e inginocchiarsi davanti a colui che presiede la riunione e a tutti i fratelli. E colui che tiene capitolo deve dire: <<Fratello, vi siete comportato stoltamente, lasciando la casa e l’Ordine>>. E colui che desidera rientrare nella casa deve mostrarsi afflitto e mortificato per aver agito con tanta stoltezza, e deve dichiarare di essere pronto a fare ammenda secondo le norme della casa.

653. E se quel fratello è noto per la sua cattiva condotta e poco propenso a scontare la penitenza diligentemente e in modo scrupoloso, colui che tiene capitolo deve parlare in questo modo: <<Fratello, sapete che vi spetta una penitenza lunga e severa; credo che sarebbe saggio da parte vostra chiedere4 il congedo per entrare in un altro Ordine per la salvezza della vostra anima, e ciò è quanto vi consiglio di fare>>. E se quello chiede di essere congedato, colui cui spetta di punirlo ha il potere di concederglielo, con il consenso dei fratelli. Ma se non lo chiede non potrà essere congedato, poiché non ha fatto nulla per cui debba essere espulso dalla casa; tuttavia prima di essere ammesso a chiedere perdono dinanzi al capitolo, la sentenza deve essere sospesa ed egli deve aspettare a lungo, affinché possa rendersi conto della propria stoltezza.

654. Ma se si tratta di un fratello noto per la sua buona condotta, sarà invitato a lasciare il capitolo e a rivestirsi; poi tornerà in capitolo e gli sarà inflitta la punizione e indosserà la cappa senza croce, secondo quanto è prescritto dalla casa. E sarà affidato all’elemosiniere e prenderà alloggio presso di lui. E da quel momento farà ciò che gli dice l’elemosiniere e seguirà le sue istruzioni; e se è infermo, l’elemosiniere farà in modo che egli possa avere ciò di cui ha bisogno per ristabilirsi; e il giorno in cui la penitenza ha inizio sarà messo per iscritto, affinché possa essere ricordato.

655. I fratelli penitenti non devono prendere parte alle riunioni dei fratelli, è essere interpellati, ma se è necessario si potrà chiedere il loro parere privatamente.

Inoltre gli anziani e onorati uomini della casa affermano che una colpa punibile con la perdita dell’abito non può essere giudicata alla presenza di un fratello che non abbia il potere di assegnare l’abito.

E affermano anche che, per antica consuetudine della casa, nessuna mancanza può essere punita con il venerdì, poiché dapprima si deve dare la punizione di uno o due giorni.

656. Se un fratello è in penitenza con l’abito, e viene dato l’allarme, gli saranno prestati armi e cavalli affinché possa combattere insieme agli altri fratelli, ma al termine dell’azione dovrà riprendere la penitenza.

Nessun fratello che abbia abbandonato la casa dovrà prendere parte all’elezione del maestro, né portare il gonfalone bicolore.

Come si entra nell’Ordine

Come si deve ordinare e ammettere un fratello nel Tempio

657. <<Signori, amati fratelli, vedete che la maggioranza è disposta ad accogliere questo nuovo fratello: se vi è fra di voi qualcuno che sappia di lui qualcosa per cui non possa diventare un fratello, si faccia avanti e lo dica; poiché è meglio che lo dica prima e non dopo che è davanti a noi>>. E se nessuno dice alcunché , il postulante viene convocato e fatto accomodare in una camera posta nei pressi del capitolo; e vengono mandati da lui due o tre anziani della casa, esperti nel porre le giuste domande.

658. I quali, giunti in sua presenza, gli dicono: <<Fratello, chiedete dunque di entrare a fare parte della compagnia della casa?>> E se risponde di si, devono informarlo delle grandi sofferenze cui va incontro, e illustrargli le caritatevole norme e l’austera vita della casa. E se si dichiara disposto a tutto sopportare per amore di Dio, e afferma di voler diventare per sempre servo e schiavo della casa, fino all’ultimo giorno della sua vita, gli devono chiedere se ha una donna come moglie o promessa sposa; se ha preso i voti o è vincolato da un altro Ordine; se ha contratto, con un laico, un debito che non è in grado di pagare; se gode di buona salute e non cela infermità nascoste; infine se è servo di un altro uomo.

