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Il Monte dei Cappuccini era una fortezza templare


Un ritrovamento archeologico prova la presenza dei monaci guerrieri, rinvenuto un umile corredo funebre nel Bastiglione orientale

MAURIZIO LUPO

TORINO

Il Monte dei Cappuccini dal 1204 al 1314 fu presidio fortificato dei Cavalieri Templari. Nel vegliare sulla via Francigena, percorsa dai pellegrini diretti a Roma, difendevano un arcaico ponte di legno che già allora valicava il Po. Qui, a nome del Comune e del Vescovo di Torino, riscuotevano il pedaggio per attraversarlo e per navigare in quel tratto fluviale. Un ritrovamento archeologico conferma infine plurime fonti d’archivio».

Lo annuncia, dopo studi durati venti anni, un affiatato gruppo di ricercatori. Sono frate Luca Isella, storico cappuccino, l’ingegnere Mauro Lanza, già direttore dei restauri al Monte, l’antropologo professor Renato Grilletto e Carla Amoretti, figlia ed erede delle ricerche del defunto generale Guido Amoretti, grande archeologo, che con loro avviò le indagini.

«E’ la prima volta – dicono – che la presenza templare a Torino diventa cronaca documentata da reperti». Sono un cucchiaio in rame e un piatto con le insegne dell’Ordine, più un bacile decorato dal nodo di Salomone, simbolo templare. Sono stati rinvenuti nell’angolo orientale del «Bastiglione Est» del Monte, nello stesso punto dove nel novembre del 1943 era venuto alla luce un antico scheletro, forse quello di un notabile templare, che in quei giorni di guerra fu «raccolto pietosamente» ma poi disperso nell’ossario civico.

I ricercatori azzardano che potessero essere i resti di «Fra Ogerio», nel 1276 alla guida della «precettoria» templare di Torino. La loro presenza in città è certificata dal 16 giugno 1156. Chiamati a Torino dal vescovo Carlo (1148-1162) disponevano di proprietà a Vanchiglia, a Sassi e sulla collina, con ville, boschi e pascoli. La loro «domus», la residenza urbana, con annessa chiesa di Santa Margherita, si trovava, documentata dal 1203, «extra porta Marmoream», appena fuori la porta Est della cinta urb

ana. Corrispondeva all’odierno isolato fra le vie Accademia delle Scienze, Principe Amedeo, San Francesco d’Assisi e via Po. Era rivolta verso il fiume e il Monte oggi dei Cappuccini.

Qui allora si ergeva la squadrata «Bastita Taurini», una fortezza forse fondata dai romani, riedificata verso l’anno mille su committenza del Comune.

Dai suoi spalti i templari dominavano il traffico fluviale. Il presidio sul Monte era confortato da una cappella, dedicata a Santa Maria, in parte ancora esistente,a pochi passi dal «Bastiglione Est» e dalla tomba del misterioso cavaliere, riesumato nel novembre 1943.

Nel manoscritto che racconta la «Cronaca ufficiale del Monte dal 1928» si narra che un frate giardiniere, mentre zappava l’orto, portò alla luce «uno scheletro intero di un uomo». Apparve composto. Lo scavo non venne proseguito e i resti furono rimossi.

Si ritornò a scavare in quel punto nel 1992, quando il complesso conventuale dal 1987 fu interessato da restauri che durarono fino al 1995. Dal sito, diventato un’aiuola, affiorò un cucchiaio di rame lavorato, marchiato con la «Croce Patente» dell’Ordine del Tempio. Poi si rinvenne un piatto in ceramica monocroma verde, con graffita la stessa croce. «Pochi mesi prima – ricorda padre Isella – a fianco delle vestigia medievali della chiesa di Santa Maria erano venuti alla luce frammenti policromi di un bacile murale decorativo, raffigurante il nodo di Re Salomone, simbolo templare. La sua grafica mai discontinua evoca l’amore dell’Eterno con la terra».

Il ritrovamento, comunicato alla Soprintendenza archeologica, solo ora viene reso noto, perchè sono finiti gli studi che saranno tema di una pubblicazione dedicata ai templari torinesi. Si parlerà anche di «Frater Ogerius».

Era veramente suo lo scheletro rinvenuto nel 1943? «E’ un’ipotesi – nota padre Isella – che ci affascina molto. Riteniamo che quello scheletro fosse di un personaggio di rilievo, un dignitario inumato con sepoltura individuale, in un punto allora privilegiato, dietro la chiesa di Santa Maria. Secondo l’uso fu seppellito nudo, cucito nel sudario. Il voto di povertà templare non prevedeva altro. Ma il ritrovamento del piatto decorato e del cucchiaio fa supporre un modesto corredo funebre, un omaggio che nel cucchiaio in rame evidenzia un segno di distinzione, dal momento che la regola dell’Ordine assegnava ai semplici cavalieri stoviglie e posate in legno o corno».

(La Stampa)

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