659. E se egli afferma di essere effettivamente libero da tali vincoli, i fratelli fanno ritorno nella sala del capitolo e si rivolgono al maestro o a chi ne fa le veci: <<Signore, abbiamo parlato con il gentiluomo che attende qui fuori, e gli abbiamo illustrato, per quanto abbiamo potuto e per quanto sono a noi note, le dure condizioni della casa. Ed egli dice di volersi fare servo e schiavo della casa, e di essere libero da ogni vincolo, sicché nulla gli impedisce di diventare nostro fratello, se piace a Dio, a voi e ai fratelli.

660. E il maestro deve chiedere ancora una volta se c’è qualcuno che abbia qualcosa da obiettare, ed esortarlo a parlare senza indugio. E se nessuno prende la parola deve dire: <<In nome di Dio, volete dunque che lo faccia venire?>> E i gentiluomini gli risponderanno: <<In nome di Dio, fatelo venire>>. Allora quelli che lo hanno interrogato tornano dal postulante e gli chiedono: <<Siete rimasto fermo nella vostra richiesta?>>. E se dice di si gli indicano il modo in cui deve richiedere di far parte della casa. Cioè che dovrà entrare nel capitolo, inginocchiarsi dinanzi a colui che lo presiede, e dire a mani giunte: <<Signore, sono venuto davanti a Dio e davanti a voi ed ai fratelli, per chiedervi e implorarvi, per amore di Dio e di Nostra Signora, di concedermi la vostra compagnia e il benefici della casa, poiché desidero farmi, per sempre, servo e schiavo della casa>>.

661. E coli che tiene capitolo deve dire: <<Mio buon fratello chiedete una cosa molto grande, poiché del nostro ordine non scorgete che l’apparenza. Vedete nei cavalli e splendenti armature, cibi squisiti e buoni vini, e vesti eleganti, e allora pensate che con noi starete assai bene. Ma ignorate gli aspri comandamenti che si nascondono dietro tutto ciò: poiché sarà penoso per voi, che siete padrone di voi stesso, farvi sevo degli altri. E d’ora in avanti sarà arduo per voi fare ciò che desiderate: poiché se volete restare di qua del mare, sarete inviato di là; e se desiderate stare ad Acri verrete mandato nella terra di Tripoli o d’Antiochia, o in Armenia; e anche nell’Apulia, in Sicilia o in Lombardia, o in Francia, in Borgogna o in Inghilterra o in una delle numerose terre dove abbiamo commende e possedimenti. E se desiderate dormire dovrete vegliare; e se qualche volta vorrete vegliare vi verrà ingiunto di andare a riposare nel vostro letto>>.

662. E se è un sergente e desidera essere accolto fra i fratelli del convento, gli si potrà ordinare si svolgere una delle mansioni più unili della casa, nel forno o presso il mulino, o in cucina, o nella stalla dei cammelli, o nel porcile, o quant’altro. – E <<non di rado vi saranno dati aspri ordini: mentre siete a tavola a mangiare, uno vi potrà ordinare di andare dove più gli aggrada, e voi non saprete dove. E dovrete sopportare molte parole di rimprovero che sovente vi verranno rivolte. Dunque considerate, mio buono e gentile fratello, se sarete in grado di tollerare condizioni tanto dure>>.

663. E se egli dice: <<Si, saprò sopportarle tutte, se a Dio piace>>, il maestro o chi ne fa le veci prosegue: <<Mio buon fratello, non volete chiedere la compagnia della casa per ottenere possedimenti o ricchezze, né per avere agi e onori. Bensì dovete chiederla per tre ragioni: l’una, per mettere da parte e lasciarvi dietro le spalle i peccati del mondo; l’altra per compiere l’opera di Nostro Signore; la terza, per essere povero e fare penitenza in questo mondo, ovvero per la salvezza della vostra anima; tale pensiero deve ispirare la vostra richiesta>>.

664. Quindi deve chiedergli: <<Volete essere, d’ora in avanti e per tutti i giorni della vostra vita, sevo e schiavo della casa?>> E il fratello risponderà: <<Si signore, se a Dio piace>>. <<E sete disposto a rinunciare alla vostra volontà per il resto della vita per fare quanto vi viene ordinato dai vostri superiori?>> E il fratello gli risponderà: <<Si signore, se a Dio piace>>.

665. E il maestro dirà: <<Ora uscite e pregate Nostro Signore affinché vi illumini>>. E dopo che è uscito colui che tiene capitolo si rivolgerà a fratelli dicendo: <<Signori, avete veduto con quanto ardore questo uomo onorato desideri entrare nella nostra compagnia: egli afferma di volersi fare, d’ora in avanti e per il resto della vita, servo e schiavo della casa; e vi ho già pregato, se qualcuno fra voi fosse a conoscenza di qualche impedimento, di dirlo senza indugio, perché dopo la sua ordinazione non sarà creduto>>.

666. E se nessuno prende la parola, il maestro dice: << Volete dunque che lo faccia venire in nome di Dio?>> Al che uno dei dignitari della casa risponde: <<Fatelo entrare in nome di Dio>>. Quindi uno di quelli che lo avevano interrogato va da lui e gli rammenta ancora una volta in che modo dovrà chiedere di essere ammesso nella compagnia della casa.

667. Ed egli dovrà inginocchiarsi dinanzi al capitolo, e giungere le mani e dire: <<Signore, sono venuto davanti a Dio e davanti a voi e davanti ai fratelli, per chiedervi e implorarvi, per amore di Dio e di Nostra Signora, di concedermi la vostra compagnia e i benefici spirituali e temporali della casa, poiché desidero farmi servo e schiavo della casa per il resto dei miei giorni>>. E colui che tiene capitolo gli domanderà: <<Siete ben sicuro, mio buon fratello, di voler diventare servo e schiavo dell’Ordine e di voler rinunciare alla vostra volontà per sottomettervi a quella altrui? Siete dunque disposto a sopportare le dure condizioni che regnano nella casa e ad eseguire tutti gli ordini che vi saranno impartiti?>> Ed egli deve rispondere: <<Si signore, se a Dio piace>>.

668. Allora colui che tiene capitolo si alza e dice: <<Signori, alzatevi e pregate Nostro Signore e la Vergine Maria per il suo bene>>. E ognuno dei presenti deve recitare un paternoster, dopodiché il cappellano deve dire la preghiera dello Spirito Santo. Quindi colui che tiene capitolo prende i Vangeli e li apre dinanzi al postulante, ed egli li prende fra le sue mani e si inginocchia. E colui che tiene capitolo gli deve dire: <<Mio buon fratello, i gentiluomini che vi hanno interrogato vi hanno chiesto molte cose, ma qualunque cosa abbiate detto, a loro e a noi, saranno tutte parole vane e oziose, e non potranno arrecare grave danno né a voi né a noi. Ma davanti alle sacre parole di Nostro Signore, dovrete dire la verità su quanto vi verrà chiesto, poiché se mentirete sarete uno spergiuro e potreste perdere la casa, dal che Dio vi salvi>>.

669. <<Vi chiediamo, in primo luogo, se avete una donna, come moglie o promessa sposa, che possa vantare diritti su di voi secondo le legge della Santa Chiesa; poiché se mentite a tal proposito e domani, o in seguito, ella si presenta davanti a noi ed è in grado di dimostrare che siete suo marito, e vi reclama secondo il diritto della Santa Chiesa, l’abito vi verrà tolto e verrete posto in catene, e andrete a lavorare con gli schiavi. E quando sarete stato a sufficienza coperto d’infamia, verrete restituito alla donna, e sarete espulso per sempre dalla casa>>.

670. <<La seconda cosa è se siete stato in un altro ordine, prendendone i voti o vincolandovi in qualunque modo ad esso, poiché se lo avete fatto e quell’ordine vi reclama come suo fratello, l’abito vi verrà tolto e sarete restituito a quell’ordine, ma prima sarete coperto d’infamia e avrete perso per sempre la compagnia della casa>>.

671. La terza è se avete contratto un debito con un uomo laico, che né voi né i vostri amici siate in grado di pagare, senza ricorrere alle risorse della casa; l’abito vi sarà tolto e sarete restituito al vostro creditore, e la casa non avrà alcun obbligo nei vostri confronti, né nei confronti del vostro creditore>>.

672. <<La quarta è se siete in buona salute e se non avete infermità nascoste; poiché se risulta che ne siete stato affetto quando eravate nel mondo, prima di diventare nostro fratello, potreste perdere la casa, dal che Dio vi salvi>>.

673. <<L quinta è se avete promesso o dato a un uomo laico, o un fratello del Tempio, o a chiunque altro, oro, argento o quant’altro affinché vi aiutasse a entrare nell’ordine, poiché si tratterebbe di simonia, e non ci sarebbe salvezza per voi nella casa: infatti se la vostra colpevolezza fosse provata perdereste la compagnia della casa.>>

<<E se foste servo di un uomo, ed egli vi reclamasse, sareste restituito a lui ed espulso dalla casa>>. Ma se il postulante è un cavaliere, quest’ultima domanda non gli verrà posta, ma si chiederà se è figlio di un cavaliere e di una dama, se suo padre discende da cavalieri e se è nato da un’unione legittima.

674. dopodiché, se il postulante è sergente o cavaliere, gli si chiederà se è prete, o diacono, o sotto-diacono, poiché se lo è ma non lo ha detto può perdere la casa. E se è sergente gli si chiederà se è cavaliere. E, sia egli sergente o cavaliere, gli si chiederà se è scomunicato.

Quindi colui che tiene capitolo interpellerà i gentiluomini della casa per vedere se hanno da porre alte domande, e se non le hanno, proseguirà: <<Mio buon fratello, badate di aver risposto in modo veritiero a quanto vi abbiamo chiesto, poiché se ci avete mentito in qualcosa, potrete essere espulso dalla casa, dal che Dio vi salvi>>.

675. <<Ora, mio buon fratello, ascoltate bene ciò che ci diremo: promettete a Dio e a Nostra Signora che da questo momento e per il resto dei vostri giorni obbedirete al maestro del Tempio e ad ogni vostro superiore?>> Ed egli risponderà: <<Si signore, se a Dio piace>>.

<<Promettete a Dio e alla Vergine Maria che d’ora in avanti e per i resto dei vostri giorni vivrete nella castità?>> Ed egli risponderà: <<Si signore, se a Dio piace>>.

<<Promettete a Dio e alla Vergine Maria che vivrete in povertà per il resto dei vostri giorni?>> Ed egli risponderà: <<Si signore, se a Dio piace>>.

<<Promettere a Dio e alla Vergine Maria che, per il resto dei vostri giorni, osserverete le buone tradizioni e i buoni costumi della casa, sia quelli in vigore, sia quelli che saranno introdotti dal maestro e dai gentiluomini della casa?>> Ed egli risponderà: <<Si signore, se a Dio piace>>.

676. <<Promettete, inoltre, a Dio e alla Vergine Maria di contribuire, per il resto dei vostri giorni, a conquistare, conquistare, con la forza e il potere che Dio vi ha donato, la Terrasanta di Gerusalemme; e di fare quanto è in vostro potere per proteggere e salvare quella che è in mano cristiana?>> Ed egli risponderà: <<Si signore, se a Dio piace>>.

<<Promettete, inoltre, a Dio e alla Vergine Maria che non lascerete mai quest’ordine per uno più forte o più debole, né per uno migliore o peggiore, a meno che non lo facciate con il consenso del maestro e del convento, i quali hanno l’autorità per concedervelo?>> Ed egli risponderà: <<Si signore, se a Dio piace>>.

<<Promettete, inoltre, a Dio e alla Vergine Maria che non verrete mai a trovarvi in un luogo in cui un cristiano venga privato a torto o senza ragione delle sue cose, per vostro ordine o per vostro consiglio?>> Ed egli risponderà: <<Si signore, se a Dio piace>>.

677. <<E noi, n nome di Dio e della Vergine Maria, in nome di San Pietro, e del papa, nostro padre, e di tutti i fratelli del Tempio, vi concediamo i benefici della casa, tanto quelli che le sono stati riconosciuti fin dagli inizi, quanto quelli che le verranno accordati in futuro fino alla sua fine, e il concediamo a voi, a vostro padre e a vostra madre, e a tutti gli appartenenti al vostro lignaggio che vorrete beneficiare. E anche voi concedete a noi benefici che già vi appartengono e quelli che guadagnerete in futuro. E così noi vi promettiamo il pane e l’acqua e la povera veste della casa, e molta pena e tribolazione>>.

678. Quindi colui che tiene capitolo deve prendere il mantello, metterglielo intorno al collo e allacciarglielo. E il fratello cappellano deve intonare il salmo Ecce quam bonum, e recitare la preghiera dello Spirito Santo, e ciascun fratello deve recitare il paternoster. E il maestro farà alzare il nuovo fratello e lo bacerà sulla bocca; e anche il cappellano deve baciarlo, secondo l’usanza della casa.

E. dopo averlo fatto sedere dinanzi a sé, colui che l’ha ordinato frate deve dirgli: <<Mio buon fratello, il Signore ha esaudito il vostro desiderio e vi ha posto nella bella compagnia della Cavalleria del Tempio; pertanto dovete evitare ad ogni costo di fare qualcosa che ve la faccia perdere, dal che Dio vi guardi. Ora vi diremo alcune delle cose che rammentiamo circa le mancanze che conducono alla perdita della casa e dell’abito>>.

679. <<Mio buon fratello, avete appena sentito le cose per cui potreste essere espulso dalla casa, o perdere l’abito, ma non tutte: imparatele dunque e tenetele a mente, se a Dio piace, e chiedete ai fratelli di spiegarvele. Orbene, vi sono altre prescrizioni, e che se le violerete vi sarà inflitta una punizione; non dovrete mai battere un cristiano, né colpirlo, in un moto di rabbia o furore, con il pugno o la pianta del piede, né tirarlo per i capelli, né prenderlo a calci. E se lo colpirete con un pietra o un bastone, o un’arma da taglio, con i quali potreste ucciderlo o ferirlo con un colpo solo, il vostro abito sarà alla mercé dei fratelli, e spetterà loro decidere se togliervelo o meno. E non dovrete mai giurare su Dio o sulla Vergine o sui santi. Né dovrete mai avvalervi dei servigi di una donna, a meno che non cadiate ammalato, o siate stato autorizzato a farlo; e non dovrete mai baciare un donna, foss’anche vostra madre, vostra sorella o un’altra consanguinea, né qualunque altra donna. Né dovrete apostrofare un uomo con parole come avaro, fetente o traditore, né con altre parole spregevoli, poiché le parole spregevoli ci sono vietate, ma dobbiamo praticare bontà e cortesia>>.

680. <<Ora vi diremo come dovrete dormire: d’ora in avanti dormirete in brache e camicia e calze di stoffa, e cinto della cintura piccola; e avrete nel letto tre lenzuoli, uno a sacco con dentro il pagliericcio e altri due; ma al posto di uno di essi, se il guardarobiere è dell’avviso, potete avere una coperta leggera; ma si tratta solo di un favore, non di un diritto. Quanto alla stuoia, potete averla, se qualcuno ve la darà. Dovrete portare solo le vesti che vi verranno assegnate dal guardarobiere, e sarete duramente punito se ne comprerete delle altre>>.

681. <<Ora vi diremo in che modo dovrete venire a tavola e alle funzioni. Dovrete presentarvi ogniqualvolta udrete il suono della campana; quando la campana suona per i pasti, dovrete venire a tavola e aspettare il cappellano e i chierici per la benedizione. Dovrete assicurarvi che vi siano acqua e vino o un’altra bevanda, recitare la benedizione, e quindi sedervi e tagliare il vostro pane. E se siete seduto accanto a un prete, prima di sedervi e tagliare il pane, reciterete un paternoster sottovoce, dopodiché mangerete il pane e quant’altro Dio abbia voluto donarvi, con calma e in silenzio; e non chiederete niente al di fuori del pane e dell’acqua, poiché nient’altro vi è stato promesso; ma se i fratelli mangiano dell’altro, potrete chiedere la vostra parte, con discrezione. Se la carne o il pesce vi sono stati serviti crudi, di sapore cattivo o avariati, potete chiedere che vi siano sostituiti, ma è preferibile che uno dei compagni che mangiano con voi a chiederlo in vostra vece; se ce n’è in abbondanza, vi sarà data un’altra porzione della stessa pietanza, ma se non ce n’è più vi sarà dato qualcos’altro, magari una delle pietanze della servitù, e rimarrete calmo e l’accetterete di buon grado>>.

682. <<Dopo mangiato, vi recherete in chiesa al seguito dei preti, e renderete grazie in silenzio a Nostro Signore, e parlerete solo dopo aver recitato un paternoster e dopo che il cappellano avrà reso grazie. E se non vi è un cappellano, in quel luogo o nelle vicinanze, reciterete ugualmente le preghiere, dopodiché vi metterete al lavoro. E quando la campana suonerà l’ora nona, verrete qui in chiesa: se c’è un prete ascolterete l’ufficio divino, se non c’è reciterete quattordici paternoster, sette per Nostra Signora e sette per il giorno. – E dovete assistere anche ai vespri, ma se non c’è cappellano né chiesa, dovete recitare diciotto paternoster, nove per Nostra Signora e nove per il giorno. Dopodiché potete andare a cena; e quando la campana suona compieta, potrete prendere la colazione e bere acqua o vino, a discrezione del maestro; e se vi viene impartito un ordine dovrete eseguirlo. Quindi se c’è un cappellano assisterete a compieta, e se non c’è direte quattordici paternoster, sette per il giorno e sette per Nostra Signora. – dopodiché potrete coricarvi. E se vorrete dare un ordine alla servitù, potrete farlo, ma sottovoce. E dopo esservi coricato direte un paternoster>>.

683. <<E quando la campana suona mattutino, vi alzerete e assisterete all’ufficio divino, e se non c’è un cappellano direte ventisei paternoster, tredici per Nostra Signora e tredici per il giorno. Quindi reciterete trenta paternoster per i morti e trenta per i vivi, prima di bere o mangiare, ma potrete bere dell’acqua. E non dovete mancare di farlo, a meno che non siate malato, poiché noi preghiamo per i nostri confratelli e le nostre consorelle, per i nostri benefattori e le nostre benefattrici, affinché Nostro Signore conceda loro un buona morte e la grazia del Suo perdono. E dopo aver assistito al mattutino, se c’è un prete (o aver pregato, se non c’è), potrete tornare a coricarvi>>.

684. <<Quando udrete la campana suonare prima, terza e sesta, dovrete assistere all’ufficio divino e se non c’è un cappellano dovrete recitare quattordici paternoster, sette per Nostra Signora e sette per il giorno; altrettanti ne direte per l’ora terza; e altrettanti per l’ora sesta, e li reciterete uno dopo l’altro, prima di mangiare>>.

685. <<E reciterete tutte le preghiere che vi ho detto; ma dovete dire prima le preghiere di Nostra Signora e poi quelle del giorno, poiché il nostro Ordine fu fondato in onore di Nostra Signora; e reciterete le preghiere di Nostra Signora stando in piedi e quelle del giorno da seduti. E se muore un fratello della casa del Tempio in cui dormite, o di cui mangiate il pane, direte conto paternoster per la sua anima, entro i sette giorni successivi, se vi è possibile, li reciterete. E se Dio chiama a se il maestro, direte duecento paternoster, ovunque voi siate, entro i sette giorni. E non dovrete mancare di recitare i paternoster per i defunti, a meno che non siate malato, come vi ho già detto>>.

686. <<Ora vi abbiamo detto le cose che dovete fare e quelle da cui vi dovete guardare, e quelle che comportano l’espulsione dalla casa, e quelle che comportano la perdita dell’abito, e le altre punizioni; ma non vi abbiamo detto tutto ciò che avremmo dovuto, poiché dovrete essere voi a chiederlo. – Che Dio vi faccia sempre parlare ed agire per il bene>>. Amen

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